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Chirurgia ad alto rischio - Neurochirurgia (Capitolo 7.1.8)



Un'adeguata presa a carico neuro-intensiva è fondamentale per il successo degli interventi neurochirurgici al cervello ed al midollo spinale. Negli ultimi anni grandi progressi tecnici nelle procedure operatorie hanno trasformato lesioni precedentemente considerate inoperabili come trattabili, ed i progressi in anestesia hanno portato ad un aumento del numero di procedure operative sia in pazienti anziani che in paziente in condizioni critiche. Di conseguenza, il numero di pazienti che necessitano di terapia intensiva postoperatoria è andato aumentando.


Una cura di successo per il paziente neurochirurgico richiede una stretta collaborazione tra diversi specialisti: i neurochirurghi, gli intensivisti ed i neuroradiologi. Il risultato di un'operazione tecnicamente perfetta può essere rovinata da inadeguate cure post-operatorie; una procedura operatoria complessa richiede pertanto un esperto di terapia intensiva per correggere le anomalie nei meccanismi omeostatici, garantire un'adeguata perfusione cerebrale ed un’adeguata ossigenazione, oltre a promuovere il recupero delle funzioni cerebrali. La complessa interazione tra il sistema nervoso centrale (SNC) e il funzionamento sistemico richiede una profonda conoscenza sia di terapia intensiva generale che di fisiopatologia cerebrale e spinale. L’anticipazione ed una risposta precoce prima dello sviluppo conclamato di complicazioni sono le caratteristiche distintive di una buona cura in questo senso. Ad esempio, quando i livelli di sodio plasmatico stanno lentamente diminuendo, la correzione dovrebbe essere attuata prima di sviluppare una iponatriemia importante, in quanto ciò potrebbe portare ad un aumento edemadell’ cerebrale. La migliore cura per i pazienti neurochirurgici può essere fornita da specialisti dedicati con la conoscenza di entrambi i campi ed una grande quantità di esperienza nel trattamento di queste situazioni.

Il trattamento dei pazienti con emorragia intracerebrale spontanea in un reparto di terapia terapia neurointensiva è associato ad una riduzione della mortalità rispetto ai pazienti ricoverati in un reparto di terapia intensiva generale (ICU). La mortalità a seguito di un’emorragia subaracnoidea su aneurisma è inferiore nei centri con un volume più alto di casi. L'obiettivo principale della fase post-operatoria neurochirurgica in terapia intensiva è la diagnosi ed il trattamento precoce delle complicanze post-chirurgiche. Di conseguenza, le priorità sono di garantire la presenza di adeguate apparecchiature di monitoraggio, che possono nel paziente sedato e ventilato richiedere un monitoraggio ulteriormente invasivo del sistema intracranico, per assicurare un'adeguata ossigenazione e perfusione del cervello.


DANNI SECONDARI:
La prevenzione e la gestione delle complicanze sistemiche dopo le procedure neurochirurgiche segue i principi generali della terapia intensiva. È tuttavia importante rendersi conto che le complicanze sistemiche ed i danni secondari possono sempre svilupparsi ed aggravare il danno cerebrale; il trattamento aggressivo, volto a prevenire e limitare tali insulti è di fondamentale importanza. I principali secondo insulti, le loro cause e gli effetti negativi sulla omeostasi e le funzioni cerebrali sono riassunti nella tabella seguente



Al contrario, la situazione può complicarsi, perché gli eventi del SNC possono indurre uno squilibrio sistemico; ad esempio, in risposta ad aumento della pressione intracranica (ICP) la pressione arteriosa media può aumentare come meccanismo compensatorio per garantire un'adeguata perfusione cerebrale; in tali situazioni, il trattamento dell'ipertensione appare controindicato, in quanto ciò potrebbe aggravare l'ischemia cerebrale. In altre situazioni, invece, l'ipertensione arteriosa può aggravare l'insorgenza di edema cerebrale o aumentare il rischio di emorragia intracranica. I neurochirurghi possono richiedere la prevenzione di qualsiasi episodio di ipertensione arteriosa in situazioni in cui un'adeguata emostasi risulta difficile, o al contrario potrebbero desiderare di mantenere la pressione arteriosa a livelli relativamente elevati quando un vasospasmo cerebrale può essere un problema, per esempio dopo un intervento chirurgico di aneurisma cerebrale. La conoscenza dei risultati operatori e la stretta interazione con il chirurgo sono di fondamentale importanza.

Molti farmaci comunemente impiegati nei pazienti neurochirurgici (ad esempio gli steroidi o i farmaci antiepilettici) possono causare complicazioni o effetti collaterali; pertanto la consapevolezza dei potenziali effetti collaterali è essenziale. Un danno al sistema nervoso centrale, in particolare per la regione ipotalamica, al tronco encefalico ed al midollo spinale cervicale può portare a disturbi nel controllo della temperatura, causando ipo/ipertermia. Nei pazienti con lesioni del midollo spinale, la perdita della funzione autonomica simpatica può inoltre portare a vasodilatazione periferica e ipotensione arteriosa.

DISFUNZIONE CARDIACA
Esistono situazioni cerebrali, tipicamente l’emorragia subaracnoidea, dove si sviluppano anomalie all’ECG, come alterazioni diffuse del tratto ST (che mimano un’ischemia cardiaca) piuttosto che aritmie cardiache; lo stesso può essere provocato da trauma cranico o in caso di ipertensione intracranica. Gli effetti devastanti di un improvviso rilascio di catecolamine seguenti all’emorragia intracranica acuta possono portare ad un grado di disfunzione ventricolare sinistra variabile, ma che può portare ad insufficienza cardiaca estrema ed edema polmonare.

EDEMA POLMONARE NEUROGENO
Lo sviluppo di edema polmonare neurogeno è stata descritto all'inizio del periodo post-operatorio dopo una serie di procedure neurochirurgiche, tra cui i tumori del cervello (in particolare quelli nella fossa cranica posteriore), il trattamento di cisti, di idrocefalia, di emorragie intracraniche o di lesioni del tronco encefalico. Anche se un evento raro, questa situazione appare potenzialmente mortale (9% di mortalità) e richiede una valutazione rapida. Generalmente questa complicazione appare nelle prime 4 ore dopo l'evento neurologico ed è più comune nelle donne che negli uomini, forse legato alla preponderanza femminile di casi nei pazienti con emorragia subaracnoidea. 
I meccanismi alla base di questa condizione non sono chiari: un improvviso scarico di amine da parte del sistema simpatico  può scatenare una vasocostrizione polmonare, un’ipertensione arteriosa sistemica, ed un aumento del post-carico ventricolare sinistro associato ad un’aumentata permeabilità capillare nel letto vascolare polmonare, con eventualmente una contemporanea ischemia cardiaca può portare ad un’insufficienza ventricolare. A causa di questi meccanismi multipli, l’edema polmonare neurogeno può essere interpretato come cardiogenico o, almeno in parte, come cardiogeno. Per attenuare la scarica simpatica massiccia, si utilizzano oppioidi e sedativi. La terapia in caso di edema polmonare neurogeno appare la stessa dell’edema polmonare di origine cardiogena (ossigeno, ventilazione meccanica con PEEP; diuretici, controllo del post-carico ventricolare sinistro). 

IPERCOAGULABILITÀ
Il rilascio di fattori di tessuto cerebrale danneggiato può indurre uno stato di iper-coagulabilità locale e sistemica; diversi studi hanno confermato una sindrome di ipercoagulabilità transitoria sia in fase postoperatoria immediata dopo chirurgia del cervello che nei pazienti con trauma cranico. In pazienti con ematoma subdurale, il consumo dei fattori di coagulazione può portare ad una coagulopatia fino al 22% dei pazienti.

Una trombosi venosa profonda è stato riscontrata dal 18% al 50% di pazienti neurochirurgici, mentre embolie polmonari dallo 0% al 25%; trombosi ed embolie sono risultate particolarmente elevate nei pazienti con tumore al cervello. Tuttavia, i colleghi neurochirurghi tendono a sottovalutare il rischio di tali fenomeni e sono a volte restii a prescrivere regolarmente delle profilassi anticoagulanti per paura di aumentare il rischio di sanguinamento post-operatorio. Opzioni per la prevenzione della profilassi della trombosi in pazienti neurochirurgici includono sia calze a compressione graduata, che calze a compressione pneumatica intermittente. Nel complesso, gli studi esistenti dimostrano che gli effetti benefici nel ridurre le trombosi (e le embolie) superano di poco l’aumento del rischio di complicazioni emorragiche con l’uso di profilassi anticoagulanti. Questi dati supportano la somministrazione di profilassi antitrombotica nei pazienti sottoposti a procedure neurochirurgiche, compresi quelli con lesioni emorragiche intracraniche, trauma cranico chiuso o pazienti traumatizzati ad alto rischio. 



ALL'ARRIVO IN ICU
Quando il paziente arriva in ICU dopo l’intervento neurochirurgico, bisogna porre particolare attenzione al monitoraggio del paziente, avendo precisa conoscenza della situazione preoperatoria e intraoperatoria della procedura, compresa la fase chirurgica, la fase anestesiologica e le eventuali complicanze chirurgiche o difficoltà ad essa correlate.



Al momento del ricovero, è necessario un esame completo del paziente; laddove possibile, questo include la valutazione di livello di coscienza e del funzionamento neurologico; la scelta della terapia deve essere concordata fra l’intensivista ed il neurochirurgo. Nonostante lo sviluppo di avanzate procedure di monitoraggio, gli esami clinici di routine risultano sempre essenziali; la valutazione clinica ha lo scopo di osservare la presenza di complicanze pericolose per la vita nella fase precoce post-intervento e di valutazione e monitoraggio deficit neurologici nelle ore e nei giorni successivi.

VALUTAZIONE PRECOCE
Un semplice controllo dello stato di coscienza, e di eventuali deficit focali (in particolare a livello motorio) rimane il metodo più importante per la valutazione dei pazienti in terapia intensiva neurochirurgica. La valutazione neurologica deve essere ripetuta a intervalli regolari durante il corso della degenza in terapia intensiva; il cambiamento dell'esame è il metodo più sensibile per rilevare un eventuale deterioramento neurologico. Il livello di coscienza deve essere valutato tramite Glasgow Coma Scale (GCS), di cui abbiamo già parlato nei capitoli precedenti (si veda tutto il Capitolo 1.0 dedicato all'esame obiettivo neurologico). 

La determinazione accurata del GCS non è sempre possibile a causa della sedazione e della paralisi, ma quando possibile, almeno il miglior punteggio del motorio deve essere registrato. Approcci con interruzione giornaliera della sedazione intermittente che permettono in pazienti ventilati dei brevi risvegli non solo aiutano gli operatori a monitorare lo stato neurologico, ma hanno anche dimostrato di portare ad un migliore risultato in termini di sopravvivenza e minore giorni di degenza al ventilatore. 




MONITORAGGIO SISTEMICO
L'obiettivo del monitoraggio cardiopolmonare e respiratorio è quello di garantire un controllo accurato dell’emodinamica sistemica e della funzione respiratoria, situazioni essenziali per l'ottimizzazione dell’ossigenazione cerebrale. Il monitoraggio invasivo della pressione arteriosa è raccomandato, con il punto zero impostato allo stesso livello del punto di misurazione della ICP per permettere il calcolo preciso della pressione di perfusione cerebrale (CPP). 

Uno stato di shock ipovolemico è la condizione più comune nel caso di politrauma oppure in sanguinamento intraoperatorio con sostituzione inadeguata; é importante riconoscere che la tachicardia ed i segni di vasocostrizione periferica (pallore cutaneo, ritardo di riempimento capillare) sono segni precoci di ipovolemia. In questi casi il trattamento è la rapida reintegrazione dei liquidi che con cristalloidi isotonici ed eventuali trasfusioni di sangue. Dopo il volume iniziale, si consiglia un ematocrito attorno al 30-33% nel periodo postoperatorio; anche se il dibattito esiste ancora, prove disponibili indicano che le strategie restrittive di trasfusione di sangue possono essere meno appropriato per questa tipologia di pazienti.

MONITORAGGIO CEREBRALE
Rispetto al contesto cardiaco di terapia intensiva, le possibilità di monitoraggio cerebrale sono ancora relativamente limitate; in caso di disfunzione cardiaca, i parametri misurati di routine comprendono una moltitudine di indici di pressione e di una serie di diversi marcatori sierici per determinare se il cuore è a rischio di ulteriori lesioni. Fisiologicamente, il cuore è monitorato tramite elettrocardiografia, ecocardiografia, PiCCO ed altri sistemi.  Al contrario, il monitoraggio di routine del cervello è limitato nella maggior parte dei centri di monitoraggio alla ICP (e quindi alla CPP), anche se il campo è in rapida evoluzione con nuove tecniche sperimentali che stanno entrando nella pratica clinica. Il monitoraggio dell’ossigenazione cerebrale è ora sempre più attuato ed anche l’EEG continuo viene eseguito in alcuni centri. I progressi nel campo dei biomarcatori sono incoraggianti e offrono la speranza che la rilevazione e il monitoraggio dei processi fisiopatologici nel cervello possono ora essere a portata di mano.





Come già detto, gli attuali sistemi di monitoraggio specifico del cervello comprendono misure di ICP, l’ossigenazione cerebrale, il flusso ematico cerebrale (CBF), il controllo elettrolitico ed il monitoraggio metabolico. Molti di questi abbiamo già avuto modo di discuterne negli appositi capitoli (si veda il Capitolo 1.1 per maggiori dettagli).


COMPLICANZE NEUROCHIRURGICHE:

PROCEDURE SOPRATENTORIALI
Ematoma sotto-galeale postoperatorio
Tale evento può verificarsi fino al 11% delle procedure; questi ematomi sono generalmente il risultato di danni accidentali dell'arteria temporale superficiale, un’emostasi insufficiente, oppure un’emorragia dal muscolo temporale. Se l'arteria temporale superficiale è danneggiata durante l'operazione, si preferisce la legatura rispetto alla coagulazione. Il verificarsi di ematomi subgaleale può essere minimizzato con l'uso di routine di drenaggio della ferita post-operatoria per 24 ore. Un reintervento per ematoma subgaleale è raramente necessario a meno che non ci sia una comunicazione con il vano intracranico, con compressione secondaria del cervello.

Emorragia intracranica
L’emorragia intracranica postoperatoria si verifica in circa l'1% delle procedure e riguarda principalmente ematomi intraparenchimale (43-60%), ematomi epidurali (28-33%) ed ematomi subdurale (5-7%). Dopo ogni procedura sopratentoriale, po' di sangue può accumularsi nello spazio epidurale. Tecniche chirurgiche appropriate mirano a ridurre al minimo questo spazio epidurale dalla circonferenza suturando la dura fino alle ossa. Un’emostasi insufficiente delle arterie meningee, una perdita di sangue dal muscolo temporale, o una perdita di sangue dal midollo può tuttavia indurre un grande ematoma epidurale postoperatorio. In caso di deterioramento neurologico secondario all’ematoma epidurale postoperatorio, è indicata l'evacuazione chirurgica. Ematomi subdurali postoperatori si verificano meno frequentemente e possono provocare con un certo ritardo diagnostico a causa della successiva rottura delle vene ponte a seguito di una grande decompressione intracerebrale. Le emorragie parenchimali sono la causa più frequente di ematomi postoperatori secondarie a procedure sopratentoriali e generalmente si verificano nel sito di funzionamento, in particolare dopo resezione parziale di un tumore. Un aumento di pressione arteriosa alla fine della chirurgia può aumentare il rischio di emorragia parenchimale. In rari casi, l'ematoma può essere situato a distanza dal sito primario di funzionamento, e ematomi cerebellari sono stati anche descritti dopo l'intervento chirurgico sopratentoriale. La possibilità di un ematoma postoperatorio dovrebbe essere considerata in tutti i pazienti che non sono pienamente vigili, così come in quelli che presentano deficit focali o progressivo deterioramento clinico.

Edema cerebrale postoperatorio
Le tecniche di neuroanesthesia moderne hanno ridotto l'incidenza di edema cerebrale peri/post-operatorio. Tuttavia, un gonfiore significativo può talvolta verificarsi, con conseguenti difficoltà chirurgiche e seri problemi in terapia intensiva. I fattori predisponenti sono l’ipercapnia, l’ipertensione arteriosa, l’iponatriemia, l’ostruzione del drenaggio venoso e la presenza di convulsioni durante l'intervento chirurgico o in fase di post-operatorio immediato. In ogni paziente con edema cerebrale durante la procedura chirurgica, la possibilità di un ematoma profondo dovrebbe essere considerata, e una TC-cerebri urgente deve essere eseguita. Tale edema dovrebbe preferibilmente essere trattato rapidamente con un’iperventilazione mite ed agenti osmotici.

Pneumocefalo da tensione
Alcune piccole collezioni d’aria vengono generalmente osservate alla TC postoperatoria; in rari casi, il rewarming dell'aria nel vano intracranico dopo l'intervento oppure entrate d'aria a causa di fistole nel liquido cerebrospinale alla base del cranio possono portare ad un pneumocefalo da tensione, con una sintomatologia clinica che può arrivare alla riduzione del livello di coscienza e segni di ipertensione endocranica. In generale però, accumuli d’aria in fase postoperatoria sono auto-limitanti e non richiedono un trattamento specifico.

Attacco epilettico
Un attacco epilettico nella fase post-operatoria dovrebbe essere considerata una complicanza grave che può causare un significativo deterioramento secondario alla vasodilatazione cerebrale, aumento del consumo di ossigeno cerebrale, ed un maggiore edema cerebrale. Attività epilettiche occulte possono verificarsi dal 15% al ​​18% dei pazienti con trauma cranico moderato e grave. I benefici della profilassi con farmaci antiepilettici dovrebbero essere equilibrati contro i rischi; in alcuni centri, la profilassi di routine è prescritto a tutti i pazienti sottoposti a intervento chirurgico al cervello sopratentoriale. In altri, le indicazioni sono limitati a pazienti con un rischio più elevato, come chirurgia cerebrovascolare (malformazioni arterovenose, aneurismi), ascesso cerebrale ed empiema subdurale, meningiomi della convessità e parafalcali, lesione cerebrale penetrante, frattura depressa del cranico. Le opinioni variano anche in relazione alla durata della terapia profilattica, dato che alcuni centri raccomandando un trattamento della durata di 2 settimane ed altri di continuare per almeno 3 mesi. In ogni caso di deterioramento neurologico inspiegabile o di ritardo di risveglio post-operatorio, dovrebbe essere presa in considerazione la possibilità di crisi epilettiche.


PROCEDURE INFRATENTORIALI
La cura per i pazienti in fase postoperatoria precoci a seguito di procedure sottotentoriali pone problemi specifici; le complicanze postoperatorie nella fossa posteriore possono portare ad un rapido deterioramento a causa della relativamente piccola riserva di volume infratentoriale e la compressione immediata del tronco cerebrale, con conseguente insufficienza respiratoria acuta ed ernia cerebrale. L’irritazione del tronco cerebrale può indurre ampie oscillazioni delle pressioni arteriose, aumentando il rischio di emorragia post-operatoria durante gli episodi ipertensivi. I nervi cranici sono più suscettibili ai danni dovuti alla manipolazione chirurgica rispetto ai nervi periferici. Le lesioni dei nervi cranici inferiori possono portare ad un riflesso del vomito diminuito, con un aumento del rischio di aspirazione e polmonite. Dopo l'intervento chirurgico nel tratto ponto-cerebellare, particolare attenzione deve essere rivolta alla funzione dei nervi trigemino e facciale e devono essere prese misure di prevenzione per prevenire danni della cornea.

Dopo qualsiasi procedura infratentoriale, il rischio di idrocefalo acuto per ostruzione a livello del quarto ventricolo è sempre da tenere presente. Questi aspetti specifici giustificano l'ammissione di routine di tutti i pazienti che hanno subito un intervento chirurgico alla fossa posteriore in terapia intensiva per un'attenta osservazione e monitoraggio. Particolare attenzione deve essere rivolta alla presenza del riflesso faringeo prima dell'estubazione e nelle prime fasi dopo l'estubazione, aggiungendo un frequente monitoraggio dello stato delle vie respiratorie e l'adeguatezza della respirazione.

Dopo l'intervento chirurgico della fossa cranica posteriore, alcuni pazienti possono sviluppare una  meningite asettica, caratterizzata da sintomi meningei, mal di testa, e una risposta infiammatoria del liquor, in assenza di elementi di prova per infezione. L'origine di questa sindrome non è stata completamente chiarita, ma i sintomi si possono risolvere con drenaggio intermittente del liquor. 


CONCLUSIONI:
Il paziente neurochirurgico che arriva in ICU dopo l'operazione é un paziente estremamente fragile e potenzialmente a rischio di complicanze; le difficoltà si incontrano soprattutto quando dei deficit neurologici sono già presenti prima dell'intervento chirurgico, rendendo pertanto difficile una corretta valutazione dell'evoluzione clinica nel periodo subito dopo l'intervento. Appare altrettanto fondamentale una buona collaborazione fra la Medicina Intensiva, la Neurochirurgia e la Neuroradiologia per una buona presa a carico del paziente. Lo scopo principale é quello di prevenire e trattare precocemente le eventuali complicanze secondarie.

(continua…)

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