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Tirotossicosi (Capitolo 2.4.1)



Per tirotossicosi si intende una condizione clinico-patologica caratterizzata da un eccesso di ormoni tiroidei nel corpo; la crisi acuta tirotossicotica é una forma di tirotossicosi che mette in pericolo di vita il paziente e che dal punto di vista diagnostico non presenta alcun criterio clinico o biologico specifico, ma che ha una mortalità del 15% se non viene prontamente individuato e trattato. La malattia dal punto di vista fisiopatologico é un distiroidismo, pertanto viene generalmente gestita dall'endocrinologo; la severità della crisi tirotossicotica é tale che sempre é necessario un trattamento farmacologico (nelle forme "lievi" di tirotossicosi si associa una terapia B-bloccante) che può arrivare in casi ancora più rari, ma letali se non adeguatamente trattati, al ricovero in ICU per shock cardiogeno refrattario alla terapia farmacologica convenzionale. Abbiamo pertanto deciso di trattare questo argomento in ambito emodinamico, perché la gestione del supporto emodinamico rimane la stessa, cui si associa una terapia eziologica volta a risolvere il problema di distiroidismo.

EZIOLOGIA:
Le cause che possono provocare una crisi tirotossica sono numerose e generalmente sono legate a condizioni di base che presentano un aumentata attività tiroidea (malattia di Basedow, nodulo tossico, gozzo multinodulare, tumori ipofisari TSH-secernenti), teratomi ovarici con tessuto tiroideo, carcinoma tiroideo, eccesso di iodio da prodotti di contrasto/farmaci iodati), da processi infiammatori a carico della tiroide con conseguente lisi dei follicoli e liberazione eccessiva di iodio (tioiridea subacquea di De Quervain, tiroide post-partum silenziosa, tiroidite iatrogena da mezzo di contrasto, interferone, ecc…) oppure per questioni di somministrazioni esogene di sostanze iodate o mancata assunzione di sostanze frenanti (accidentale o volontario). Storicamente si sviluppava nel 10% dei pazienti operati a livello tiroideo, ma oggigiorno con un'adeguata preparazione a base di farmaci anti-tiroidei e terapia B-bloccante, il tasso di incidenza di forme post-operatorie si é decisamente abbattuto.


FISIOLOGIA:
Per quello che riguarda il metabolismo dello iodio, questo viene assorbito con la dieta, e viene veicolato nel sangue legato all’albumina, con una rapida distribuzione nel liquido extracellulare; lo  iodio libero viene escreto nelle urine (in cui è possibile misurare le concentrazioni ioniche al fine di stabilire se si ha un deficit di iodio). Il NIS (Na-I-Symporter) é un’ATPasi che si localizza sulla membrana baso-laterale delle cellule follicolari tiroidee e che esiste anche sulle cellule delle ghiandole salivari, della mammella e della placenta (anche se a minori concentrazioni), permettendo di concentrare localmente lo iodio di circa 50 volte rispetto alle altre cellule. La riduzione di concentrazione sieriche di iodio porta ad un aumento della produzione di NIS, mentre un eccesso di concentrazione sierica di iodio comporta una riduzione della sua espressione genica; in caso di mutazione genetica provoca forme di ipotiroidismo congenito.




La tiroido-perossidasi é un enzima localizzato vicino alla membrana apicale (ma esternamente alla cellula), che provoca ossidazione dello iodio (consumando perossido di idrogeno), con riduzione di NAD+ a NADH, permettendo di ottenere la iodinazione in Tyr della Tireoglobulina. La tireoglobulina a sua volta é una grossa proteina dimerica (660 kDa) secreta come precursore dalla membrana apicale, che reagisce con tiroido-perossidasi e genera monoiodio-Tyr e diiodio-Tyr. Le sue funzioni sono quelle di reservoir dello iodio e di catalizzatore della condensazione. Durante la condensazione (che avviene nella colloide) le diverse Tyr iodate reagiscono fra loro, generando due possibili molecole: la 3,5,3’-triiodiotironina (T3) e la 3-5-3’-5’-tetraiodiotironina (la T4 o tiroxina).

Per quello che riguarda l’uptake, lo stimolo del TSH provoca il re-uptake della colloide, con formazione di vescicole e successiva fusione con i lisosomi (soprattutto endo/esopeptidasi), con formazione di fagolisosomi e conseguente liberazione di T3-T4 con altri aminoacidi (poi riutilizzati dalla cellula). Per l’uscita cellulare lo iodio è estremamente lipofilo (così come T3 e T4), quindi diffonde liberamente trans-membrana, soprattutto il T4 perché contiene 4 atomi di iodio, per cui è ancora più lipofilo. In periferia si ha la trasformazione di T4 in T3, tale da avere un rapporto T3/T4 quasi costante; se si ha una riduzione di iodio si ha un aumento della conversione in T3 (si hanno dei valori di T3 assoluto quasi sempre costanti). Il T3 rappresenta 10-20% dello iodio, mentre il T4 rappresenta l’80-90% ed è la sua forma attiva. In caso di deficit di iodio aumenta molto il rapporto T3/T4. Si può quindi affermare che circa l’80% del T3 derivi da una produzione locale extra-tiroidea.




DEIODINAZIONE:
La deiodinazione avviene in molti tessuti e comporta un’attivazione o inattivazione degli ormoni tiroidei mediante de-iodinasi (chiamata anche D); il T4 viene trasformato da D1-D2 in T3 attivato, oppure da D3 in T3r, forma inattivata. A livello epatico si aggiunge un’altra via degradata, non de-iodinativa che agisce sul 25% del T4 e che porta alla sua escrezione con la bile. Per quello che riguarda la distribuzione delle de-iodinasi si ha D1 che presenta le maggiori concentrazioni cellulari rispetto a D2 e che si localizza nel fegato, nel rene, nella tiroide e viene inibito dal propil-tiouracile (PTU); D2 é presente nel sistema nervoso centrale, nell’ipofisi, nel cuore e non viene inibito dal PTU, mentre D3 é responsabile della inattivazione. 




TRASPORTO DEGLI ORMONI:
La presenza di carriers plasmatici permette di mantenere le concetrazioni sieriche di fT3 e fT4 relativamente costanti ed immediatamente disponibili per i tessuti, fungendo anche da buffer e storage generale. La porzione libera di ormone è pari allo 0,03% per quello che riguarda fT4 (essendo più lipofilo difatti é più legato) e lo 0,33% di fT3 (10 volte rispetto a T4). Bisogna ricordarsi che é la frazione libera quella efficace.

La TBG (Tiroxine-Binding-Globulin) é una proteina che presenta basse concentrazioni plasmatiche (1-2 mg/dl), ma ha un’alta affinità per gli ormoni tiroidei, soprattutto per T4 e lega l’80% degli ormoni, fungendo da reservoir. Esistono sostanze che alterano le concentrazioni plasmatiche della TBG, provocando in fase acuta uno squilibrio di ormoni tiroidei, condizione che poi viene compensata nella fase cronica. Un aumento di TBG é generato da estrogeni, fenotiazine, eroina, gravidanza, mentre una riduzione della TBG può essere provocato da androgeni, steroidi anabolizzanti e glucocorticoidi ad alta dose.

La TTR (Trans-ThyRetin), detta anche prealbumina (proteina di 55kDa, ma a diversa banda elettroforesica), è una proteina prodotta dal fegato, contenente due siti per il legame di T4 (che lega il 10% del T4 disponibile); le sue concentrazioni plasmatiche sono di 25 mg/dl (4.6 umol/l) e può legare fino a 200 ug di T4. L’albumina presenta una minor affinità verso gli ormoni tiroidei, ma le sue elevate concentrazioni plasmatiche (attorno a 35 g/l) le permette di legare il 10% di T4 ed il 30% di T3 per cui lievi modificazioni nelle sue concentrazioni plasmatiche alterano sono in maniera lieve le concentrazioni di fT3 e fT4. Le lipoproteine infine, soprattutto l’apoproteina A-I delle HDL lega una piccola quota di T4 e T3 a livello sierico.

AZIONE DEGLI ORMONI TIROIDEI:
Gli ormoni tiroidei sono facilmente disponibili per essere captati dalle cellule in ogni istante; inoltre si dissociano facilmente dalle proteine di trasporto, per cui sono virtualmente disponibili in continuo. I recettori nucleari tiroidei (TR) sono i mediatori della gran parte di tutte le funzioni tiroidee e vengono suddivisi in α e β; sono espressi in tanti tessuti, ma con diverse concentrazioni relative: TRα é espresso nel sistema nervoso centrale, nel rene, nelle gonadi e nel muscolo liscio; TRβ é espresso nel fegato e nella ipofisi, mentre TRβ2 é espresso nell’ipofisi, nell’ipotalamo (qui per generare il feedback negativo dell’asse ipotalamo-ipofisario). Questi recettori hanno un dominio centrale legante il DNA (chiamato TRE, Thyroid-Responsive-Elements) e legano zone di enhancer dei diversi geni. Sono costitutivamente legati al DNA e T3-T4 ne alterano le funzioni, a volte con una correlazione lineare dose-risposta (soprattutto nel cuore e nell’ipofisi), altre volte no presentando una certa concordanza fra la sensibilità tissutale e la densità recettoriale. Data la struttura parzialmente differente dei due ormoni tiroidei, l’azione che svolgono in risposta ai diversi tipi di ormone è differente: T3 presenta un’elevata affinità recettoriale, bloccando la repressione dei TR sui geni cui sono legati, mentre T4 presenta una bassa affinità recettoriale, non attivando la trascrizione (funge difatti da pro-ormone).





ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-TIROIDE:
Il TRH è un tripeptide ipotalamico, con azione sulle cellule tireotrope ipofisarie; lega proteine Gq-receptor, comportando un aumento del calcio intracellulare; ha azione anche sulle cellule lattotrope soprattutto quando si perde il freno dopaminergico, facilitando la secrezione di latte. L’ocreotide é un analogo della SST (anche se presenta una maggiore emivita) ed è in grado di ridurre le concentrazioni sieriche di TSH, anche se non in maniera così efficace come per il GH. Nei pazienti predisposti, lunghe somministrazioni di Ocreotide possono generale ipotiroidismo. 

La dopamina (DA) alla dose minima di 1 ug/Kg/min genera una rapida riduzione delle concentrazioni sieriche di TSH; all’opposto, la somministrazione di metoclopramide e/o altri antagonisti dopaminergici, incrementa le dosi di TSH (con azioni sull’ipofisi, non sull’ipotalamo). Rappresenta un inibitore importante dell’azione tiroidea. I glucocorticoidi svolgono una funzione inibitoria sulla secrezione di TSH, solitamente riducendo l’azione pulsatile della secrezione di TSH, indicando un’azione diretta sulla secrezione di TRH; è anche vero che il TSH appare essere meno responsivo alla stimolazione esterna di per sé. 

Il TSH presenta una catena α (comune anche agli ormoni FSH/LH) ed una catena β (TSH-specifica); viene secreto in maniera pulsatile, con concentrazioni plasmatiche notturne aumentate, ma presenta minime oscillazioni durante la giornata (con un’emivita di 50 min), quindi una singola misurazione plasmatica è sufficiente ed accurata. Il set point di questo asse è pertanto stabilito dal TSH, che rappresenta il valore sensibile/specifico della funzione tiroidea. Gli effetti del TSH sono un aumento dell’uptake di iodio, l’organificazione dello iodio, la degradazione della Tireoglobulina e l’aumento del trofismo tiroideo. Gli ormoni T3 e T4 agiscono come feedback negativo sul TSH e sul TRH; una loro riduzione (tipicamente post-traumatica, chirurgica, infiammatoria, ecc…) comporta pertanto un aumento del TSH a scopo compensatorio. L’età avanzata, la malnutrizione e le patologie tiroidee provocano quella che si chiama low-T3-syndrome che ha lo scopo di generare risparmio energetico.


EFFETTI CLINICI:
Gli effetti clinici della tiroide sono sulla crescita (studi animali mostrano la metamorfosi dei girini in anfibi), lo sviluppo del sistema nervoso centrale, lo sviluppo della mielinizzazione, lo sviluppo delle reazioni metabolico-cellulari. A livello metabolico si ha un aumento LDLr (con riduzione della colesterolemia), un aumento della lipolisi ed un aumento del consumo dei carboidrati. A livello cardiaco si sviluppa un effetto cronotropo/inotropo positivo (con aumento gittata cardiaca), un aumento dell’espressione dei β-receptor con maggior sensibilità alle catecolamine, alterazioni della composizione della miosina ed  aumento dell’attività ATPasica della miosina. Infine, a livello calorigenico non disaccoppia il rapporto ventilo-perfusorio, aumenta la lipolisi e la sintesi di GH, aumenta il lavoro cardiaco, stabilizza il limite superiore del consumo energetico e controlla il macchinario metabolico per sostenerlo.



FISIOPATOLOGIA:
La fisiopatologia si gioca tutta sulla disfunzione dell’asse tireotropo, con una disregolazione eccessiva nel funzionamento degli ormoni tiroidei; é fondamentale osservare che non si parla di concentrazione plasmatica di ormoni tiroidei (che comunque possono e devono essere misurati), quanto piuttosto di funzionamento periferico.

Il meccanismo fisiopatologico che provoca la crisi tirotossicotica non é ben conosciuto e sembrano essere coinvolti più fattori concomitanti, con un aumento rapido e brusco degli ormoni tiroidei, una iperattività del sistema nervoso simpatico e l’amplificazione della risposta cellulare agli ormoni tiroidei; come detto, un tasso eccessivo di ormoni non é un fenomeno obbligatorio. Gli eventi clinici che possono scompensare una situazione già presente di distiroidismo sono le infezioni, la chirurgia, i dismetabolismi (acidosi diabetica, ipoglicemia, ecc…), lo scompenso cardiaco, l’embolia polmonare, eventi ischemici cerebrali, l’ischemia mesenterica, traumi recenti, stress emotivi e/o somministrazione di iodio (mezzi di contrasto iodati, amiodarone, ecc…). È inoltre possibile che i fattori che riducono il legame fra ormoni tiroidei e proteine plasmatiche siano una delle cause più frequenti che portano alla manifestazione clinica di malattia.

Quello che si genera é un effetto cronotropo positivo estremamente importante, con aumento di tutta l'eccitabilità cellulare cardiaca, sviluppo di tachiaritmie anche potenzialmente fatali, che vanno da FA rapide e flutter con rapida risposta ventricolare fino a TV polimorfe e FV. In alcune situazioni poi, la tachicardia é un fenomeno che si sviluppa da giorni/settimane fino ad arrivare ai quadri severi richiedenti il ricovero in ICU, per cui si associa una tachimiopatia con disfunzione sistolica severa comportante shock cardiogeno. In questo caso l'uso della terapia B-bloccante risulta deleterio nella fase acuta e si deve pertanto supportare lo shock cardiogeno come in tutti i casi (si veda l'apposito capitolo dedicato alla gestione dello shock cardiogeno, Capitolo 2.7.6).


CLINICA:
L’esordio é generalmente brutale, con la comparsa di una cardiotossicosi importante per sindrome ipercinetica, disturbi del ritmo sopra-ventricolari, aritmie ventricolari, ipertensione polmonare, ipotensione ortostatica, scompenso cardiaco severo, ecc…, cui si associano disturbi neuropsichici con agitazione, obnubilazione, sindrome confusionale, psicosi, crisi comiziali, coma, ecc… e disturbi di temperatura con ipertermia severa e disidratazione importante. 

Più raramente si associano disturbi digestivi come vomito, diarrea, dolori addominali, occlusione intestinale, ittero ed insufficienza epatica, oppure disturbi cronici cioé sintomi che generalmente sono manifesti in maniera chiara in pazienti con ipertiroidismo cronico, ma che possono essere assenti se la malattia si sviluppa rapidamente come astenia, perdita di peso con polifagia, amiotrofia, mixedema ed oftalmopatia di Graves, ecc…

La diagnosi differenziale é posta soprattutto con forme di sepsi/shock settico, la sindrome neurolettica maligna, l'ipertermia maligna, la mania acuta, e rare forme di beri-beri, anche se il quadro clinico che accompagna il paziente e l'anamnesi generalmente portano alla conferma diagnostica.

Dal punto di vista delle analisi di laboratorio tipicamente si riscontra un aumento di T4 e T3 periferici, con riduzione della TSH (soprattutto se si origine tiroidea) oppure con aumento della TSH (per problemi legsti all’ipofisi). Di per se stesso non é dirimente per la diagnosi, anche se tale condizione é di aiuto per l’eziologia.


PRINCIPI DI TERAPIA:
Se il paziente presenta una condizione clinica tale da arrivare in ICU significa che l’insufficienza cardiaca (e a seguire l’insufficienza multi-organo) é tale da richiede un supporto specifico che va dal monitoraggio, alla somministrazione di amine fino all’utilizzo dell’ECMO. Gli obiettivi terapeutici sono il trattamento delle insufficienze d’organo, la riduzione del tasso di ormone circolante, l’antagonismo della loro azione periferica e la ricerca/eliminazione dei fattori provocativi.



Uno dei meccanismi é quello di ridurre la sintesi degli ormoni tramite l’utilizzo di Propiltiouracile (PTU) a 600-1.200 mg die PO (sono alte dosi) che blocca la funzione della tireo-perossidasi con riduzione dell’ossidazione dello iodio (ed anche riduzione della conversione periferica di T4 in T3); eventualmente si può utilizzare il Benzyl-tiouracile (450-90 mg die PO) oppure il Carbimazolo (60-120 mg die PO). Generalmente vengono somministrati PO dato che vengono assorbiti rapidamente entro 1-2 ore dalla somministrazione, anche se l’effetto non ha niente a che fare con i tassi plasmatici, dato che l’effetto inizia dopo 12-24 ore dalla somministrazione di PTU e probabilmente anche oltre da parte del Carbimazolo. Nel caso sia controindicata la somministrazione PO, si può procede a somministrazione rettale ed é stato riportato un caso di somministrazione IV. Ad oggi non esiste alcuno studio clinico randomizzato prospettico che indichi come un farmaco sia preferibile all’altro in termini d’efficacia, di tolleranza e di costi, per cui non ci sono motivi scientifici per preferire il PTU ad un altro di questi farmaci. Effetti collaterali possono essere reazioni cutanee (4-6%), artralgie (1-5%), poliartrite (1-2%), vasculite ANCA-correlate (rare), agranulocitosi (0.1-0.5%) ed epatiti immunoallergiche (0.1-0.2%).



Un altro meccanismo è quello di bloccare la liberazione di iodio tramite la somministrazione di iodio minerale non radioattivo che genera per effetto Wolff-Chaikoff un arresto dell’attività della tiroide. Generalmente si esegue tramite somministrazione di Lugol forte 5% (60-90 gtt tid PO), oppure tramite ioduro di sodio (1.5 - 3 g die IV). Eventualmente, se é controindicato lo iodio, si può somministrare del carbonato di litio (250 mg tid PO) che riduce la pretorili della tireoglobulina ed inibisce anche le tappe della sintesi ormonale; si deve controllare il tasso plasmatico di litio che deve restare fra 0.6-1.2 mmol/l).



Altri meccanismi che sono utilizzati sono tramite i glucocorticoidi che inibiscono la sintesi ormonale, riducono i fenomeni infiammatori della tiroide, la produzione di anticorpi stimolanti ed la conversione periferica di T4 in T3. Generalmente si somministra Dexametasone 0.5-1 mg/Kg die (in alcuni casi si può arrivare in fase acuta a 2 mg/Kg die). La colestiramina blocca il circolo entero-epatico degli ormoni tiroidei e viene somministrata a dosi di 4 g tid PO. Anche il perclorato di potassio (1 g die PO) si è dimostrato in grado di agire come inibitori competitivo della penetrazione tiroidea di iodio, potenziando l’azione del PTU. Altre soluzioni da riservare a crisi tirotossiche severe sono l’uso della CVVHDF (anche se gli ormoni sono legati alle proteine plasmatiche, pertanto la loro clearance é relativamente bassa) o della plasmaresi 1:1 con albumina.

La chirurgia in urgenza é controindicata in fase acuta, soprattutto se il paziente é emodinamicamente instabile, con eventuale multi-organ failure, per cui si rimanda l’intervento non appena il paziente risulta stabile dal punto di vista emodinamico. Generalmente si effettua una tiroidectomia totale/subtotale (con terapia sostitutiva successivamente) che se eseguita in elezione presenta un basso rischio peri-operatorio, tipicamente inferiore al 2%. I dettagli sulla chirurgia della tiroide saranno discussi separatamente (si veda il capitolo dedicato alla chirurgia ad alto rischio, Capitolo 7.2.3). Nel caso sia controindicata la chirurgia (per patologie concomitanti al paziente) si può eseguire un'ablazione tramite radio-iodioterapia.


CONCLUSIONI:
La tirotossicosi é un distiroidismo relativamente raro da riscontrare in ICU, ma estremamente grave ed altamente letale se non viene prontamente riconosciuto e trattato. Il punto chiave, dopo l'adeguato sospetto clinico e l'eventuale conferma diagnostica (che, va ricordato, é basato sul sospetto clinico), é quello di supportare l'instabilità emodinamica anche con utilizzo di mezzi di circolazione extra-corporea (tipicamente l'ECMO-VA, si veda il capitolo dedicato, Capitolo 12.5.1), associando una terapia atta a ridurre/bloccare l'attività tiroidea.


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