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Infarto miocardico acuto - NSTEMI (Capitolo 2.6.4)




Proseguiamo nella discussione che abbiamo iniziato in merito alle differenti forme di sindromi coronariche acute (si veda il capitolo precedente, Capitolo 2.6.3); abbiamo detto che le sindromi coronariche acute sono una situazione a rischio di vita che presentano un substrato fisiopatologico comune, ma con manifestazioni differenti sulla base della sede e dell’entità del danno miocardico. Fra i pazienti che non mostrano sopraslivellamento del tratto ST si sotto-classificano due popolazioni: situazioni di angina instabile (descritte nel capitolo precedente) e situazioni di NSTEMI sulla base del comportamento dell’ECG e degli enzimi cardiaci. La patologia NSTEMI é una tipologia di infarto miocardico acuto caratterizzata da un’assenza di sopraslivellamento del tratto ST; rimane una condizione clinico-patologica caratterizzata dalla morte irreversibile delle cellule cardiache, secondariamente ad un mancato apporto di sangue nell’area colpita da infarto (per oltre 20 minuti).


EPIDEMIOLOGIA:
I dati dei registri nazionali mostrano che tale patologia é più frequente rispetto alle forme di STEMI, con un’incidenza annua che si attesta attorno a 3:1000 abitanti, anche se può variare in determinati paesi. La mortalità intra-ospedaliera é inferiore rispetto ai pazienti con STEMI, anche se a 6 mesi la mortalità é identica (12% vs 13%), con una mortalità che aumenta di due volte a 2 anni (correlato al fatto che pazienti con NSTEMI spesso sono più anziani, presentano più comorbidità in particolare il diabete mellito ed insufficienza renale).



EZIOPATOGENESI:
  • Trombosi: l’elemento più frequentemente coinvolto nelle cause di NSTEMI (in oltre il 95% dei casi) è una manifestazione d’emergenza del processo arteriosclerotico a carico delle strutture vascolari, con sviluppo di una trombosi coronarica generalmente sovrapposta ad una placca coronarica vulnerabile, che porta all’esposizione di materiale altamente trombogenico, con la formazione di un trombo occlusivo permanente a livello coronarico. Più raramente l’occlusione può avvenire su placche non stenosanti che improvvisamente per meccanismi non ancora chiariti vanno incontro ad una instabilità; la dimostrazione è che molti pazienti sviluppano infarto miocardico senza avere mai avuto precedentemente angina da sforzo. Molto più raro è il meccanismo di diatesi trombofilica (genetica e/o acquisita) dove si ha la formazione di trombosi vascolare arteriosa de novo (da ricordare ed indagare sempre l’endocardite). Più raramente altre cause sono arteriti, traumi, dissezioni vascolari, trombo-embolia, abuso di cocaina o complicanze post-cateterismo cardiaco.
  • Spasmo: é una condizione più rara (5% casi), a comparsa più elevata soprattutto nei giovani ed in assenza dei fattori di rischio (con coronarie spesso normali); si ha uno spasmo arterioso coronarico (spontaneo o secondario all’uso di farmaci o droghe)  prolungato per oltre 20 minuti, che porta allo sviluppo di necrosi delle cellule cardiache a valle dell’area irrorata dall’arteria occlusa.


FISIOPATOLOGIA:
INFARTO DELLE CELLULE ELETTRICHE:
Quando la necrosi coinvolge le cellule del tessuto di conduzione, si ha un infarto delle cellule elettriche, con il rischio di sviluppare aritmie ventricolari e/o blocchi AV spesso difficili da trattare, che possono evolvere verso l’arresto cardiaco per comparsa di FV o asistolia. Queste situazioni sono condizioni che possono insorgere molto precocemente e la FV rappresenta la causa più frequente di morte pre-ospedaliera per infarto (non correlando con l’estensione dell’infarto). Bisogna fare attenzione perché non tutte le aritmie durante un infarto sono legate a questo meccanismo, dato che anche un sovraccarico meccanico importante (con stretching cellulare eccessivo) può portare allo sviluppo di aritmie, così come l’ischemia delle cellule del Purkinjie può portare ad un’ipereccitazione oppure durante fasi di ischemia-riperfusione.





INFARTO DELLE CELLULE MUSCOLARI:
Questa tipologia di necrosi cellulare avviene quando la necrosi coinvolge le cellule muscolari, con conseguente perdita di contrattilità dell’area interessata; la severità è in funzione dell’ampiezza e dello spessore della necrosi e rappresenta il fattore prognostico più importante a breve e lungo termine. L’ampiezza della necrosi determina i sintomi dello scompenso cardiaco, e dipende dalla diversa sede di occlusione del vaso: tanto è più prossimale, tanto maggiore è l’area  di miocardio coinvolta. I sintomi dell’infarto sono anche dipendenti dalla capacità di compenso delle aree non coinvolte da infarto (che dipendono anche dalle condizioni antecedenti all’evento acuto) edall’estensione della coronaropatia, quindi della capacità delle altre aree cardiache di supplire - in termini di perfusione e contrazione - alle mancanze dell’area colpita da infarto. 

Lo spessore dell’infarto determina il rischio di rottura della parete che può essere a) la parete libera, portando al tamponamento cardiaco e a rapida morte, b) il setto interventricolare che porta ad un difetto settale, scompenso e shock, c) il muscolo papillare, che porta ad insufficienza mitralica acuta, scompenso e shock. L’estensione dell’infarto in spessore dipende infine dalla durata dell’occlusione: se il vaso viene ricanalizzato in tempo (spontaneamente e/o mediante approcci invasivi) si hanno lo sviluppo di danni minori rispetto ad infarti non ricanalizzati in tempo, che invece evolvono più facilmente verso la necrosi transmurale ed un maggiore rischio di rottura, soprattutto con l’arrivo in situ delle cellule infiammatorie che rilasciano mediatori litici.

quattro elementi chiave che sono coinvolti nel determinismo della severità dell’infarto, e che vanno sempre ricercati in ogni paziente, al fine di poter immediatamente stratificare la severità della cardiopatia ischemica, sono: a) la sede dell’occlusione del vaso (più è prossimale, maggiore è l’area di infarto), b) la contrattilità delle zone non infartuate (dipendenti dalla funzione di base e dalla estensione della coronaropatia), c) l’efficacia della riperfusione (meccanismo che permette di ridurre l’estensione dell’infarto miocardico in termini di ampiezza e spessore), d) l’intervallo di tempo fra l’occlusione e la riperfusione (minore è l’intervallo, minore è l’estensione di infarto).





DIAGNOSI:
Il sintomo cardine della malattia é tipicamente il dolore toracico (di cui discuteremo successivamente); il percorso diagnostico si basa: a) sull’esclusione di altre situazioni d’urgenza vitale (come l’embolia polmonare, lo STEMI o la dissezione aortica) per poi concentrarsi b) sulla differenziazione fra NSTEMI/angina instabile ed infine c) sulla stratificazione del rischio di mortalità/complicazioni, condizione che determina poi la tipologia di terapia.

ANAMNESI:
La presentazione clinica tipica del paziente con NSTEMI può presentare diversi sintomi, ma le caratteristiche tipiche sono la presenza di un dolore anginoso a riposo per oltre 20 minuti (condizione che é riscontrata in oltre l’80% dei pazienti con NSTEMI), la comparsa di un nuovo dolore anginoso (CCS score II-III) o la destabilizzazione di un dolore anginoso generalmente stabile (CCS III-IV) oppure la comparsa di angina post-infartuale. Le peculiarità del dolore da infarto rispetto al dolore anginoso sono  l’insorgenza a riposo (dato che il meccanismo fisiopatologico é differente a quello dell’angina cronica stabile), una maggiore intensità, una durata prolungata (almeno 20-30 minuti) e nessuna risposta alla classica terapia empirica con nitrati. In oltre la metà dei casi i sintomi compaiono in pieno benessere, mentre altre volte invece si hanno sintomi di malessere aspecifico, spesso tipici di ischemie miocardiche che possono portare anche ad un pre-condizionamento ischemico, favorendo la formazione di circoli collaterali. La sede del dolore, invece, rimane identica, con preferenza retrosternale ma anche la possibilità di distribuzione a livello del braccio sinistro, braccio destro, al collo, alla mandibola, ecc… Spesso sono presenti anche altri sintomi concomitanti, quali nausea e vomito (in circa il 50% dei pazienti, soprattutto negli infarti inferiori per attivazione del riflesso vagale), asteniaiperidrosi algidapalpitazioni accompagnate da senso di morte imminente, ecc… Praticamente si devono tenere a mentre tre casi peculiari: 1) gli infarti inferiori dato che presentano spesso sintomi gastro-enterici per iperattività vagale e possono essere diagnosticati tardivamente, 2) gli infarti nel paziente anziano che può manifestare piuttosto segni di scompenso cardiaco acuto con astenia improvvisa e/o un evento cerebrale (per cui si deve ricercare fra le cause di scompenso anche una malattia coronarica e un NSTEMI) e 3) un infarto miocardico nel diabetico, che spesso tende ad essere clinicamente silente. Tutte queste tre condizioni sono a rischio di diagnosi tardiva.

ESAME OBIETTIVO:
L'esame obiettivo in caso di sospetto infarto miocardico non serve per porre diagnosi, quando per valutare la severità del quadro clinico che si ha di fronte; l’auscultazione cardiaca può mostrare la presenza di toni aggiunti (tipici di forme di scompenso) oppure la presenza di nuovi soffi (per insufficienza mitralica o rotture del setto); l’auscultazione polmonare può mostrare rantoli e sibili compatibili con un quadro di stasi venosa polmonare. Il polso arterioso può essere aritmico (con rischio di sviluppo di aritmie fino a TV-FV), tachicardico (a rischio di scompenso cardiaco e/o per un quadro di shock cardiogeno) o bradicardico (con un maggiore rischio di asistolia); la cute può essere fredda e sudata (in caso di pre-shock/shock), ed i parametri vitali possono mostrare una progressiva ipotensione arteriosa, una tachicardia riflessa ed una desaturazione. La presenza di scompenso cardiaco acuto identifica una popolazione con una mortalità attorno al 15-20%, mentre uno stato di shock cardiogeno porta ad un incremento della mortalità fino al 50%. Pertanto possiamo concludere che l’esame obiettivo - che generalmente é nella norma - deve essere eseguito sia per escludere altre patologie sovrapposte, sia per valutare la presenza di segni di severità di malattia in merito a potenziali aritmie e/o evoluzioni verso lo shock cardiogeno (con conseguente necessità di supporto più invasivo).

ECG:
L’elettrocardiogramma svolge un ruolo fondamentale nella diagnosi (e nella diagnostica differenziale), nella stratificazione del rischio della severità di malattia e nello stabilire la sede presunta dell’occlusione coronarica. Un primo ECG a riposo va ottenuto entro 10 minuti da quando il paziente lamenta la sintomatologia anginosa e va ripetuto entro 3-6-9 ore e a 24 ore per valutare l’evoluzione elettrica ed i parametri di severità della malattia. Se si riscontrano segni per STEMI il paziente sarà trattato secondo tale condizione (vedi il prossimo capitolo dedicato alla gestione dello STEMI, Capitolo 2.6.5), altrimenti se l’ECG risulta inconclusivo (alterazioni aspecifiche delle onde T, sottoslivellamento del tratto ST, ecc…) si può presumere che ci si trovi di fronte ad una sindrome coronarica acuta e, in funzione degli esami di laboratorio, si potrà porre una diagnosi differenziale fra NSTEMI ed angina instabile.

Esistono territori «silenti» nel senso che non vengono immediatamente controllati, come una singola lesione sulla coronaria destra (che bisogna cercare tramite V3R e V4R) oppure un’ischemia lungo il territorio dell’arteria circonflessa (che bisogna cercare tramite V7-V9). I dettagli in merito alla possibilità di determinare la sede di infarto saranno meglio trattati nel capitolo dedicato allo STEMI anche se, per quello che concerne la sede di infarto, i concetti sono sovrapponibili.

BIOMARKERS:
Gli enzimi cardiaci sono enzimi contenuti all’interno della cellula miocardica, la cui rilevazione in circolo è espressione di necrosi cellulare; gli enzimi utilizzati in tale condizione sono la mioglobina, la troponina e le CK-MB. Generalmente la clinica e l’ECG permettono di porre un sospetto diagnostico immediato, ma molto spesso è necessario utilizzare gli enzimi per la conferma o l’esclusione diagnostica; quando si parla di enzimi è fondamentale conoscerne la cinetica, la sensibilità e la specificità. Il loro scopo è quello di diagnosticare l’infarto e valutarne la severità, dato che esiste una correlazione diretta fra l’area sotto la curva disegnata dagli enzimi e la severità dell’infarto. 

La mioglobina è l’enzima che si modifica più precocemente, che é già positivo dopo 1 ora, permettendo delle diagnosi precoci; essendo un enzima non è specifico, dato che è presente anche nel muscolo scheletrico, diviene diagnostico se é associato alla clinica ed all’ECG suggestivi per infarto miocardico. Tipicamente non viene utilizzato in ambito clinico quotidiano. Le CK-MB sono enzimi poco più precoci della Troponina, ma con una minore specificità rispetto alla troponina stessa; vengono anche essi utilizzati come markers prognostici in base all’area sotto la curva disegnata dal loro decorso.

La Troponina I è l’enzima più specifico in caso di infarto miocardico; aumenta ma con una maggiore latenza rispetto agli altri enzimi (si positività dopo circa 3 - 4 ore) e persiste elevato per circa 2 settimane (per la pretorili dell’apparato contrattile); in caso di infarti di piccole dimensioni può normalizzarsi già dopo 48-72 ore. Un suo incremento correla con la mortalità nella fase calda della malattia ed ha un valore aggiuntivo rispetto alle informazioni cliniche ed elettrocardiografiche, che correla con la precocità di elevazione del markers e con l’entità dell’elevazione. A livello clinico la troponina negativa permette di escludere un infarto (VPN superiore al 99%), anche se il punto importante é come stabilire il limite di normalità della troponina (soprattutto con troponine di «vecchia generazione»). Lo sviluppo recente della troponina ultra-sensibile (hsTroponin) si é dimostrata in grado di detettare con maggiore frequenza e soprattutto più precocemente la presenza di infarto: una seconda troponina negativa a 3 ore é in grado di escludere un infarto al 100%. Bisogna infine ricordarsi che la troponina può essere elevata anche in altre condizioni cliniche come in caso di embolia polmonare, dissezione vascolare aortica, ecc…

IMAGING:
Nella fase acuta di infarto, il ruolo dell’ecocardiografia è minoritario, assumendo più importanza nelle fasi seguenti, nella valutazione successiva all’intervento acuto e nel follow-up. In pronto soccorso gli scopi dell’esame sono: a) porre una diagnosi differenziale verso altre patologie differenti dall’infarto (con una terapia differente), b) confermare la diagnosi e la sede di infarto (mediante l’analisi dei segmenti ipo/acinetici) e c) valutare la severità dell’infarto (mediante l’analisi degli effetti dell’infarto sulla funzione sistolica ventricolare). Per i dettagli in merito alla valutazione della disfunzione sistolica e della disfunzione diastolica si rimanda ai capitoli dedicati (Capitoli 2.7.1 e 2.7.3) ed alla sezione dedicata all’ecocardiografia in ICU (Sezione 13). 

La risonanza magnetica cardiaca si é dimostrata in grado di integrare la valutazione della funzione cardiaca e della perfusione e detettare il tessuto cicatriziale in una sola sessione; purtroppo la tecnica é lunga e non é sempre facilmente disponibile. Diversi studi hanno dimostrato l’utilità di questa tecnica per poter escludere la presenza di una sindrome coronarica acuta e porre una corretta diagnosi differenziale con miocarditi o altre patologie. La cardioTC non é invece utile per la diagnosi di ischemia, mentre si é dimostrata affidabile per la visualizzazione diretta delle coronarie, per cui ha l’utilità potenziale di escludere la presenza di una preesistente coronaropatia.

L’angiografia coronarica (come metodica diagnostica) é il gold standard diagnostico dato che é in grado di provvedere in maniera unica al grado di perfusione coronarica ed alla presenza di lesioni coronariche, permettendo inoltre di iniettare farmaci e/o eseguire manovre invasive. Grazie a tale tecnica, con lo studio FRISC-2 si é dimostrato che nei pazienti con NSTEMI instabile il 30-38% aveva una coronaropatia monovasale, mentre il 44-59% dei pazienti presentava una patologia multivascolare (inteso per stenosi superiori al 50% del lume vascolare).



PROGNOSI:
In aggiunta ai classici fattori di rischio (età avanzata, diabete mellito, insufficienza renale, ecc…), la presenza clinica all’arrivo in Pronto Soccorso é un parametro prognostico importante: la presenza di instabilità emodinamica, di edema polmonare acuto e di sintomi a riposo sono fattori clinici di rischio aumentato di mortalità in questa popolazione. A livello ECG le alterazioni precoci sono un altrettanto fattore di rischio, soprattutto la depressione del tratto ST, l’entità della depressione ed il numero di derivazioni coinvolte. Per gli enzimi cardiaci, l’area sotto la curva rappresentata dalla troponina correla con l’entità dell’infarto ed il rischio di complicanze; anche un aumento precoce dei valori di PCR ultrasensibile (hsCRP) o dei valori di BNP o del tratto N-terminale (pro-BNP) sono valori sensibili e specifici di una disfunzione cardiaca, con un rischio di morte aumentato di 3-5 volte rispetto alla norma. L’iperglicemia e l’insufficienza renale all’ingresso sono altri fattori prognostici negativi. 

Le cause di morte nella fase acuta di infarto sono aritmie maligne che insorgono soprattutto nella fase pre-ospedaliera (anche per infarti di piccole dimensioni), lo scompenso cardiaco acuto che evolve verso lo schock cardiogeno, il danno multiorgano (spesso in funzione dell’estensione dell’infarto), oppure complicanze meccaniche che evolvono rapidamente verso il tamponamento cardiaco o infine forme di shock cardiogeno. Appare pertanto importante ottenere degli scores che possono aiutare nella stratificazione del rischio e nel decision making della presa a carico di questi pazienti.

Il GRACE score é uno score che fornisce una stratificazione accurata del rischio di mortalità sia all’ingresso che alla dimissione del paziente; la complessità del calcolo e la necessità di software per calcolarlo, oltre all’aggiunta di proBNP sono fra i fattori che lo rendono sensibile, potente ma difficile da calcolare per tutti i pazienti. Il TIMI-score prende in considerazione solamente 6-7 variabili, per cui é semplice da eseguire, ma non prende in considerazione altre variabili importanti come il Killip-score, la frequenza cardiaca e la pressione sistolica.




TERAPIA FARMACOLOGICA:
TERAPIA ANTI-ISCHEMICA:
Si tratta di un gruppo di farmaci che si sono dimostrati in grado di ridurre il consumo di ossigeno (riducendo la frequenza, la pressione arteriosa, il precarico e/o la contrattilità cardiaca) oppure migliorando il supporto di ossigeno a livello miocardico.

B-bloccanti:
Sono farmaci che inibiscono in maniera competitiva gli effetti delle catecolamine circolanti e riducono il consumo miocardico di ossigeno riducendo la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la contrattilità; gli effetti benefici sono stati dimostrati nella popolazione STEMI e con angina stabile e sono stati estrapolati anche per questa popolazione. È fondamentale portare progressivamente le dosi di B-bloccante al livello massimo del farmaco o tollerato dal paziente, in modo da raggiungere il massimo effetto benefico. Attualmente nessuno studio mostra alcun beneficio in termini di mortalità se il farmaco viene impostato nelle prime 8 ore dall’evento acuto, pertanto al momento l’effetto benefico sembra essere riservato a medio-lungo termine.

Nitrati:
Il loro utilizzo si basa soprattutto su considerazioni fisiopatologiche e su una lunga esperienza clinica; il loro maggiore effetto benefico si pensa sia legato all’effetto veno-dilatatore con porta ad una riduzione del pre-carico e del volume telediastolico ventricolare sinistro, portando ad una riduzione del consumo di ossigeno. L’effetto di dilatazione dei vasi con arteriosclerosi é un concetto da riconsiderare in quanto i vasi con placche stenosanti sono già dilatate al massimo prima che la placca - continuando ad evolvere - cresca a livello endoluminale; pertanto la somministrazione di nitrati in tale ambito, non farebbe che vasodilatare i vasi non dilatati, facilitando un meccanismo che prende il nome di «furto di sangue». Qualora si debbano somministrare, si preferisce la somministrazione IV (Sorbidilat 0-10 mg/h IV) per la possibilità di titrare la terapia in funzione dell’evoluzione clinica. Da ricordare la loro controindicazione (o comunque una precauzione d’uso) in caso di disfunzione ventricolare destra, ipertensione polmonare, utilizzo di inibitori delle fosfodiesterasi (sildenafil, vardenafil, ecc…) per il rischio di vasodilatazione massiva e caduta eccessiva della pressione arteriosa.

Altri:
Il Nicorandil, un farmaco che agisce aprendo i canali del potassio, si é dimostrato utile nel migliorare alcuni end-point clinici in pazienti con angina cronica stabile, ma non é mai stato ufficialmente testato nella popolazione con NSTEMI. L’Ivabradine inibisce selettivamente le correnti If, ma ad oggi é indicato quando si ha una controindicazione o una mal-tolleranza all’uso di B-bloccanti. La Ranolazina agisce sulle correnti del sodio ma i suoi effetti benefici sono soprattutto anti-anginosi e sul medio-lungo termine.


TERAPIA ANTIAGGREGANTE:
L'attivazione piastrinica e l'aggregazione giocano un ruolo dominante nella propagazione della trombosi arteriosa e di conseguenza sono i principali bersagli terapeutici nella gestione dell'infarto. La terapia antiaggregante deve essere istituita il più presto possibile quando la diagnosi è realizzata, in modo da ridurre il rischio di complicazioni sia ischemiche acute ed eventi aterotrombotici ricorrenti. Le piastrine possono essere inibite da tre classi di farmaci, ciascuno dei quali ha un distinto meccanismo d'azione.

L'aspirina (acido acetilsalicilico) si rivolge alle ciclo-ossigenasi (COX-1), inibendo la formazione di trombossano A2 ed inducendo una inibizione funzionale durevole nelle piastrine; tuttavia, altre  percorsi complementari devono essere inibiti al fine di garantire il trattamento e la prevenzione efficace della trombosi coronarica. Legandosi al recettore piastrinico P2Y12, l'ADP svolge un ruolo importante nell'attivazione ed aggregazione delle piastrine, amplificando la risposta iniziale al danno vascolare. Gli antagonisti del recettore P2Y12 sono i principali strumenti terapeutici nelle sindromi coronariche acute. Le tienopiridine come il clopidogrel ed il prasugrel sono attivamente biotrasformati in molecole che si legano irreversibilmente al recettore P2Y12. Una nuova classe di farmaci è il ticagrelor, che senza biotrasformazione lega reversibilmente il recettore P2Y12. Gli antagonisti del recettore GPIIb/IIIa come l'abciximab, l'eptifibatide ed il tirofiban hanno come obiettivo la via finale comune dell'aggregazione piastrinica.

TERAPIA ANTICOAGULANTE:
Gli anticoagulanti sono usati nel trattamento dell'infarto miocardico per inibire la generazione e/o l'attività della trombina, riducendo così tutti gli eventi correlati alle trombosi; ci sono evidenze che la terapia anticoagulante è efficace oltre all'inibizione piastrinica e che la combinazione dei due è più efficace di ciascun trattamento da solo. Diversi anticoagulanti che agiscono a diversi livelli della cascata della coagulazione, sono stati indagati o sono sotto inchiesta in caso di NSTEMI e sono gli inibitori indiretti della coagulazione (che hanno bisogno dell'antitrombina per la loro piena azione) come gli inibitori indiretti della trombina (come l'eparina a basso peso molecolare e l'eparina non frazionata), gli inibitori indiretti del fattore Xa (eparina non frazionata, Fondaparinux) oppure gli inibitori diretti della coagulazione come gli inibitori del fattore Xa (apixaban, rivaroxaban) o gli inibitori diretti della trombina (bivalirudina, dabigatran, ecc...).

RIVASCOLARIZZAZIONE CORONARICA:
La rivascolarizzazione per gli NSTEMI allevia i sintomi, accorcia la degenza in ospedale e migliora la prognosi; le indicazioni e le tempistiche per la rivascolarizzazione miocardica e la scelta dell'approccio preferito (PCI o CABG) dipendono da molti fattori, tra cui le condizioni del paziente, la presenza di elementi di rischio, le comorbidità e l'estensione e la gravità delle lesioni individuate mediante angiografia coronarica.

La stratificazione del rischio deve essere effettuata il più presto possibile per identificare rapidamente i soggetti ad alto rischio e ridurre il ritardo a un approccio invasivo precoce; tuttavia, i pazienti con NSTEMI rappresentano una popolazione eterogenea in termini di rischio e la prognosi. Questo va dai pazienti a basso rischio che beneficiano di un trattamento conservativo ad un approccio invasivo selettivo per i pazienti ad alto rischio di morte e di eventi cardiovascolari, che dovrebbero essere trattati rapidamente per angiografia e rivascolarizzazione. Pertanto, tale stratificazione del rischio è fondamentale per la gestione ottimale del paziente. L'analisi del profilo di rischio del paziente può essere effettuata mediante la valutazione dei criteri di alto rischio generalmente accettati e/o che applicano punteggi di rischio predefiniti, come il punteggio di rischio GRACE.

Molti studi randomizzati controllati e meta-analisi hanno valutato gli effetti di una terapia invasiva contro una terapia conservatrice a breve e lungo termine; il vantaggio di rivascolarizzazione è difficile da confrontare e tende ad essere sottovalutato in questi studi a causa delle differenti proporzioni di pazienti nei cross-over degli studi. In generale, il vantaggio è più pronunciato quando la differenza nei tassi di rivascolarizzazione tra i bracci invasive e conservative è alto. Inoltre, la selezione dei pazienti può essere polarizzata, come alcuni studi inclusi tutti i pazienti consecutivi mentre altri esclusi pazienti gravemente instabili.

La tempistica ottimale per l'angiografia e la rivascolarizzazione in caso di NSTEMI è stata ampiamente studiata; tuttavia i pazienti a rischio molto elevato, vale a dire quelli con angina refrattaria, insufficienza cardiaca grave, aritmie ventricolari pericolose per la vita o instabilità emodinamica, erano generalmente non inclusi negli studi, al fine di non rifiutare il trattamento potenzialmente salva-vita. Tali pazienti possono avere evoluzione verso gli STEMI e devono essere adottate per un immediato la valutazione invasiva, indipendentemente dall'ECG o dai risultati dei biomarker.



PCI E CABG:
Nei pazienti con NSTEMI non ci sono studi randomizzati che vanno a comparare i due elementi, dato che tutti gli studi che hanno confrontato strategie precoci vs tardive oppure intravascolari vs chirurgiche hanno sempre avuto una scelta medica come determinante principale. Dopo che viene stabilizzata la fase iniziale, la scelta della rivascolarizzazione appare simile all’angina stabile (si veda il capitolo apposito dedicato all’Angina Cronica Stabile, Capitolo 2.6.2); la maggior parte dei pazienti presenta una malattia monovasale, ma quasi il 50% appare comunque avere una malattia trivasale e qui la scelta fra le due terapie appare più complessa, dato che si deve basare sullo status clinico del paziente, sulla tipologia di lesione e sulle caratteristiche degli altri vasi.

Generalmente in caso di malattia monovasale la scelta é soprattutto una terapia con PCI, mentre in caso di malattia trisavole bisogna sapere che il tasso di successo interventistico é più basso rispetto ai pazienti monovasali, ma la mortalità/morbidità appaiono sovrapponibili. Nello studio ACUITY é stato eseguito un confronto tramite propensity score fra la PCI ed il CABG fra i pazienti con NSTEMI; la PCI appare dotata di minore tasso di ictus, infarto miocardico, sanguinamento, insufficienza renale rispetto al gruppo CABG ed una mortalità ad un mese ed un anno sovrapponibili al gruppo CABG. Ma a lungo termine si presenta un maggiore tasso di rivascolarizzazioni non-programmate rispetto al gruppo CABG. Inoltre, sembra esserci un trend (sebbene non significativo) verso la comparsa di eventi cardiovascolari maggiori.

Ulteriori dettagli in merito alla popolazione a rischio (pazienti anziani, pazienti con diabete mellito, pazienti con insufficienza renale, con insufficienza cardiaca, obesi, ecc… sono disponibili nelle linee guida attuali della ESC (European Society of Cardiology).



MANAGEMENT:
Abbiamo brevemente accennato agli elementi principali riguardanti pazienti con NSTEMI; appare però utile rivedere tutti questi elementi in una strategia di management e di presa a carico che sia più globale ed evidence-based per poter migliorare la presa a carico e l’oucomes di questi pazienti, basandosi su un sistema a 5 stadi.

FASE 1: VALUTAZIONE INIZIALE
Dolore toracico o oppression toracica devono portare a pensare ad una sindrome coronarica acuta, con tutta la diagnostica differenziale a cui abbiamo già accennato precedentemente in questo ed in altri capitoli. Un paziente con NSTEMI deve essere valutato in ospedale ed immediatamente stratificato in merito al suo rischio clinico. Si deve eseguire in 10 minuti dall’arrivo in Pronto Soccorso una valutazione clinica (che tenga conto della tipologia e qualità dei sintomi, delle cause scatenanti e delle malattie cardiovascolari pre-esistenti per poter iniziare a sospettare quale sia la probabilità che il dolore sia di origine toracica), un ECG ed eseguire un prelievo per CK/troponina, creatinina, emocromo con formula leucocitaria, glicemia ed altri test standard.

Si deve pertanto riuscire ad arrivare ad una diagnosi di sindrome coronarica acuta (se il caso) ed eseguire all’interno di essa una distinzione (come discusso nel capitolo precedente dedicato all’Angina Instabile, Capitolo 2.6.3) fra STEMI, NSTEMI ed Angina Instabile. La terapia iniziale prevede la somministrazione di ossigeno (per SpO2 superiori a 94%), nitrati (se non controindicato) per PAm fra 65-90 mmHg e Morfina fra 3-5 mg IV.

FASE 2: VALIDAZIONE DELLA DIAGNOSI E STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO
Dopo che il paziente viene riconosciuto come affetto da NSTEMI si deve iniziare la somministrazione della terapia anti-trombotica come discusso precedentemente, eventualmente associato ad un beta-bloccante (se il paziente non é bradicardico e/o non presenta un infarto inferiore). Si deve inoltre valutare la risposta alla terapia anti-anginosa precedentemente impostata, eseguire nuovamente un ECG per valutare l’evoluzione del tratto ST, eseguire il GRACE-score (stratificazione del rischio), il CRUSADE score (per il rischio di sanguinamento), una radiografia del torace ed eventualmente un ecocardiografia TT.

FASE 3: STRATEGIA INVASIVA
Dopo che si pone la diagnosi di NSTEMI si deve discutere se il paziente deve essere trattato in maniera conservativa, oppure in maniera invasiva (che può essere urgente a 120 min oppure precoce se entro le 24 ore oppure semi-elettiva entro 72 ore). La scelta fra i tre trattamenti dipende da diverse variabili legate al paziente, al suo profilo di rischio ed alle malattie di base.

La strategia invasiva urgente (entro 120 minuti) é riservata ai pazienti ad altissimo rischio, fra cui quelli con angina refrattaria che stanno evolvendo verso un infarto miocardico pur senza anomalie ST, pazienti con angina refrattaria nonostante il trattamento massimale associato a depressione ST oltre 2 mm e/o inversione delle onde T, sintomi clinici di scompenso cardiaco o instabilità emodinamica (eventualmente da associare ad un contropulsatore aortico) o pazienti che sviluppano aritmie mortali. La strategia invasiva precoce (entro 24 ore dal primo contatto medico) é riservato per pazienti che inizialmente rispondono alla terapia anti-anginosa impostata, ma che sono ad elevato rischio clinico e che richiedono un’angiografia seguita da rivascolarizzazione. Sono i pazienti on GRACE-score superiore a 140. La strategia invasiva semi-elettiva (entro le prime 72 ore dall’arrivo in Pronto Soccorso) é per i pazienti che presentano un rischio GRAVE inferiore a 140 punti, e che non presentano sintomi ricorrenti.

La strategia conservativa viene riservata per pazienti con basso rischio per l’assenza di dolore toracico, l’assenza di segni di scompenso cardiaco, l’assenza di anomalie all’ECG al secondo controllo (6-9 ore), nessun aumento della troponina e nessun segno di ischemia indicibile allo sforzo.

FASE 4: MODALITÀ DI RIVASCOLARIZZAZIONE
Se l’angiografia mostra la presenza di una malattia vascolare senza placca colpevole dell’evento il paziente viene inviato a proseguire tramite una terapia medica; se il paziente presenta una malattia mono/bi/tri-vasale, in base alle caratteristiche di cui abbiamo accennato precedentemente sarà indirizzato per una PCI oppure per un CABG.

FASE 5: DIMISSIONE OSPEDALIERA
Nonostante nei pazienti con NSTEMI gli eventi principali occorrano nelle prime ore e nei primi giorni, il rischio di infarto miocardico e/o di morte rimane elevato per diversi mesi; le aritmie fatali (2.5% dei pazienti dopo rivascolarizzazione precoce) occorrono nell’80% dei casi nelle prime 12 ore dai sintomi. Per questo, i pazienti dopo essere stati rivascolarizzati, vengono sottoposti ad un monitoraggio per 24-48 ore per poi essere dimessi proseguendo con la terapia e con le indicazioni che andremo a vedere nella sezione seguente.



PREVENZIONE SECONDARIA:
La prevenzione secondaria ha lo scopo di portare ad una riduzione del tasso di recidive di infarti miocardici e ad un miglioramento della sopravvivenza globale; generalmente si utilizza l’acronimo ABCDEF come guida di approccio alla terapia.

A come antiaggreganti e ACE-inibitori: l’ASA è l’antiaggregante di scelta nei pazienti post-infarto miocardico, si somministra a dosi di 75-325 mg die PO (generalmente 100 mg die PO) a vita; si è dimostrato in grado di ridurre il tasso di ricorrenza di nuovi infarti, ictus ischemici e morti cardiache. Il Clopidogrel 75 mg die PO si è dimostrato una valida alternativa nei pazienti in cui la terapia con ASA è controindicata (intolleranza fisica/psicologica, sanguinamenti gastro-enterici significativi, ecc…) e viene aggiunto all’ASA dopo il posizionamento di stent (si parla di doppia antiaggregazione) al fine di evitare la trombosi dello stesso stent, la cui durata è variabile in funzione della tipologia di stent utilizzato (12 mesi per quelli ricoperti da farmaci, 4 settimane per quelli metallici). Eventuali anticoagulanti vanno somministrati nei casi in cui si abbia una persistenza di FA, dilatazioni ventricolari severe,  sacche aneurismatiche, ecc… Gli ACE-inibitori sono farmaci che si sono dimostrati in grado di ridurre la mortalità, l’incidenza di scompenso cardiaco ed i tassi di recidive di infarto nei pazienti che presentano una disfunzione ventricolare sinistra (con EF inferiore al 40%) e/o post-infarto miocardico; vanno utilizzati alla massima dose tollerata per ottenere tale effetto prognostico e, in ambito di prevenzione secondaria, vanno utilizzati indefinitamente. I sartani vengono utilizzati in quelle situazioni in cui la terapia con ACE-inibitori provoca side effects importanti (tosse, angioedema, iperkaliemie, ecc…), ma non vengono utilizzati come prima scelta dato che non si hanno a disposizione gli stessi dati prognostici che per gli ACE-inibitori.

B come ß-bloccanti: sono farmaci che si sono dimostrati in grado di ridurre il tasso di recidiva di nuovi infarti miocardici e di aritmie. Generalmente vengono utilizzati farmaci ad azione non-selettiva o ß1-selettiva, e vanno utilizzati alla massima dose tollerata (valutando clinicamente, mediante ECG, ecc…), con particolare attenzione nei pazienti con disfunzione sistolica. Sono il Metoprololo 100 mg bid, Atenololo 100 mg die PO, Timololo 10 mg bid PO, Propranololo 80 mg tid PO, ecc…

C come colesterolo e cigarettes: in caso di prevenzione secondaria è fondamentale impostare una terapia con anti-lipemici PO (generalmente statine) allo scopo di mantenere i valori di colesterolemia al di sotto di cut-off molto più stringenti che per i pazienti non affetti da cardiopatia ischemica; sono farmaci che vanno mantenuti a vita. E’ fondamentale anche impostare da subito un’astensione dal fumo (sia attivo che passivo), per ridurre notevolmente l’incidenza di eventi cardiovascolari; a tal fine può essere utile utilizzare tecniche farmacologiche e/o di counceling psicologico allo scopo di facilitare la persistenza dell’astensione dal fumo.

D come dieta e diabete: lo scopo della dieta è quello di raggiungere un BMI inferiore a 25 Kg/mq, dato che pazienti con BMI superiore tendono ad avere un tasso di eventi cardiovascolari maggiori rispetto ai controlli. A livello glicemico è fondamentale un buon controllo quotidiano del diabete, con valori di HbA1C inferiori al 7%.

E come esercizio ed educazione: è fondamentale nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica impostare una riabilitazione cardiovascolare (generalmente 3 - 4 giorni alla settimana, con ogni seduta della durata di 30-60 minuti) allo scopo di ridurre notevolmente i fattori di rischio cardiovascolare e soprattutto migliorare la performance cardiaca; è stato dimostrato una notevole efficacia in termini di sopravvivenza globale nei pazienti sottoposti successivamente a riabilitazione cardiovascolare. Rimane inoltre fondamentale una corretta educazione del paziente (attraverso colloqui specialistici e lezioni tematiche) allo scopo di sensibilizzarlo su tematiche concernenti i fattori di rischio cardiovascolari, la terapia farmacologica, i consigli dietetici, l’attività fisica, ecc… con lo scopo di ridurre i tassi di recidive di malattie cardiovascolari.

F come Follow-up: il primo anno post-infarto generalmente si impostano delle visite di follow-up ogni 4-12 mesi, per poi proseguire ogni 12 mesi con un controllo ambulatoriale. Va spiegato al paziente che, in caso di peggioramento clinico improvviso, è fondamentale eseguire controlli clinici più approfonditi e più ravvicinati. Durante la visita ci sono 5 domande-guida cui rispondere:
  • dall’ultima visita si è ridotto il livello di attività fisica?
  • è cambiato il pattern anginoso del paziente dall’ultimo controllo?
  • come è tollerata la terapia?
  • c’è stato una modificazione dei RF cardiovascolari?
  • qual è lo status clinico-funzionale attuale del paziente?
In caso di pazienti con disfunzione sistolica (e/o quadri variabili di scompenso cardiaco) eventualmente va aggiunta alla clinica una radiografia del torace, una ecocardiografia TT, e tutto il pannello diagnostico per valutare lo status coronarico del paziente. La riabilitazione post-infarto é una branca della Medicina complesso e specialistico, che coinvolge la Medicina Interna e la Medicina Riabilitativa, per cui si rimanda ai testi specifici per la gestione di tali situazioni.

(continua…)


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