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Angina Cronica da Sforzo (Capitolo 2.6.2)



Proseguiamo con la discussione sul capitolo dedicato all'ischemia ed all'infarto cardiaco; qui affronteremo brevemente il capitolo dedicato alle forme stabili di angina. L’angina cronica stabile è una condizione clinico-patologica che si caratterizza per la comparsa di un dolore anginoso (manifestato spesso come un senso di oppressione retrosternale, di solito con irradiazioni tipiche a livello della mandibola, del braccio sinistro o dello stomaco) che compare sotto sforzo (e/o durante un'emozione) e che regredisce a breve tempo (da 30 secondi fino a pochi minuti) dopo il termine dello sforzo. E’ la condizione di malattia più frequente a livello coronarico e come vedremo é legato ad una progressione della malattia aterosclerotica a livello coronarico e/o ad una ridotta riserva coronarica per la presenza di un'importante ipertrofia ventricolare sinistra (come nel caso di cardiomiopatia ipertrofica o di stenosi valvolare aortica). Con questo capitolo non si vuole fare un trattato esaustivo sulla cardiopatia ischemica (esistono testi più specialistici per questo), quando si vuole fornire gli elementi necessari per la adeguata presa a carico di questi pazienti qualora si presentino in ICU per questa condizione clinica o sviluppino tale complicanza durante la degenza in ICU.


FISIOPATOLOGIA:
Si parla di stenosi subcritica quando è presente un’ostruzione vascolare tale da permettere un buon flusso coronarico durante condizioni di riposo, mentre quando il paziente esegue uno sforzo si ha un aumento del lavoro cardiaco, con un incremento della richiesta d’ossigeno. La presenza di una stenosi impedisce di adeguare il flusso coronarico alla richieste del miocardio, per cui si genera ischemia da sforzo. Sospendendo lo sforzo, l’ischemia scompare. Esiste una correlazione di tipo inverso fra gravità della stenosi vascolare e livello soglia per scatenare l’ischemia cardiaca; per stenosi critica l’ostruzione vascolare coronarica è tale per cui si ha una riduzione del flusso basale, con comparsa di angina a riposo. Si parla quindi di “stenosi critica”, solitamente quando l’ostruzione è superiore al 90% del diametro vascolare.




Fra i pazienti che manifestano forme di angina da sforzo, esistono due sottopopolazioni estremamente importanti; quelli che presentano una soglia fissa di dolore (é un dolore che si presenta sempre per la stessa tipologia di sforzo) e coloro che presentano una soglia variabile (sforzi che un giorno solo ben tollerati, un altro giorno evocano dolore); questi ultimi sono la popolazione più rappresentativa. Un ruolo chiave è giocato dall’endotelio, che regola il tono vascolare ed i processi coagulativi locali; la presenza di una placca ateromasica altera la funzione fenotipica endoteliale, con uno sbilanciamento a favore delle sostanze vasocostrittrici e riduzione della produzione di vasodilatatori (soprattutto NO).

La placca concentrica è una placca che interessa tutta la parete del vaso in maniera concentrica, per cui non rimangono più cellule muscolari lisce che possono rispondere allo stimolo vasocostrittore. La soglia della angina è determinata solamente dalla entità stenosante della placca; i pazienti risponderanno poco alla terapia anti-vasocostrittiva  (come Calcio-antagonisti e/o Nitrati). La placca eccentrica è una placca che interessa solamente parte del vaso, lasciando una porzione di parete sana, libera di rispondere ai mediatori locali (prevalentemente vasocostrittori per uno squilibrio della funzione endoteliale), che comportano brusche riduzioni del diametro locale e quindi anche del flusso (che correla con la quarta potenza del raggio). Stenosi anatomica e stenosi dinamica spiegano la variabilità della sintomatologia accusata dal paziente.





VALUTAZIONE CLINICA:

ANAMNESI
Un’accurata anamnesi è fondamentale per valutare la probabilità di diagnosi (cioè la possibilità che il dolore sia di natura anginosa) e la severità della condizione anginosa (stratificazione clinica del rischio); per quello che riguarda la probabilità di diagnosi la possibilità che il dolore manifestato dal paziente sia di natura anginosa dipende dalle caratteristiche del paziente (età avanzata, sesso maschile, fumatore, ipercolesterolemia, diabete mellito, anamnesi positiva, ecc…) e del dolore; si possono quindi identificare tre differenti categorie. Nell’angina tipica è presente un dolore con caratteristiche tipiche (oppressione e/o compressione retrosternale, con irradiazione al giugulo, alla mandibola, al lato ulnare del braccio sinistro, ecc…), provocato da sforzo e che regredisce con la sospensione dello sforzo e/o nitrati sub-linguali. L’angina atipica, invece, delle classiche tre condizioni necessarie (dolore, sforzo e regressione) ne presenta solo due. Il dolore non cardiaco è presente al massimo una sola componente; non si esclude una origine ischemica del dolore, ma la probabilità è molto bassa.

Per quello che concerne la severità di malattia per la stratificazione clinica del rischio e della severità di malattia si utilizza la classificazione Canadian Carviovascular Society (CCS) a livelli di severità progressiva:
  • CCS I: le attività fisiche ordinarie non sono compromesse; essa occorre durante esercizio strenuo, prolungato e/o rapido.
  • CCS II: si ha una lieve compromissione delle attività quotidiane; l’angina occorre nella salita rapida delle scale e/o al freddo e/o dopo un pasto e/o con stress emotivi. Occorre dopo aver camminato per 2 isolati e/o oltre 3-4 rampe di scale.
  • CCS III: si ha una limitazione marcata delle attività fisiche ordinarie; l’angina può occorrere mentre si cammina e/o durante la salita delle scale.
  • CCS IV: si ha un’incapacità di eseguire alcuna attività fisica  per la comparsa di dolore anginoso; il dolore può essere presente anche a riposo.

Una volta poi che viene poi stabilita la presenza di malattia coronarica, è fondamentale chiedere al paziente se il dolore si manifesta con una soglia fissa e/o con una soglia variabile.

ESAME OBIETTIVO:
Nelle angine croniche da sforzo l’esame obiettivo non serve a fare diagnosi, dato che nella maggior parte delle situazioni (soprattutto a riposo) è perfettamente normale; viene però utilizzato in due condizioni. Per quello che riguarda la predisposizione, l’esame obiettivo generale permette di individuare condizioni che fanno sospettare un diabete mellito, una vasculopatia periferica, la presenza di xantomi e/o xantelasmi (per l’ipercolesterolemia), soffi vascolari, ecc…; per quello che concerne le cardiopatie l’esame obiettivo permette di identificare altre cardiopatie che spesso si accompagnano ad ischemia cardiaca (come la stenosi valvolare aortica, la cardiomiopatia ipertrofica, ecc…) o che non si accompagnano a cardiopatia ischemica (come il click da prolasso mitralico che si accompagna a dolori atipici).

ELETTROCARDIOGRAMMA:
L’ECG basale, registrato al di fuori dello sforzo solitamente si rileva normale; a volte possono essere presenti anomalie della ripolarizzazione (con onde T appiattite) che però non risultano specifiche. L’ECG viene comunque eseguito per diversi motivi: innanzitutto per la presenza di pregressi infarti miocardici, permettendo di identificare pregressi infarti, spesso non diagnosticati clinicamente per l’asintomaticità del paziente (soprattutto se diabetico e/o anziano). Inoltre permette di individuare segni di sovraccarico ventricolare sinistro con incrementi del voltaggio QRS, modificazioni del tratto ST e dell’onda T; spesso da ipertensione arteriosa e/o stenosi valvolare/sottovalvolare aortica. Infine esistono situazioni di ECG non leggibile se si rilevano alterazioni basali del tratto ST secondariamente ad altre situazioni para-fisiologiche (ritmo da pace-maker, blocco di branca sinistro, sindrome da pre-eccitazione, uso di digitale, ipertrofia/sovraccarico ventricolare sinistro, ecc…) che rendono il segnale rilasciato dall’ECG come illeggibile.

Dopo aver eseguito anamnesi, esame obiettivo ed ECG si possono seguire due differenti percorsi diagnostici: se si ha una storia di un pregresso infarto miocardico acuto, segni di scompenso cardiaco e/o un sospetto di valvulopatia si esegue una ecocardiografia TT, altrimenti si esegue un test da sforzo.





ECOCARDIOGRAFIA:
L’ecocardiografia viene utilizzata quando durante la valutazione iniziale di un paziente con sospetta angina cronica stabile si ha il sospetto di pregresso infarto miocardico acuto, segni di scompenso cardiaco e/o valvulopatia. Nei casi di sospetto infarto miocardico permette di valutare la funzione ventricolare e l’estensione dell’area infartuata, in caso di scompenso cardiaco e/o valvulopatia permette di porre diagnosi di certezza e/o di stratificazione di rischio. Rimandiamo ai capitoli dedicati all'ecocardiografia (si veda tutto il Capitolo 13) ed allo scompenso cardiaco sinistro di tipo sistemico (Capitolo 2.7.1) per maggiori dettagli in merito alla valutazione della funzione sistolica tramite ecocardiografia.


TEST PROVOCATIVI D'ISCHEMIA:
I test provocativi di ischemia hanno lo scopo di indurre l’ischemia cardiaca e di visualizzarla, mediante metodiche differenti in termini di generatore di stress (stressore) e lettore dello stress. Ne parleremo meglio in un apposito capitolo dedicato (si veda il Capitolo 2.6.5) cui rimandiamo per maggiori dettagli.




MANAGEMENT TERAPEUTICO:
Sulla base del differente risultato dei test provocativi d’ischemia (sia il Test da Sforzo che l’co-stress che la Scintigrafia miocardica, si rimanda al capitolo dedicato ai test da sforzo, Capitolo 2.6.5) è possibile stratificare il rischio prognostico del paziente, seguendo un differente percorso terapeutico. Per i pazienti ad alto rischio la presenza di un test ad alto rischio individua un gruppo di pazienti con coronaropatia severa e cattiva prognosi nonostante terapia medica; in questi casi è indicata una coronarografia (per individuare la sede della lesione) ed eventualmente una rivascolarizzazione (se possibile durante la stessa seduta) mediante angioplastica e/o CABG. Per i pazienti a medio rischio (sono tutti i pazienti che non sono ad alto rischio, ma che presentano un test positivo) sono possibili due atteggiamenti: l’approccio interventistico consiste nell’eseguire una coronarografia (ed eventuale angioplastica), preferito nelle persone non troppo anziane, attive e quando esiste una elevata expertise locale (con basso tasso di complicanze); l’approccio conservativo consiste nel trattamento medico, conservando la coronarografia in caso di inefficacia terapeutica (efficacia che viene controllata mediante test da sforzo); solitamente si preferisce in pazienti anziani, con importanti co-patologie associate e/o limitanti e/o una ridotta aspettativa di vita e/o in caso di bassa expertise locale.

La filosofia moderna del trattamento della cardiopatia ischemica cronica stabile si propone di: a) abolire i sintomi, b) eliminare gli episodi ischemici, c) ridurre la progressione di malattia e d) ridurre l’evoluzione verso l’infarto o la morte. Per ottenere tutti questi risultati si impiega un mix di terapia interventistica e terapia medica.




ANGIOPLASTICA CORONARICA:
E’ una tecnica che consiste nella dilatazione della coronarica stenotica “by stretching and tearing” della placca, tramite un catetere a palloncino; il materiale della placca viene così distribuito nella parete lungo l’asse longitudinale del caso, il tutto stabilizzato da uno stent (una maglia metallica) che evita la chiusura acuta e l’elastic recoil a distanza. L’efficacia della procedura è attorno al 95-100%; le complicanze sono rare e dipendono dall’expertise locale, dall’anatomia coronarica e dalle caratteristiche del paziente. La mortalità globale è attorno allo 0,5%, l’IMA attorno al 1-3% (solitamente NSTEMI), il CABG d’urgenza attorno allo 0,2-3%. La restenosi purtroppo rappresenta il problema più frequente, solitamente è del 15% a 6-12 mesi ed è legato ad una proliferazione di cellule muscolari lisce che riescono ad infiltrare le maglie dello stent; i pazienti più a rischio sono i diabetici e le stenosi particolarmente complesse. Da alcuni anni sono stati introdotti in commercio stent medicati (drug-eluting) contenenti farmaci anti-mitotici che diffondono localmente nella parete, inibendo la crescita delle cellule muscolari lisce. Il loro utilizzo ha ridotto il rischio di restenosi al di sotto del 5%, anche se il problema maggiore è il rischio di trombosi; per questo viene mantenuto per 1 anno una doppia anti-aggregazione (ASA 100 mg die PO e Clopidogrel 75 mg die PO).

BY-PASS CORONARICO (CABG):
E’ un intervento chirurgico maggiore, che richiede anestesia generale, sternotomia e, in alcuni casi, l’utilizzo della Circolazione Extra-Corporea (CEC) con arresto dell’attività cardiaca; viene quindi mantenuta una degenza di 24 ore in Terapia Intensiva, Ricovero di circa 7 giorni e riabilitazione di 2-3 settimane. Il razionale di intervento è quello di far arrivare il sangue al miocardio a valle delle coronarie stenotiche bypassando la stenosi mediante un condotto (venoso/arterioso). In genere sono da avviare alla chirurgia i pazienti in cui l’emodinamista non ritiene di eseguire la procedura e/o sia necessario un intervento chirurgico associato.

In genere la mortalità è inferiore all’1%, ma può arrivare al 5% nei pazienti con scompenso ventricolare sinistro e fino al 10% in caso di urgenza; può svilupparsi un infarto miocardico peri-operatorio nel 3-5% dei casi (solitamente per errore nel confezionamento del by-pass, diffusa malattia ateromasica, difetti di protezione miocardica). Una complicanza benigna molto frequente è la FA perioperatoria, che si manifesta nel 30-40% dei casi, e regredisce spontaneamente nel giro di pochi giorni. Nei pazienti con noto scompenso ventricolare sinistro si può avere scompenso cardiaco e/o shock cardiogeno, con conseguente danno in altri organi; in questi casi la mortalità arriva al 30%. Ultimamente sono state introdotte nuove tecniche innovative, al fine di ridurre tutte le complicanze legate all’arresto cardiaco; fra queste è importante la chirurgia a cuore battente, senza l’utilizzo di CEC, anche se esistono ancora controversie sulla reale efficacia in tal senso.

Per quello che concerne la scelta del condotto è stato ampiamente dimostrato che i condotti arteriosi presentano una pervietà immediata ed una sopravvivenza maggiore rispetto ai condotti venosi; circa il 50% delle vene sono chiuse a 10 anni (vs 5% delle arterie toraciche interne); le arterie sono abituate a condizioni di alta pressione, hanno ottimi vasa-vasorum ed un ottimo endotelio, inoltre l’arteria toracica interna è libera da aterosclerosi; le vene vengono devalvolate ed eradicate dal loro contesto naturale, poste in condizioni differenti dalla loro normale funzione e sviluppano aterosclerosi più velocemente. Per questo in pazienti con elevata spettanza di vita si preferiscono le arterie toraciche interne, l’arteria radiale o le arterie gastro-epiploiche; il tempo libero da malattia aumenta con il numero di condotti utilizzati.

Per ciò che concerne i risultati a lungo termine, a distanza di anni i risultati dell’angioplastica e del by-pass sulla sopravvivenza globale sono sovrapponibili; la differenza è che per il CABG per almeno 10 anni risulta un intervento definitivo (anche se in seguito una percentuale sempre maggiore comincia a manifestare dolore, più raramente va incontro ad infarto), mentre la PTCA può richiedere nuovi interventi a causa della restenosi (svantaggio comunque limitato, dato che è un processo lento e che si manifesta come positività al dolore con sforzo, prevedibile con test da sforzo e che molto raramente si manifesta primariamente con infarto miocardico). La ripresa del dolore avviene per lenta evoluzione della malattia, facilmente prevedibile e diagnosticabile mediante esecuzione di test provocativi d’ischemia regolarmente. E’ molto raro che si abbia una manifestazione d’infarto come primo sintomo.

Solitamente, nei pazienti già trattati mediante terapia invasiva, alla ripresa dei sintomi si cerca un trattamento farmacologico; qualora risulti inefficace si esegue una coronarografia (al fine di eseguire una nuova angioplastica): se è alterato il vaso nativo la procedura non presenta particolari controindicazioni, nel caso di alterazione a carico del graft vascolare la procedura è più complessa e deve essere eseguita in un centro particolarmente esperto. In altri casi è necessario eseguire un nuovo CABG, con un rischio doppio di complicanze (di qualsiasi tipologia), perché si ha un paziente più anziano, con una ridotta funzione ventricolare sinistra, con il pericolo di lesionare i graft durante l’adesiolisi e/o provocare un nuovo infarto peri-operatorio; a distanza i risultati dell’intervento secondario sono peggiori rispetto al primo intervento. Nel caso (raro) in cui i vasi siano così estesamente e severamente malati da non consentire alcuna procedura di rivascolarizzazione, il paziente va riferito a centri super-specialistici per ulteriori opzioni terapeutiche quali:
  • Rivascolarizzazione transmiocardica laser: si esegue una piccola toracotomia (o in toracoscopia) e si utilizza un apparecchio che emette radiazioni laser che generano piccole lesioni nella zona di miocardio tributario della coronaria diffusamente malata, generando neoangiogenesi e denervazione nervosa (dubbio). Si è dimostrato un miglioramento sintomaticoriduzione dell’assunzione di nitratiaumento della tolleranza allo sforzo ed un miglioramento del tempo libero da malattia.
  • Stimolazione con catetere peridurale: la spinal cord stimulation permette la stimolazione delle vie nocicettive toraciche da parte di un elettrocatetere inserito nel midollo spinale toracico, riducendo la sensazione dolorifica ed il tono vasomotore locale, permettendo una vasodilatazione coronarica che incrementa la soglia di ischemia. Risulta efficace nel 70% dei pazienti senza aumentare la mortalità.
  • Neoangiogenesi: è ancora la tecnica più sperimentale, con minori risultati clinici rispetto alle altre metodiche; prevede l’utilizzo di VEGF che viene iniettato nel tessuto miocardico (in chirurgia o emodinamica), con stimolazione e formazione di circoli collaterali.

TERAPIA MEDICA:
Il principio del trattamento medico dell’angina cronica stabile è molto cambiata negli ultimi anni, dato il miglioramento delle tecniche percutanee l’utilizzo dei farmaci diviene sempre più di prevenzionedi seconda scelta e/o a ponte prima di un intervento invasivo.
  • Aspirina: l’utilizzo di ASA a basse dosi (75-162 mg die PO) viene utilizzato da anni con successo nella profilassi secondaria della coronaropatia; è generalmente indicata in tutti i pazienti a vita. L’associazione con Clopidogrel è al momenti riservata per pazienti con drug-eluting stent (per 1 anno); l’associazione con inibitori della gpIIb/IIIa in uso cronico ha dato risultati pessimi ed è attualmente vietato. Fra i farmaci che hanno un effetto prognostico positivo il più importante è l'ASA (162-325 mg die PO), seguito dai B-bloccanti (se non si esegue la trombolisi) e poi dai nitrati.
  • ACE-inibitori: sono farmaci che vanno somministrati a dose piena; si sono dimostrati estremamente utili nel ridurre la mortalità, gli infarti e/o le complicanze a lungo termine; sono preferiti soprattutto nei pazienti ipertesi, diabetici, con scompenso ventricolare sinistro e/o con Insufficienza renale cronica.
  • β-bloccanti: sono farmaci che svolgono numerosi effetti benefici sui pazienti affetti da cardiopatia ischemica, dato che riducono la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, il rischio di rottura della placca, le aritmie, ecc…; sono efficaci sia nel trattamento dell’angina che nella profilassi secondaria.
  • Nitrati: sono fra i farmaci da utilizzare nell’attacco anginoso acuto (da sforzo), altrimenti vanno iniziati in terapia solamente dopo l’introduzione degli altri farmaci, dato che sono puramente sintomatici e non prognostici. Solitamente vengono utilizzati come cerotti transdermici, da mantenere in sede per 16 ore (con un intervallo di 8 ore, solitamente notturno, al fine di evitare la tachifilassi); fra i side effects più frequenti si può avere cefalea e/o ipotensione.
  • Statine: gli inibitori della HMG-CoA-reduttasi sono indicati in tutti questi pazienti come profilassi primaria/secondaria; recentemente è stata dimostrata l’efficacia nel ridurre il numero di eventi anche nei pazienti con LDL nei limiti di norma, probabilmente per passivizzazione della placca (effetto pleiotropico e riduttivo sulle LDL); da utilizzare a dosaggio pieno.

(continua...)


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