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Ventilazione nelle neuromiopatie (Capitolo 3.4.4)





Delle principali neuromiopatie che possono portare il paziente in ICU ne abbiamo già trattato precedentemente, durante il capitolo dedicato alle patologie neuromuscolari (si veda il Capitolo 1.6); in questo capitolo tratteremo brevemente di come la ventilazione meccanica, in particolare la ventilazione non invasiva, svolge un ruolo importante nella gestione delle insufficienze respiratorie (di diversa origine) e permetta di poter trattare efficacemente alcuni problemi meccanici polmonari, soprattutto condizioni cliniche che in altri pazienti non affetti dalla stessa patologia, potrebbero essere trattati senza l’ausilio di macchinari, che invece si rendono necessari proprio per i problemi muscolari pre-esistenti. Anche il setting del ventilatore richiede una particolare accortezza, basandosi su dei principi generali ed adattandosi poi alla reale situazione clinica ed ai bisogni del paziente.




VNI IN CASO DI SLA:
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa progressiva di origine sconosciuta che colpisce circa 1.5 individui per 100.000 ogni anno; generalmente questi individui sono tra i 55 ed i 75 anni di età. La SLA causa la progressiva debolezza dei gruppi muscolari volontari, compresi quelli respiratori, e l'insufficienza respiratoria o la polmonite legata alla debolezza muscolare respiratoria è la causa più frequente della morte. Tuttavia, la quota di pazienti con una disfunzione muscolare respiratoria é esigua, mentre la maggior parte dei pazienti affetti da SLA mantiene una funzione respiratoria quasi normale per lunghi periodi di tempo. I pazienti devono quindi essere regolarmente valutati in maniera seriale, per precocemente identificare i sintomi della debolezza dei muscoli respiratori, in modo che possa essere implementato un adeguato trattamento in maniera più precoce possibile. Inoltre, è buona norma discutere anticipatamente i problemi respiratori con i pazienti e con la loro famiglia per evitare decisioni di emergenza o trattamenti indesiderati in caso di crisi respiratorie.

VALUTAZIONE DELLA FUNZIONE RESPIRATORIA:
Di solito, quando i pazienti con SLA richiedono assistenza medica, la valutazione polmonare è ancora normale ed i pazienti non si lamentano di problemi respiratori. Tuttavia, durante la progressione della malattia, tutti i pazienti lamentano una progressiva dispnea con sforzo, un’ortopnea ed una ridotta qualità del sonno, con frequenti risvegli, incubi, mal di testa mattutini o eccessiva sonnolenza diurna. Un esame clinico a questo punto potrebbe mostrare una respirazione paradossale, rapida oppure l’utilizzo della muscolatura accessoria. Tuttavia, l'osservazione clinica più frequente é che molti pazienti possono rimanere asintomatici per parecchio tempo, anche quando c'è una marcata riduzione della capacità vitale. Gli esami che vengono utilizzati nella valutazione della funzionalità polmonare nei pazienti SLA sono numerosi; la misura più diffusa per rilevare il declino respiratorio è la capacità vitale forzata (FVC) quando in posizione seduta o supina, FVC che é correlata alla sopravvivenza e di solito presenta una diminuzione quasi lineare durante il corso della malattia, ma con una notevole variabilità da paziente a paziente. La FVC ha una bassa sensibilità nei pazienti con coinvolgimento bulbare, a causa della ridotta capacità di contrarre la muscolatura bucale o per il coinvolgimento cognitivo ridotto e la relativa insensibilità al rilevamento della disfunzione diaframmatica (generalmente lieve o moderata). Le massime pressioni inspiratorie ed espiratorie (rispettivamente chiamate MIP e MEP) sono altre misurazioni sensibili, ma in molti centri questi non vengono eseguite in maniera ordinaria perché molti pazienti non sono in grado di eseguire la prova con la progressione della malattia.

Anche l’emogasanalisi arteriosa può essere d’aiuto nella valutazione dei pazienti con SLA, specialmente nei pazienti con grave coinvolgimento bulbare in quanto potrebbero mostrare la presenza di ipercapnia di riposo (con valori di pCO2 superiori a 6.5 kPa) o di ipossemia (con valori di pO2 inferiori a 90 mmHg). Tuttavia, questi sono di solito segni molto tardivi di insufficienza respiratoria in corso di SLA. Un'attenzione crescente è stata data alla misurazione della pressione inspiratoria nasale (SNIP), che viene considerata una buona misura della resistenza diaframmatica. Lo SNIP è probabilmente più preciso della FVC, anche se lo SNIP può sottovalutare la funzione respiratoria nei pazienti con coinvolgimento bulbare a causa del crollo meccanico delle vie aeree superiori; tuttavia, uno SNIP test inferiore al 40% del valore previsto è un predatore significativo di ipossemia notturna e di aumento della mortalità.

In questi contesti l’uso della VNI riduce l'attività respiratoria fornendo una doppia pressione positiva positiva inspiratoria (IPAP) ed espiratoria (EPAP); tipicamente, tali pressioni vengono somministrate in maniera non invasiva tramite un'interfaccia con maschera nasale. In questi casi, anche se la VNI fornisce il supporto per i muscoli respiratori indeboliti, la tecnica non sostituisce completamente la funzione muscolare respiratoria, come in caso di ventilazione meccanica invasiva (dove il medico può titolare le impostazioni del ventilatore per correggere la disfunzione del cambio di gas). In un disturbo muscolare progressivo generalmente la VNI permette di “scaricare” l’attività muscolare, riducendola (ma non azzerandola) e permettendo quindi ai muscoli di riposare per diverse ore della giornata (generalmente di notte) per poi permettere una respirazione spontanea e normale durante tutta l’attività del giorno.

I primi studi con l’uso di VNI in caso di SLA utilizzando la VNI titolata per il comfort del paziente (generalmente con IPAP attorno a 8 cmH2O ed un’EPAP attorno a 4 cmH2O) hanno mostrato un aumento della sopravvivenza e soprattutto un netto miglioramento della qualità del sonno e della qualità di vita durante la giornata. Al contrario, altri esperti hanno proposto che tutti i pazienti affetti da SLA debbano utilizzare una VNI "high-span”, con un supporto di pressione già di 10 cmH2O o superiore, con un obiettivo di avere un’IPAP attorno a 16-18 cmH2O. Rimane ancora dibattuto quale sia la strategia migliore per questi pazienti: dal punto di vista fisiologico, mentre fornire livelli elevati di pressione (superiore a 10 cmH2O) per tutti i pazienti affetti da SLA può apparire prudente in un disturbo di tipo progressivo, esporre i pazienti a pressioni delle vie aeree elevate fin da subito può causare effetti collaterali significativi, tali da portare ad una riduzione della tolleranza ad una successiva terapia con VNI. Inoltre, i pazienti di SLA compensano la progressiva debolezza muscolare respiratoria con piccoli Tidal Volume ad alta frequenza; in questi casi, mettere tutti i pazienti con SLA sotto VNI ad alta pressione per correggere i volumi ridotti e aumentare la frequenza respiratoria può provocare asincronia paziente-ventilatore, con conseguenze intolleranza del  paziente alla terapia con VNI.

Un altro dato altrettanto importante é la mancanza di linee guida nella letteratura medica riguardante le impostazioni di pressione e le regolazioni della VNI nei pazienti affetti da SLA, contribuendo alla mancanza di volontà da parte dei medici di prescrivere la terapia con VNI in queste situazioni. Un gruppo americano ha eseguito uno studio retrospettivo per studiare il comportamento dei pazienti con SLA cui veniva applicata la VNI (tramite l’apertura di un registro); i pazienti che hanno tolleravano la VNI mostravano un aumento di sopravvivenza di quasi 1 anno rispetto ai pazienti che non tolleravano la NIV. L'associazione con l’aumento della sopravvivenza rimaneva anche quando si normalizzavano i risultati per l'età e la localizzazione dei sintomi (bulbari contro arti periferici). Questi risultati appaiono simili ad altri risultati riscontrati in un altro studio clinico prospettico randomizzato che ha dimostrato una sopravvivenza mediana aumentata di quasi 7 mesi in quei pazienti trattati con VNI rispetto ad un gruppo di pazienti omogeneo che hanno ricevuto una cura medica standard senza l’applicazione di VNI. 

VENTILAZIONE NON INVASIVA:
Negli ultimi 10 anni c'è stata una rivoluzione nell'assistenza respiratoria e nel supporto ventilatorio per la SLA che ha portato anche ad un impatto significativo sulla storia naturale della malattia. L'applicazione dell'assistenza ventilatoria spesso non invasiva, è stata dimostrata per alleviare i sintomi respiratori, per estendere notevolmente la sopravvivenza e per migliorare la qualità della vita e le funzioni cognitive nella maggior parte dei pazienti. Attualmente, la ventilazione a pressione positiva non invasiva, di solito applicata attraverso la maschera nasale con BiPAP, è il trattamento più efficace disponibile per i pazienti con SLA. Un'algoritmo di gestione respiratoria proposto per i pazienti con SLA è mostrato nella figura.


Tutti i pazienti con SLA possono beneficiare della terapia VNI, e una prova con questo apparecchio non dovrebbe mai essere scoraggiata, anche se il coinvolgimento bulbare potrebbe essere associato ad una ridotta tolleranza e forse ad una ridotta sopravvivenza. Infatti, dovrebbe essere preso in considerazione l'aumento del rischio di broncoaspirazione nei pazienti con insorgenza di problemi bulbari causati da difetti di eliminazione delle secrezioni o da ostacoli, come quelli relativi a funzioni anormali delle corde vocali.

Nella nostra esperienza, la VNI può essere ben tollerata sia dai pazienti che dai familiari, anche nei pazienti con coinvolgimento bulbare; particolare importanza dovrebbe essere data all'adattamento e al comfort durante le prime settimane di utilizzo della VNI, poiché questo potrebbe essere un passo cruciale per determinare l'efficacia del trattamento. I fattori che prevedono un aumento di sopravvivenza dopo l’applicazione della VNI includono l'età avanzata, l'accumulo di muco delle vie aeree ed un ridotto indice di massa corporea.

I meccanismi con cui la terapia con VNI potrebbe influenzare la sopravvivenza in caso di SLA non sono perfettamente conosciuti, ed è stato suggerito che la maggior parte dei suoi effetti potrebbe essere correlata ad un rallentamento del tasso di alterazione respiratoria, modificando così il corso naturale della malattia. Tra le ipotesi che sono state generate per spiegare il miglioramento continuo della funzione respiratoria e la graduale risoluzione dei sintomi associati alla VNI, è stato ipotizzato che la VNI porti ad un riposo dei muscolari respiratori cronicamente affaticati, migliorando così la funzione muscolare respiratoria durante il giorno. Un'altra ipotesi suggerisce che la VNI migliori la conformità del sistema respiratorio trattando le microatelettasie, diminuendo così il lavoro diurno durante la respirazione. Infine, una terza teoria suggerisce che la VNI migliori l'azionamento respiratorio centrale ed il meccanismo di eccitazione neuronale (cronicamente depresso per esposizione abituale all'ipoventilazione) portando ad una migliore ventilazione durante le ore di veglia e di sonno. Tutte queste teorie non si escludono reciprocamente e probabilmente ognuna può contribuire alle migliorie osservate nei pazienti sottoposti a VNI.

Nonostante gli effetti sui sintomi respiratori, sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza, molti studi hanno suggerito che l'impiego di VNI in caso di VNI è ancora scarsa in tutto il mondo, con la necessità di una maggiore educazione dei medici e dei pazienti riguardo ai benefici dell’uso di VNI precocemente nel corso della malattia. Le ragioni di una tale bassa assunzione di VNI sono molteplici, ma sono influenzate dalle differenze nell'esperienza medica, dalla disponibilità dei macchinari e dal costo, dall'incertezza dei benefici e dal tempo per avviare la ventilazione e le preoccupazioni che il sostegno ventilatorio potrebbe prolungare la sofferenza, rendendo meno facile la cura domestica, portando il paziente alla dipendenza dalla macchina. Inoltre, ad oggi c'è ancora un dibattito sul timing ottimale per introdurre la ventilazione in questi pazienti, così come per sapere se l'inizio precoce della VNI potrebbe effettivamente portare ad un aumento dei tassi di sopravvivenza.
Attualmente, le linee guida accettate in tutto il mondo propongono l'inizio della VNI in presenza di sintomi respiratori o prove di debolezza muscolare respiratoria (FVC inferiore al 80% del previsto o uno SNIP testo inferiore a 40 cmH2O), piuttosto che al riscontro oggettivo di una significativa desaturazione sull'ossimetria notturna (sotto al 90% per oltre il 5% del tempo di sonno) o il riscontro di valori di pCO2 mattutini superiori a 6.5 ​​kPa.

EVOLUZIONE DELLA VENTILAZIONE:
La VNI è di solito utilizzata inizialmente per un supporto intermittente notturno per alleviare i sintomi dell'ipoventilazione notturna; con il peggioramento della funzionalità respiratoria, i pazienti tendono a richiedere un aumento del supporto diurno ed, infine, un supporto continuo. Tuttavia, la malattia prosegue fino alla fase in cui la VNI non sarà in grado di compensare la disfunzione respiratoria, ed in queste circostanze solo la ventilazione invasiva con tracheostomia è in grado di prolungare la sopravvivenza del paziente.

Quando viene posta la domanda sulla ventilazione invasiva, i pazienti sono supportati da un punto di vista respiratorio; tuttavia, la perdita dei neuroni motori continua progressivamente, portando alla completa paralisi ed alla atrofia muscolare. Alcuni pazienti possono eventualmente raggiungere uno stato "bloccato" in cui non possono comunicare affatto perché esiste anche una paralisi totale dei muscoli extraoculari. Nonostante questo, quando il paziente viene collegato a tubi tracheostomici i pazienti possono sopravvivere ancora per molti anni, dove la causa principale di morte sono le infezioni del tratto respiratorio. Anche in questo caso, nonostante l’effetto chiaro sulla sopravvivenza, solo una minoranza dei pazienti con SLA riceve una ventilazione meccanica invasiva, almeno nei paesi occidentali (al contrario, in Giappone la frequenza della ventilazione invasiva è notevolmente superiore).

Generalmente la ventilazione, sia quella non invasiva che ancora di più quella invasiva, in caso di neuromiopatie deve essere adeguatamente regolata in maniera da tenere conto la debolezza muscolare e favorire un'adeguata ventilazione, aiutando la muscolatura respiratoria, ma senza favorire l'atrofia muscolare. Un buon setting ventilatorio in questi casi prevede l'impostazione di un trigger respiratorio a flusso (si veda il capitolo sulle impostazioni del ventilatore, Capitolo 3.4.1, per maggiori dettagli) abbastanza "morbido" così da favorire l'attivazione della ventilazione con un minimo sforzo muscolare del paziente; a questo va associato un adeguato supporto inspiratorio in modo da scaricare l'attività muscolare (soprattutto della muscolatura accessoria), permettendo di ottenere dei Tidal Volume adeguati ed una frequenza respiratoria in range (8-12 atti/minuto), con un altrettanto miglioramento soggettivo da parte del paziente. Infine é da ricordare l'adeguata umidificazione delle vie aeree che possono seccarsi facilmente, aumentando il rischio di secchezza mucosale, sanguinamenti, broncospasmi ed ulteriori complicazioni. L'uso infine di un ventilatore "a turbina" é da preferire per la tipologia di flusso che viene generata (si veda sempre il Capitolo 3.4.1 per maggiori dettagli in merito).

Infine é da ricordare che alcuni pazienti subiscono una tracheostomia in emergenza senza alcuna progettazione anticipata a causa del sopraggiungere di una crisi respiratoria, mentre il numero di pazienti che elettivamente scelgono questo trattamento è ancora basso. Le ragioni socioeconomiche possono essere una delle spiegazioni possibili per la bassa prevalenza della ventilazione invasiva in caso di SLA, poiché il trattamento è costoso. Inoltre, c'è bisogno di un supporto para-medico di 24 ore, che potrebbe essere percepito come estremamente gravoso per tutta la famiglia. Le attitudini del medico curante hanno anche una grande influenza e c'è la preoccupazione che la ventilazione con tracheostomia prolungherà la vita al di là del punto in cui il paziente possa comunicare o interagire con gli altri.

Nonostante questi molti dubbi e preoccupazioni, la maggior parte dei pazienti sottoposti a ventilazione invasiva erano positivi circa la loro scelta, hanno riportato una qualità soddisfacente della vita ed hanno indicato che avrebbero ripetuto la scelta ancora nella stessa situazione. Gli operatori attorno a questi pazienti invece, sono stati più frequentemente afflitti da tale intervento e spesso hanno lamentato una marcata riduzione delle attività sociali. È importante sottolineare che la tracheotomia non pianificata ed indesiderata potrebbe essere evitata con una discussione precoce delle opzioni per il supporto respiratorio; infatti, una volta intubati, i pazienti sono raramente liberi dal ventilatore.


VNI E MIASTENIA GRAVIS:
La Myasthenia gravis è un disturbo della trasmissione neuromuscolare di base autoimmune caratterizzato da debolezza muscolare; questa malattia (grave ma trattabile) è il più comune disturbo neuromuscolare primario che si riscontra in ambito clinico, in particolare in ICU. In questo caso, il sistema immunitario produce anticorpi che attaccano i recettori nelle estremità muscolari della giunzione neuromuscolare dei recettori dell’acetilcolina che ricevono il segnale nervoso. Non è noto che cosa provoca la reazione immunitaria dell'organismo contro i propri recettori dell’acetilcolina, ma la predisposizione genetica svolge sicuramente un ruolo essenziale nella eziologia. La malattia ha una prevalenza stimata di 0.5-12.5/100.000 abitanti, con una incidenza di 0.4/100.000/anno tra la popolazione generale e un rapporto maschio-femmina di 2:3.

La diagnosi di miastenia gravis può essere spesso confermata utilizzando metodi attualmente disponibili, in particolare tramite la rilevazione degli anticorpi anti-AChR (acetilcolina) e l'elettromiografia (sia a scopo diagnostico che di diagnosi differenziale). I sintomi più comuni sono la ptosi delle palpebre, la debolezza muscolare oculare che causa la diplopia e l'eccessiva affaticamento di alcuni muscoli dopo l'esercizio fisico (si veda il Capitolo 1.6). Nel 40% degli individui con miastenia gravis, i muscoli oculari sono i primi a essere colpiti; nel tempo l'85% dei pazienti mostra poi lo sviluppo di questi sintomi. Difficoltà nell’eloquio e nella deglutizione, con debolezza delle estremità periferiche sono anche comuni. 

Circa il 17-20% dei pazienti con miastenia gravis mostrerà una crisi miastenica, definita come un improvviso peggioramento della respirazione in cui la debolezza muscolare è così grave che rende impossibile la respirazione o compromette l'adeguato funzionamento delle vie aeree. Le cause del fallimento respiratorio sono la disfunzione delle vie aeree superiori, la debolezza dei muscoli inspiratori ed espiratori e le complicanze associate. L'insufficienza respiratoria ha diverse conseguenze, come descritto nella tabella; una di queste è la riduzione della capacità di espandere la cavità toracica ed avere un’adeguata inflazione polmonare. Quando la debolezza muscolare respiratoria è lieve o moderata, l’iperventilazione, il normale pH ematico, una pCO2 nei limiti di norma e dei valori di pO2 ridotti sono abituali. Tuttavia, nelle stadio più avanzato della malattia, può svilupparsi ipercapnia a causa dell'ipoventilazione secondaria alla debolezza muscolare respiratoria,  che rende difficile spostare la gabbia toracica e modificare la normale conformità polmonare. A causa dell’insufficienza respiratoria, molti pazienti potrebbero richiedere l'uso di terapie respiratorie.

Prima dell’avvento della ventilazione meccanica, il 70% dei pazienti con la crisi miastenica moriva per  insufficienza respiratoria; con il miglioramento delle unità di terapia intensiva, tale percentuale è diminuita al 30% negli anni '50 ed al 15% negli anni '60. L'avvento della ventilazione meccanica in associazione con l'uso generalizzato dell'immunoterapia ha cambiato sostanzialmente la prognosi dei pazienti con una crisi miastenica, che si riflette in un tasso di mortalità che ora è del 4-8%.

A causa delle possibili complicanze della ventilazione meccanica, come la polmonite ed altre complicazioni sistemiche, viene perferita una ventilazione meccanica non invasiva onde evitare la reintubazione ed evitare i rischi associati all'intubazione. È stato condotto uno studio con i pazienti in crisi miastenica che si sono adattati bene al sostegno ventilatorio non invasivo; questi pazienti sono diventati incapaci di raggiungere un volume polmonare soddisfacente, aumentando il rischio di microatettesie ed il collasso delle vie aeree superiori, non assicurando un efficiente scambio di gas. In questo contesto, il supporto ventilatorio non invasivo è la terapia prima scelta per i pazienti in crisi miastenica, perché la principale preoccupazione è di evitare l'intubazione tracheale e le sue complicazioni. La decisione di utilizzare la ventilazione meccanica non invasiva dipende da diversi fattori. L’uso della ventilazione meccanica non invasiva dipende dalla gravità dell'insufficienza respiratoria acuta, dalla presenza di compromissione bulbare e dall'associazione con altri trattamenti clinici. Le gravi anomalie nello scambio gassoso ed il coinvolgimento severo del bulbo sono controindicazioni assolute. I pazienti trattati con ventilazione meccanica non invasiva durante la crisi miastenica devono essere sotto attento monitoraggio cardiaco perché potrebbero sviluppare aritmie cardiache. Durante l'uso della ventilazione meccanica non invasiva, la valutazione clinica e le misurazioni del gas arterioso dovrebbero essere effettuate nelle prime 6-8 ore per valutare l'efficacia della metodica e l'eventuale necessità di utilizzare la ventilazione meccanica convenzionale.

Due studi iniziali sono stati ottimisti sui risultati nonostante i diversi tassi di intubazione nei pazienti che hanno ricevuto ventilazione meccanica non invasiva; secondo lo studio condotto dal gruppo di Wu, il 57.1% dei pazienti trattato con ventilazione meccanica non richiede intubazione; il gruppo di Rabinstein et al. ha trovato un tasso di successo del 70%. Tuttavia, i loro studi non hanno trovato alcun miglioramento nell'iperventilazione dei pazienti con pCO2 elevata e dispnea, confermando che i pazienti con ipercapnia hanno un grado più grave di insufficienza respiratoria neuromuscolare che non possono essere trattati solo con la pressione positiva e richiedono l'uso della ventilazione invasiva a volume controllato.

Nei pazienti che necessitano di una ventilazione meccanica invasiva, una mancata dell'estubazione tracheale è associata ad una elevata morbilità dell'ospedale, ad una durata maggiore del supporto ventilatorio ed all'alta incidenza di polmonite associata alla ventilazione (VAP). Pertanto, alcuni studi clinici hanno indagato i predittori del successo della ventilazione non invasiva quando viene utilizzata come strategia di svezzamento. L'adeguata pressione massima espiratoria (PEmax) e la resistenza alla tosse sono significativamente correlate con il successo di estubazione tracheale. Altri predittori del successo di ventilazione non invasiva sono la giovane età, il basso punteggio di malattia e il buon punteggio neurologico. 


NEUROMIOPATIA DA ARDS:
L’ARDS è una delle condizioni cliniche più gravi nello spettro di malattie che richiedono l'ammissione in ICU; per quello che concerne la neuromiopatia da ARDS, sebbene la risposta di consumo muscolare nei pazienti con ARDS non sia stata esplicitamente confrontata con quella dei pazienti critici senza ARDS (ad esempio nei pazienti con sepsi), i pazienti con ARDS sembrano avere un'incidenza molto elevata di ICU-AW (miopatia acquisita da ICU), che può arrivare fino al 60% dei pazienti ospedalizzati per ARDS. Mentre gli studi sugli animali offrono alcuni indizi sulle differenze meccanicistiche tra il deperimento muscolare nell'ARDS e la sepsi, sono necessari ulteriori studi nella popolazione umana per determinare se esistono differenze cliniche nel trauma muscolare e le possibili traiettorie di recupero dei pazienti con sepsi con e senza ARDS concomitante.



CLINICA:
La fase iniziale della disfunzione muscolare, che si verifica da ore a giorni dopo l'insorgenza della malattia, inizia con l'attivazione dell'infiammazione sistemica acuta caratteristica della lesione polmonare precoce. Definiamo la fase iniziale con l’iniziare dell'insorgenza della malattia acuta, che termina quando l’evoluzione dell’atrofia muscolare guidata dall'infiammazione acuta si risolve (di solito entro pochi giorni). L'atrofia muscolare difatti è il quadro predominante e caratteristico della disfunzione muscolare nella fase iniziale ed è guidata principalmente dall'infiammazione sistemica acuta e dal danno del muscolo (sia degli arti che diaframmatico) dovuto rispettivamente al riposo a letto forzato e dalla ventilazione meccanica. Un danno al nervo, alla giunzione neuromuscolare o una lesione diretta delle miofibrille o una combinazione di questi possono iniziare l’atrofia in misura variabile, contribuendo alla debolezza muscolare durante la fase iniziale. Considerando l'ubiquità dell'atrofia indotta da infiammazione e la immobilità in questi pazienti, si pensa che tutti i pazienti con ARDS sperimentino una perdita muscolare iniziale. L’atrofia muscolare é la caratteristica più universale dell’atrofia indotta dalla ICU, sebbene si verifichino anche altre patologie come miopatie infiammatorie, polineuropatie o combinazioni di queste malattie. Altri fattori quali l'età, la gravità della malattia, l’insufficienza d'organo, i farmaci, la malnutrizione e l'ipossia possono modificarne la gravità o il tipo di disfunzione muscolare. È chiaro inoltre che la debolezza dei muscoli sia degli arti che del diaframma, indipendentemente dalla fisiopatologia, contribuiscono in maniera indipendentemente alla mortalità.

La fase tardiva della disfunzione muscolare inizia a seguito della risoluzione del polmone acuto precoce e dell'infiammazione sistemica caratteristica della fase iniziale, solitamente dopo i primi giorni di malattia e durante la fase di recupero della lesione polmonare. L'atrofia muscolare può continuare nella fase tardiva, spinta dal disuso, ma questo fattore di solito si risolve quando i pazienti non sono più costretti a letto. La caratteristica caratteristica del consumo muscolare tardivo è che la disfunzione muscolare persiste nonostante il recupero e la risoluzione del danno polmonare; fattori di rischio quali l'età, la funzione muscolare di base pre-ARDS, i farmaci somministrati durante o dopo la permanenza in terapia intensiva, le comorbilità, la via del danno muscolare (il nervo rispetto alla giunzione neuro-muscolare rispetto alle miofibrille) e la nutrizione possono contribuire sia al grado di lesione sia alla velocità di recupero funzionale muscolare. Tuttavia, le caratteristiche cliniche associate al recupero completo, parziale o inadeguato della funzione muscolare nei pazienti sopravvissuti all'ARDS sono generalmente poco conosciute.

Una domanda fondamentale è se il recupero della funzione muscolare nella fase tardiva sia associato al recupero della massa muscolare o alternativamente se la debolezza persiste nonostante il recupero della massa muscolare. Rispondere a questa domanda chiarirebbe i potenziali meccanismi alla base della debolezza persistente nella fase tardiva; sfortunatamente, poiché lo stato funzionale pre-ospedaliero di questi pazienti è quasi sempre sconosciuto, è difficile sapere come la funzione muscolare di base contribuisca a risultati funzionali a lungo termine. In molti pazienti, il "mancato recupero" può rispecchiare il loro stato funzionale di base pre-ARDS. I disturbi metabolici prolungati e la soppressione immunitaria sono stati descritti in sopravvissuti alle ustioni ed alla sepsi; il termine sindrome post-terapia intensiva è stato usato per riferirsi alla costellazione di problemi psichiatrici, cognitivi e di funzionalità fisica presenti nei sopravvissuti alla terapia intensiva, compresi i pazienti con ARDS. La relazione tra immunosoppressione sistemica ed ipermetabolismo nella disfunzione tardiva del muscolo scheletrico nei pazienti con ARDS ad oggi merita ancora un’attenzione ulteriore.

Per quello che concerne i fattori di rischio, alcune delle prime segnalazioni di debolezza muscolare nei pazienti critici hanno associato la presenza della debolezza muscolare da ICU con l’uso glucocorticoidi e di curari, anche se trials più recenti suggeriscono che soprattutto i glucocorticoidi, sono associati alla debolezza acquisita in ICU. L'aumento della durata dell'uso di glucocorticoidi è indipendentemente associato ad un aumento della degradazione della miosina nei muscoli scheletrici dei pazienti critici in ventilazione meccanica. Altri dati a sostegno dell'importanza dei glucocorticoidi nel deperimento muscolare nell'ARDS includono il fatto che il recettore glucocorticoide è un modulatore a monte dell'attivazione del muscolo anulare 1 (MuRF1), proteina che svolge un importante contributo al catabolismo muscolare nella fase iniziale.

Il ruolo dell'alimentazione nella debolezza muscolare nelle malattie gravi e il suo contributo al catabolismo muscolare è controverso, sebbene recenti evidenze suggeriscano che un aumento dell'apporto calorico durante la fase iniziale non prevenga la disfunzione muscolare tardiva. Nel follow-up a lungo termine dei pazienti con ARDS nello studio EDEN, gli esiti funzionali muscolari sono rimasti invariati tra i due bracci a 6 e 12 mesi. Prove emergenti suggeriscono che la nutrizione parenterale precoce sia dannosa per la funzione muscolare in questi pazienti. I dati attualmente disponibili suggeriscono che la nutrizione precoce e completa, sia enterale che parenterale, non riduce l'incidenza dell'ICUAW nei pazienti critici, sebbene sia giustificata un'indagine futura. I fattori nutrizionali possono essere più importanti per migliorare la massa muscolare quando somministrati durante la fase tardiva.

FISIOPATOLOGIA:
Come accennato in precedenza, la caratteristica principale della disfunzione muscolare nella fase iniziale è l'atrofia, determinata dall'infiammazione e dal disuso muscolare. Il bilancio netto della sintesi proteica e della degradazione determina pertanto la riduzione della dimensione della miofibra. L’atrofia può quindi verificarsi a causa di un aumento della degradazione proteica, della riduzione della sintesi proteica o di entrambi i meccanismi. Nella maggior parte dei modelli sperimentali di atrofia muscolare é l'aumento della degradazione delle proteine ​​muscolari - non la riduzione della sintesi proteica - a spiegare la perdita di massa muscolare, sebbene permanga qualche controversia al riguardo. Per quanto riguarda la disfunzione muscolare associata all’ARDS, sia l'aumento della degradazione proteica che la ridotta sintesi proteica contribuiscono all'atrofia della fase iniziale, sebbene predomina il primo meccanismo. 

Non vi è dubbio che il disuso muscolare contribuisca all'atrofia degli arti nei pazienti con ARDS, dato il profondo disuso degli arti e del diaframma che caratterizza questi pazienti; in effetti, uno studio degli ultimi anni suggerisce che il riposo a letto possa innescare l’atrofia del muscolo scheletrico aumentando l'espressione di alcuni recettori sulla superficie muscolare, i quali, una volta attivati, possono promuovere l'atrofia.

Tuttavia, sia i modelli animali che i dati umani supportano il concetto che la perdita muscolare associata all’ARDS è fenotipicamente diversa da quella indotta dall'immobilità da sola. Un recente rapporto di persone sane confinate a riposo a letto per una settimana ha documentato una perdita del 4% della massa magra, mentre un altro studio sui pazienti critici in ventilazione meccanica, la perdita di massa muscolare è stata di circa il 12% rispetto allo stesso periodo di tempo. Allo stesso modo, in un modello animale di immobilizzazione degli arti posteriori, è stata osservata una perdita di circa il 5% della massa muscolare del muscolo tibiale anteriore al giorno 3, e di circa il 22% nel muscolo tibiale anteriore dei topi allo stesso giorno affetti da ARDS. Collettivamente, questi dati supportano il concetto che l'atrofia del disuso contribuisce alla fase iniziale del catabolismo, ma meno dell'atrofia guidata dall'infiammazione.



APPROCCI TERAPEUTICI ATTUALI:
La somministrazione di insulina e il controllo glicemico stretto sembrano ridurre la miopatia da ICU, sebbene questo approccio sia stato mitigato con i risultati dello studio NICE-SUGAR che ha suggerito un aumento del rischio di morte in caso di stretto di controllo glicemico, probabilmente a causa di episodi di ipoglicemia. È ancora da valutare se le strategie in grado di ridurre l'iperglicemia senza il rischio di ipoglicemia siano in grado di ridurre l’incidenza della miopatia da ICU.

Attualmente, la mobilizzazione/riabilitazione precoce è la terapia più facilmente disponibile per l'attenuazione della miopatia dai ICU; prove cliniche hanno dimostrato che la riabilitazione precoce dei pazienti critici è sicura ed ha il vantaggio di migliorare altri risultati clinici oltre alla forza muscolare. Prove emergenti suggeriscono che il carico passivo della gamba in un modello di ratto di ventilazione meccanica e paralisi muscolare abbia impedito l'atrofia e la degradazione della miosina; in un piccolo studio condotto su pazienti con patologie critiche ventilati meccanicamente, il movimento passivo della gamba ha attenuato la perdita di forza specifica (ma non l’atrofia muscolare) misurata mediante contrazione muscolare. Pertanto, la mobilizzazione precoce (anche mediante il movimento passivo) rimane la migliore terapia disponibile per i pazienti critici per attenuare la perdita di muscolo nella fase iniziale e tardiva nell'ARDS. Sfortunatamente, nonostante le prove che la mobilità precoce sia sicura ed efficace, ci sono dei limiti alla sua adozione e l'implementazione clinica in ambito internazionale rimane bassa. 


Si é inoltre pensato se la stimolazione elettrica neuromuscolare potesse svilupparsi come terapia alternativa, in particolare per coloro che non possono partecipare alla terapia fisica attiva. In un piccolo studio, tale metodologia ha attenuato l'atrofia muscolare di tipo 2 (biologicamente associata alla rilocalizzazione del recettore GLUT4 a livello di membrana) ed al miglioramento del metabolismo del glucosio. Ma ancora a livello clinico non si sono riscontrati miglioramenti significativi. Ulteriori ricerche sono certamente giustificate per questa potenziale terapia.


REFERENCES:
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