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Infezione da Candida (Capitolo 6.5.1)



Il problema delle infezioni da funghi é un problema infettivo che diviene sempre più frequente, in particolare nelle ICU ad elevato volume di pazienti; in generale si stima che circa il 51% dei pazienti ricoverati in ICU sono infettati, di cui il 62% da Gram negativi, il 46% da gran positivi ed il 19.4% da funghi; la maggior parte delle infezioni fungine in ICU sono a loro volta provocate da Candida spp (87%), da Aspergillus spp (7%) e a seguire da altri funghi (5%). In questo capitolo accenneremo ad alcuni elementi clinici importanti da ricordare per il corretto management delle infezioni da Candida, mentre nel prossimo capitolo ci soffermeremo sugli aspetti delle infezioni da Aspergillus spp (si veda il capitolo 6.5.2).



La candidiasi invasiva é la patologia fungina più frequente nei pazienti ospedalizzati, con una mortalità che si aggira attorno al 40%, anche quando il paziente riceve la terapia antifungina adeguata, condizione ulteriormente aggravata dall’aumento dei casi di infezione da Candina non albicans, con incremento delle resistenze antifungine. I casi annui di candidosi invasiva sono almeno 250.000 pazienti l’anno, con oltre 50.000 morti annue, con un’incidenza di circa 2-14 casi ogni 100.000 persone; se in generale la candidiasi rimane una fra le infezioni ematiche più frequenti (fra la 7-10° causa in ospedale) in ICU arriva ad essere la quarta causa di infezione ematica. I fattori di rischio per lo sviluppo della candida sono i seguenti:
  • malattia critica, soprattutto con lunghe-degenze in ICU
  • chirurgia addominale, soprattutto con pazienti che presentano deiscenza di anastomosi e plurime laparotomie;
  • pancreatite acuta necrotizzante;
  • neoplasie ematogene maligne;
  • trapianto organi solidi
  • neonati prematuri e sotto-peso;
  • uso di antibiotici a largo spettro;
  • presenza di CVC e di nutrizione parenterale totale;
  • emodialisi;
  • uso di glucorticoidi ad alta concentrazione



Lo step più importante per l'infezione disseminata da Candida è la colonizzazione cutanea da parte del microrganismo, che poi può entrare tramite soluzioni di continuo provocate da ferite, aghi, ustioni, dcc… e da qui può avvenire la disseminazione per via ematogena a tutti gli organi periferici (compresi endocardite, endoftalmite). Questo elemento é talmente importante che vedremo a livello clinico come la co-presenza in 3 o più siti di tale germe sia un elemento dirimente per la scelta terapeutica.



EZIOPATOGENESI:
Se fino a pochi anni fa si poteva dire che la C. albicans rappresentava il 76% delle forme (di cui 29% erano acquisite in ICU), seguita da C. glabrata, C. parapsilosis, C. tropicalis e C. krusei, negli ultimi anni si sta assistendo a modifiche progressive delle specie di Candida: C. albicans in ICU arriva ad essere presente in poco più che 1/3 dei pazienti, mentre C. glabrata si dimostra in continuo aumento nei paesi occidentali, C. parapsilosis in Europa del sud, Asia e sud america. La differente distribuzione di specie é importante perché arriva a modificare la terapia empirica che deve essere impostata quando si sospetta una infezione fungina invasiva. Generalmente C. parapsilosis e C. krusei sono meno invasive rispetto alle altre specie (sono anche associate ad una bassa mortalità), anche se C. krusei tipicamente si manifesta in caso di immunodeficienza severa e prolungata, portando a morte il paziente per le condizioni pre-esistenti dello stato immunitario del paziente stesso.

Tipicamente l'infezione avviene per via ematogena (per le forme catetere-correlate), oppure tramite soluzioni di continuo cutanee/intestinali per le infezioni a partenza addominale e a partenza dalle vie urinarie. La presenza di infezioni da Candida correla con l'aumento della degenza in ICU, una maggiore mortalità, un aumento della durata della ventilazione e costi clinici maggiori. 

Nonostante molti pazienti in ICU presentino i fattori di rischio per la colonizzazione e l’invasione da Candida spp, sono relativamente pochi i pazienti che realmente sviluppano tale infezione. Si pensa che, oltre ad una virulenza differente, in gioco ci siano anche fattori genetici dell’ospite, come un polimorfismo genetico a carico del Toll-like Receptor, nei recettori dell’IFN, ecc… o altri fattori che in qualche maniera sono deputati all’immunità innata.


DIAGNOSI:
Le opzioni diagnostiche disponibili per la diagnosi di candidosi invasiva sono legate ad una detenzione diretta dal tessuto/liquido analizzato, tramite culture, detenzione indiretta, PCR, ecc… Ad oggi nessuno di questi test é perfetto (in quanto non dotati di elevata specificità e sensibilità diagnostica), pertanto é spesso necessario eseguire più test per poter raggiungere la massima accuratezza diagnostica.

L’analisi istopatologica con identificazione in situ del fungo rappresenta il gold standard, ma richiede procedure invasive e metodiche di colorazione che richiedono giorni per la positività. Di contro con l’isolamento da liquidi sterili è possibile in 2-4 ore tramite metodiche cromogeniche, (PCR, FISH, ecc…) determinare la presenza del fungo. Le emocolture hanno una sensibilità estremamente variabile (che oscilla dal 21% al 70%), con buona sensibilità diagnostica quando si tratta di un’infezione disseminata per via ematogena, mentre in caso di infezione localizzata senza fungemia, la sensibilità si abbassa notevolmente. Inoltre i risultati sono spesso influenzati da eventuali profilassi per funghi già assunte precedentemente. Le emocolture alla ricerca per funghi, inoltre, richiedono più giorni per la positività, pertanto anche in caso di elevata sensibilità diagnostica, non sono sempre rapidamente informative.

Fra i test sierologici non specifici, é stato identificato il 1-3-B-D-glucano, componente della parete di diversi funghi, come primo marker surrogato in grado di identificare una candidiasi invasiva. Studi recenti mostrano che il rischio della sua elevata sensibilità può portare a falsi positivi, soprattutto per pazienti non estremamente severi dal punto di vista clinica, inoltre non differenziando fra Candida spp e Aspergillus spp; in caso di negatività il valore predittivo negativo é piuttosto buono. Fra i test sierologici specifici ci sono i mannnani (che sono la componente principale della parete della C. albicans) che assieme alla detezione di Ab ha una elevata sensibilità (80%); anche la detezione degli Ab-anti micelio ha una sensibilità elevata (84%) con alta specificità (95%). Ad oggi sono test utili ma in un contesto clinico di moderata/elevato rischio di infezione clinica da Candida spp (il rischio pre-test deve essere già elevato per poter aggiungere questi test ed ottenere delle risposte interpretabili dal punto di vista scientifico).



Fra i nuovi test oggi disponibili ci sono kit di PCR per poter detettare la presenza di funghi in emocolture, con una sensibilità e rapidità di detenzione decisamente superiori rispetto alla semplice coltura (soprattutto in caso di infezioni fungine profonde senza episodi di batteria rilevabili con le classiche colture). Le due tecniche utilizzabili a livello clinico (SeptiFast e T2Candida Panel) appieno promettenti, ma richiedono ancora ulteriori valutazioni statistiche.



Proprio perché attualmente non esiste un test dotato di elevatissima accuratezza diagnostica, sono necessari dei criteri clinici che prendano in considerazione più elementi contemporaneamente; fra questi ci sono i criteri di Leon (Candida score) per pazienti presenti da almeno 7 giorni in ICU; questi criteri valutano se é presente una colonizzazione multifocale da Candida app (1 pt), se il paziente ha subito un intervento chirurgico (1 pt), se il paziente é nutrito tramite nutrizione parenterale totale (1 pt) e se il paziente presenta una sepsi severa (2 pt). Il riscontro di un punteggio oltre 3 punti mostra un alto rischio di candidiasi invasiva. I criteri di Ostrosky-Zeichner invece utilizzano altri parametri come l’uso di qualsiasi terapia antibiotica sistemica (negli 1-3 giorni precedenti ) oppure la presenza di CVC (negli 1-3 giorni precedenti) con almeno 2 fra i seguenti criteri: la nutrizione parenterale totale,  la dialisi, una chirurgia maggiore, l’utilizzo di steroidi, l’utilizzo di farmaci immunosoppressivi e  la presenza di una pancreatite. Entrambi questi scores hanno un VPN estremamente elevato (97-98%), ma una specificità discreta (66-90%), per cui devono essere integrati nel giusto contesto clinico.




PROFILASSI:
Data l’elevata mortalità dei pazienti con infezione fungina invasiva, appare logico l’uso preventivo di terapie anti-fungine in pazienti adeguatamente selezionati per l’elevato rischio di infezione da Candida spp; ad oggi in ICU l’uso preventivo di tali terapie rimane appannaggio di specifici gruppi di pazienti. In pazienti con recente chirurgia addominale con perforazioni intestinali ricorrenti o deiscenza di anastomosi, la terapia profilattica con Fluconazolo si à dimostrata efficace in un primo studio, modestamente efficace nel secondo studio. Si può dire che l’uso preventivo di tale terapia riduce del 50% il rischio di Candidemia, anche se non si ha alcun impatto sulla mortalità.



Appare chiaro che bisogna adeguatamente selezionare i pazienti che potrebbero beneficiare di tale terapia, in modo da ridurre il number needed to treat ed evitare rischiose pressioni selettive nei confronti delle specie di Candida. Pertanto l’identificazione corretta dei fattori di rischio appare un elemento adeguato come argomento di discussione da portare per poter migliorare l’uso adeguato di queste terapie. L’uso prolungato di tali terapie si é dimostrato modificare le infezioni invasive da Candida proprio in base alla specie, con un rischio sempre maggiore di Candida non albicans in base alla durata prolungata della terapia anti-fungina (oltre i 7 giorni) ed anche alla tipologia di terapia anti-fungina (soprattutto con le caspofungine si acuisce questo rischio).




MANAGEMENT NON FARMACOLOGICO:
Alcuni studi retrospettivi mostrano come il trattamento debba essere iniziato precocemente (entro 48 h) per ridurre la mortalità; il rischio pre-clinico viene adottato sulla base dei due scores diagnostici appena discussi. Accanto alla terapia farmacologica vanno rimossi tutti i CVC e tutti i cateteri invasivi; in casi selezionati andrebbe eseguita una fundoscopia per escludere una endoftalmite ed un’ecocardiografia TT per escludere una endocardite. La scelta di rimuovere tutti i cateteri intramuscolari si basa sui concetti che: a) ogni catetere é una porta d’entrata e potrebbe essere il focolaio primario da cui é iniziata l’invasione fungina, b) la Candida può facilmente formare un biofilm sulle pareti del catetere che la lasciano indisturbata sullo stesso catetere nonostante la terapia e c) é stato dimostrato che nonostante l’adeguata terapia la candidemia può persistere fino a quando non si rimuove il catetere. Alcuni studi poi hanno dimostrato che la rimozione ed il cambio dei cateteri é stato associato ad una riduzione della mortalità.

Bisogna inoltre ricordarsi che vanno ripetute le emocolture a 5-7 giorni per valutare la risposta al trattamento e la comparsa di ulteriori infezioni sovrapposte; la durata della terapia è da proseguire per 14 giorni dalle ultime emocolture negative e/o dalla risoluzione dei sintomi.



MANAGEMENT FARMACOLOGICO:
Prima di scegliere la terapia farmacologica, bisogna tenere conto delle caratteristiche del paziente (precedente esposizione ad Azoli, intolleranza agli antifungini, copatologie), della malattia (severità della patologia, coinvolgimento di organi come il sistema nervoso centrale ed il cuore) e del germe (ecologia della Candida e dati di suscettibilità). Ad oggi esistono tre classi di farmaci anti-fungini, dove ciascun nuovo farmaco viene adeguatamente comparato con il regime definito come standard in trasla randomizzati.

TERAPIA CON AZOLI:
Gli atolli sono medicamenti che permettono di bloccare la formazione della membrana del fungo, che si compone principalmente di ergosterolo. Il fluconazolo (dosi terapeutiche di 400-800 mg die IV/PO) può provocare epatopatia, nausea, diarrea frequentemente; ha una buona biodisponibilità, una buona penetrazione del sistema nervoso centrale. Il voriconazolo (dosi terapeutiche di 6 mg/Kg bid IV il primo giorno, poi 4 mg/Kg bid IV) anch'esso provoca frequenti effetti collaterali (come epatopatia, disturbi visivi, rash, allucinazioni, dcc…) e viene somministrato IV, ma non va somministrato nei pazienti con GFR < 50 ml/min per l’elevato rischio di accumulo e tossicità; può inoltre generare diverse interazioni farmacologiche.

TERAPIA CON ECHINOCANDINE:
Le echinocandine sono farmaci ansifungini estremamente efficaci, che bloccano la formazione del 1-3-B-D-glucano, portando ad una instabilità della membrana fungina. La capsofungina (70 mg IV bolo, poi 50 mg die IV) può portare a lievi effetti collaterali come epatopatia, nausea, diarrea, e la dose va adattata in caso di epatopatia (a 50 mg per il primo giorno, poi 35 mg die IV); come gli altri farmaci anti-fungini può provocare diverse interazioni farmacologiche che devono essere controllate. La micafungina (200 mg die IV il primo giorno, poi 100 mg die IV) può provare gli stessi effetti collaterali, nel ratto correla con la comparsa inoltre di HCC e per il profilo di biosensibilità non è venduta in diversi mercati.

TERAPIA CON POLIENI:
I politeni formano complessi con l'Ergosterolo, destabilizzando la membrana cellulare; i più importanti sono la amphotericina B deossicolato (dosi terapeutiche di 0.6-1 mg/Kg IV in 2-6 ore) che può generare diverse reazioni all'infusione (come febbre, mialgia, nausea, ipotensione) ed é ben nota la nefrotossicità ed ototossicità. Da qualche anno é disponibile l’amphotericina B liposomiale (5 mg/Kg somministrata in 1-2 ore con uno schema preciso alla prima somministrazione) che si é dimostrato provocare meno effetti collaterali, anche se appare più costosa e non è più efficace della forma deossicolato (semplicemente si tratta del profilo di tossicità minore).

TERAPIA CON 5-FLUCITOSINA:
La flucitosina blocca il metabolismo delle piramidone del RNA e del DNA; il farmaco non è sempre disponibile in tutti i mercati. Qualora venga utilizzata come terapia singola si sviluppa facilmente resistenza, per questo che generlametne di solito si associa all'Amphotericina B quando l’infezione é nei siti più delicati (come a livello oculare, cerebrale, meningeo). Può provocare epatopatia, diarrea e disordini midollari.

Ad oggi come terapia empirica di fase acuta, per la corretta scelta terapeutica appare necessario identificare come primo elemento la stabilità emodinamica del paziente (stabile/instabile), come secondo elemento la sede dell’infezione (santuario immunologico o no) e come terzo elemento la tipologia presunta di germe. Per le forme emodinamicamente instabili ad oggi si preferisce iniziare come terapia di prima linea con le Echinocandine e come seconda linea con l’Amphotericina B (in forma liposomiale). Qualora all’instabilità emodinamica si associasse un elevato rischio di resistenza alle echinocandine oppure un’infezione a livello oculare, cerebrale o meningeo, spesso si può iniziare con l’Amphotericina B e la flucitosina (appare consigliato una discussione più precoce possibile con un infettivologo). Nel caso il paziente appaia emodinamicamente stabile è importante sapere se è il fungo sia una C. glabrata o C. krusei; in caso siano questi germi (tipicamente resistenti agli azoli) si imposta una terapia con Echinocandine (seconda selta l’Amphotericina B), mentre se non lo sono si può impostare una terapia con Fluconazolo.


Per quello che riguarda la durata della terapia e la riduzione dello spettro antifungino, ad oggi sono disponibili pochi dati clinici sia sulle echinocandine che sugli azoli. Dato che l’uso di echinocandine é riservato a pazienti emodinamicamente instabili, appare logico che il passaggio agli azoli avrà seguito solo dopo la stabilizzazione emodinamica. Ad oggi esiste qualche piccolo studio che ha testato lo shift preventivo sulla terapia con azoli in pazienti stabilizzati con 5 giorni o 10 giorni di terapia con echinocandine, ma i dati non appaiono ancora sufficientemente potenti per potersi tradurre in una realtà clinica di routine.


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