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Coagulopatia nel trauma - introduzione (Capitolo 2.10a.2)



La coagulopatia indotta da trauma viene attualmente descritta come una coagulopatia sistemica acuta, che frequente si sviluppa in maniera acuta nei pazienti traumatizzati. La conoscenza dei complessi meccanismi alla base di tale malattia è notevolmente migliorata negli ultimi dieci anni; in pazienti con trauma, la coagulopatia è stato convenzionalmente considerata come il solo esaurimento, disfunzione e/o diluizione dei fattori della coagulazione. Tuttavia, la comprensione recente dei meccanismi fisiopatologici ha portato al riconoscimento di uno squilibrio dinamico tra a) fattori procoagulanti, b) fattori anticoagulanti, c) piastrine, d) funzione endoteliale e e) fibrinolisi. A questo vanno inoltre aggiunti altri mediatori in grado di aggravare la coagulopatia, quali l’ipotermia, l’acidosi metabolica, l’ipocalcemia, l’importante emodiluizione da trasfusione, ecc… Di conseguenza, è facile comprendere che a causa della complessità dei meccanismi alla base della coagulopatia, è necessario un approccio multimodale (e specialistico) per la gestione di questi pazienti.


Diversi articoli oramai sottolineano come sia necessario non solo un approccio multimodale, ma anche determinare la quantità ottimale di ogni componente incluso nella terapia per migliorare il rapporto rischio/benefici. Per i pazienti con gravi lesioni traumatiche, individuare una popolazione ad alto rischio può essere difficile, perché si tratta spesso di giovani con una buona riserva fisiologica che possono tollerare un certo grado di ipovolemia. Le linee guida trasfusionali attuali sostengono il concetto di rianimazione con controllo emostatico, integrando grandi trasfusioni di globuli rossi (RBC) con FFP e piastrine immediatamente. Il razionale per la somministrazione di emoderivati ​​in maniera equilibrata è quello di imitare la composizione del sangue circolante e, di conseguenza, la trasfusione di RBC, FFP e piastrine in un rapporto unità-per-unità determinato (su cui molto si sta discutendo, vedi oltre) che probabilmente potrebbe prevenire e curare la coagulopatia da trauma. 



FISIOPATOLOGIA:
A) PERDITA:
Il primo fattore che porta (assieme agli altri) alla coagulopatia da trauma é la perdita di fattori durante l’emorragia, per l’uscita dal corpo di globuli rossi (anemia) e di tutte le sostanze contenute nel sangue. Assieme alla perdita di fattori si ha inoltre la coagulopatia da consumo: le lesioni dei tessuti - secondariamente al trauma - induce l'attivazione immediata del sistema di coagulazione attraverso l’esposizione del fattore tissutale (TF) ed un aumento dei livelli circolanti di trombina. La concomitanza della lesione dei tessuti in associazione con un vasto danno endoteliale, un danno massiccio ai tessuti molli ed eventuale embolizzazione di grasso a partenza dalle fratture delle ossa lunghe, può essere associato con il consumo dei fattori della coagulazione e delle piastrine e, quindi, con lo sviluppo di coagulopatia. In questo senso la coagulazione intravascolare disseminata (DIC) è la forma più estrema di coagulopatia da consumo ed è caratterizzata dall’attivazione sistemica delle vie che conducono e regolano la coagulazione, che può causare la generazione di coaguli di fibrina, con conseguente insufficienza multi-organo associato a sanguinamento clinico.

Si ha pertanto una riduzione quantitativa di tutti i fattori (che, se fosse solo per questo meccanismo, manterrebbero un rapporto omogeneo fra di loro), condizione che viene aggravata dal tentativo del corpo di tamponare l’emorragia, consumando ulteriormente i fattori. Perdita e consumo sono quindi gli elementi che portano un paziente con trauma ad avere livelli iniziali di fattori della coagulazione e di piastrine più bassi rispetto alla propria condizione basale.

B) DILUIZIONE:
La diluizione dei fattori della coagulazione e delle piastrine è una causa importante di coagulopatia nei pazienti traumatizzati che vengono trasfusi in maniera massiccia; le moderne linee guida sul Trauma Life Support raccomandano una rianimazione aggressiva con cristalloidi, ma gli effetti di tale diluizione sulla coagulazione sono ben descritti, provocando acidosi metabolica (ipercloremica in caso di NaCl 0.9%), la formazione di edema interstiziale, compromissione del microcircolo e quindi dell'ossigenazione. Oltre a questo, bisogna tenere conto che l’eventuale uso di colloidi (in particolare HES), utile a livello emodinamico ed utile per poter ridurre il bilancio positivo di fluidi, influenza la coagulazione più profondamente rispetto ai soli cristalloidi. La somministrazione di HES provoca un efflusso di proteine ​​del plasma dal sangue allo spazio interstiziale, una riduzione della concentrazione plasmatica di fattore VIII e del fattore di von Willebrand (vWF), una importante inibizione della funzione piastrinica ed una ridotta interazione di fattore XIII attivato con i polimeri di fibrina. Ciò è stato ulteriormente confermato da una recente meta-analisi di 24 studi che hanno valutato la sicurezza della somministrazione di HES 130/0,4 in chirurgia, Pronto Soccorso e pazienti in ICU, con risultati che dimostrano come la somministrazione di HES promuova una coagulopatia dose-dipendente. Nel 2011, una revisione sistematica Cochrane ha dimostrato che i colloidi non miglioravano la mortalità rispetto ai soli cristalloidi, concludendo che non vi era alcuna prova per sostenere l'uso sistematico di colloidi in pazienti con traumi, ustioni o pazienti in fase post-operatoria. Nonostante alcuni studi minori mostrino qualche vantaggio mirato (riduzione del lattato, minore volume di fluidi somministrati, ecc…) non c'è evidenza dalla letteratura che una soluzione colloidale sia più efficace e più sicura dei cristalloidi per la rianimazione di questi pazienti.

C) FATTORI ASSOCIATI
  • Ipotermia: l’ipotermia è associata ad un rischio di sanguinamento incontrollato e a morte nei pazienti traumatizzati (si parla della famosa triade della morte nel caso si abbia ipotermia, acidosi e coagulopatia); l’ipotermia indotta dalla coagulopatia è attribuita ad una disfunzione piastrinica, ad una attività ridotta dei fattori della coagulazione (che incomincia per temperature inferiori a 36°C e diviene significativa per temperature inferiori a 33°C), con induzione della fibrinolisi. Tali effetti sono reversibili con la normalizzazione della temperatura corporea, che rappresenta un goal di primo livello da raggiungere, sia scaldando il paziente che somministrando fluidi a 40°C (vedi oltre).
  • Acidosi: in pazienti con trauma l’acidosi metabolica è spesso indotta dall’ipoperfusione e da eccesso di somministrazione di Cloro con NaCl 0.9% durante la rianimazione. L’acidosi (sia metabolica che respiratoria) altera quasi tutte le parti essenziali del processo di coagulazione; con un pH inferiore a 7.4 le piastrine cambiano la loro struttura e forma, l’attività dei fattori della coagulazione sulla superficie cellulare è ridotta e la conseguente generazione di trombina appare compromessa. Inoltre, l'acidosi porta ad una maggiore degradazione del fibrinogeno (per aumento dei processi di fibrinolisi e riduzione dell’azione del fattore XIII).
  • Ipocalcemia: per poter adeguatamente funzionare, la coagulazione richiede inoltre la presenza di adeguate dosi di calcio ionizzato nel plasma; l’azione di tale ione si esplica in particolare nel complesso che sia forma sulla via comune fra il fattore V, il fattore X e la superficie delle piastrine. Trasfusioni eccessive di emazie concentrate (ricche di citrato, usato come conservante dei globuli rossi) può portare ad una netta riduzione dei valori plasmatici di calcio che, oltre ad essere rapidamente monitorato tramite gasometria, deve essere adeguatamente sostituito. Al fine di evitare di aggravare un’eventuale ipercloremia, si preferisce la somministrazione di calcio gluconato (piuttosto che il Calcio Cloruro).
  • Anticoagulanti: gli antagonisti della vitamina K (Sintrom, Marcoumar, Coumadin) sono spesso utilizzati dai pazienti con fibrillazione atriale o valvole cardiache artificiali. L’uso dell’INR per monitorare il grado di anticoagulazione orale viene generalmente usato per controllato lo stato di coagulazione del paziente. Come vedremo nel capitolo successivo dedicato alle metodiche di monitoraggio dei pazienti con emorragia acuta (si veda il Capitolo dedicato al ROTEM, Capitolo 2.10a.3) esistono metodi più rapidi e più accurati per poter monitorare lo stato di coagulazione di un paziente con emorragia cut, rispetto all’uso dell’INR (che appare essere più lento come risposta di laboratorio - generalmente fra 45 minuti ed un’ora, indica un rapporto fra i diversi fattori, per cui le sue modifiche sono sempre più tardive rispetto al reale stato di coagulazione del paziente, ed inoltre risulta specifico). La mancanza di controllo emostatico adeguato è evidente anche per quanto riguarda gli agenti farmaceutici più recenti utilizzati per la prevenzione secondaria e la tromboprofilassi post-operatoria, come gli inibitori diretti della trombina (dabigatran), gli inibitori indiretti del fattore Xa (come l’Apixaban ed il Rivaroxaban); nonostante attualmente si raccomanda di non monitorare il trattamento tramite controlli di laboratorio, sono stati segnalati casi di grave sanguinamento nei pazienti che assumono questi farmaci, tra cui pazienti traumatizzati. Dal momento che non esiste un antidoto specifico, la gestione clinico-farmacologica di questi pazienti appare una sfida importante.
  • Inibitori piastrinici: un’altra causa importante di eccessivo sanguinamento nei pazienti con trauma è l’uso di inibitori piastrinici (Aspirina, Clopidogrel, Effient, Brilique, ecc…); attualmente, i più importanti inibitori coinvolti in questo contesto sono gli inibitori del recettore-ADP (clopidogrel, prasugrel, ecc…), conferendo una più potente inibizione piastrinica rispetto alla sola Aspirina. Come avremo modo di parlare nel prossimo capitolo dedicato al controllo di laboratorio dell’emorragie acute, appare importante ricordarsi che il ROTEM risulta normale in caso di assunzione di inibitori piastrinici; risulta pertanto indicato eseguire i test di aggregometria piastrinica come Multiplate (si veda sempre il Capitolo 2.10a.3).
  • Trauma: alcuni gruppi di ricerca hanno riscontrato che i pazienti con trauma presentano una coagulopatia precoce «endogena» non attribuibile agli altri fattori citati. Attualmente si pensa che questo dipenda dal grado di danno endoteliale che porta alla liberazione di materiale procoagulante da parte dello stesso endotelio; si é recentemente scoperto che nei pazienti con trauma al momento ricovero ospedaliero, si riscontra un elevato livello di syndecan-1, un indicatore del degrado del glicocalice endoteliale, cui è stata associata un’alta mortalità, anche dopo aggiustamento in base all’ISS ed agli altri score d’entrata in ICU. Inoltre, solo nei pazienti con alti livelli di Syndecan-1 si é riscontrato un esaurimento della proteina C, un’iperfibrinolisi e un’importante infiammazione.

D) IPERFIBRINOLISI
Aumento della fibrinolisi è stata osservata nei pazienti con profonda attivazione endoteliale e danno secondario a traumi, interventi chirurgici e danno da ischemia-riperfusione, dove il tPA viene rilasciato dai corpi di Weibel-Palade delle cellule endoteliali. In caso di trauma, una maggiore fibrinolisi è stata associata a pazienti più gravemente feriti, correlando con un esito sfavorevole. La presenza di un aumento della fibrinolisi con l'aumentare della gravità delle lesioni probabilmente riflette un meccanismo evolutivo volto a prevenire fatale coagulazione intravascolare secondaria a ipercoagulazione sistemica indotta dal trauma, ma in caso di politrauma o trauma severo, comporta un’aggregazione della coagulopatia indotta dal trauma stesso.

Come accennato precedentemente, nel prossimo capitolo andremo a parlare dei metodi di monitoraggio acuto di questi pazienti (si veda il Capitolo 2.10a.3), così come non andremo attualmente a trattare dei tre pilastri fondamentali dello shock emorragico, che sono: 1) trattamento e chiusura della fonte del sanguinamento, 2) stabilizzazione emodinamica (in termini di parametri emodinamici e reologia con utilizzo di un'ipotensione arteriosa permissiva) e 3) stabilizzazione della coagulazione.


TERAPIA - EMODERIVATI:
EMAZIE CONCENTRATE (EC):
In risposta all’emorragia, anche l’abbassamento dell’ematocrito contribuisce alla coagulopatia; l’assenza di eritrociti promuove la marginalizzazione delle piastrine in modo che le concentrazioni di piastrine lungo l'endotelio rimangono quasi sette volte quelle della concentrazione ematica media. Inoltre, il supporto eritrociti facilita la generazione di trombina attraverso l'esposizione dei fosfolipidi di membrana con azione procoagulante, attivando le piastrine per liberazione di ADP. Tuttavia, diversi studi hanno disastrato che in pazienti altrimenti sani, l’ematocrito ottimale per avere delle buone interazioni fra la parete delle piastrine-endotelio rimane sconosciuta ma può essere attorno al 28-32%.

SANGUE FRESCO INTERO:
Con l'implementazione dei componenti frazionati del sangue, l'uso di routine di sangue fresco intero (FWB) per la rianimazione di pazienti con emorragie maggiori è stata abbandonata in ambito civile. Nella terapia di pazienti di guerra, tuttavia, l’uso di FWB è stato utilizzato in situazioni in cui i prodotti ematici frazionati (e soprattutto le piastrine) non erano disponibili. In un rapporto di pazienti militari statunitensi in Iraq e in Afghanistan dal gennaio 2004 a ottobre del 2007, nei pazienti con shock emorragico, una strategia di rianimazione che comprendeva la somministrazione di FWB era associato con un miglioramento della sopravvivenza a 30 giorni (95% vs. 82%, p = 0.002). Va ricordato che la somministrazione di qualsiasi prodotto di sangue si associa a potenziali rischi per il paziente, compresa la trasmissione virale e batterica, reazioni trasfusionali emolitiche, danno polmonare acuto correlato alla trasfusione (TRALI) ed immunomodulazione; di conseguenza la trasfusione di prodotti ematici deve essere riservata ai pazienti che hanno un bisogno reale di questa terapia.

PLASMA FRESCO CONGELATO E TROMBOCITI:
In merito all’uso di plasma fresco congelato (FFP), rimane ancora controverso quando e in quale dose gli FFP dovrebbero essere trasfusi in caso di emorragie massive di pazienti traumatizzati. Anche il rapporto ottimale tra FFP ed EC resta da stabilire, anche se globalmente i dati indicano che un rapporto FFP:EC maggiore di 1:2 (cioè andando verso un rapporto 1:+) è associato ad un miglioramento della sopravvivenza rispetto a rapporti inferiori a 1: 2. Ciò è ulteriormente supportato da una revisione e metanalisi del 2010 e poi del 2012 dove sono state chiaramente segnalate una riduzione della mortalità nei pazienti traumatizzati trattati con rapporti elevati fra FFP:EC. Le piastrine sono anch’esse fondamentale importanza per una corretta emostasi; diversi studi retrospettivi riportano un'associazione tra lo sviino di trombocitopenia, il sanguinamento postoperatorio e la mortalità. è stato confermato che la più alta sopravvivenza nei pazienti con emorragia post-trauma si ha in pazienti con un elevato rapporto piastrine:EC e un alto rapporto FFP:EC.

Per quello che concerne i protocolli di trasfusione massiccia, una meta-analisi degli ultimi anni su studi osservazionali retrospettivi che hanno valutato l'effetto del rapporto FFP:EC e piastrine:EC con la sopravvivenza ha dimostrato un beneficio di sopravvivenza statisticamente significativo nei pazienti trattati con alti rapporti. Non é chiaro se questo sia un meccanismo puramente fisiopatologico oppure se vi sia anche un bias di valutazione (i pazienti che hanno una prognosi migliore ricevono maggiori quantitativi di derivati). Alcuni studi hanno dimostrato non solo una maggiore sopravvivenza a 30 giorni, ma una ridotta incidenza di polmonite, di insufficienza polmonare e di sindrome compartimentale addominale nei pazienti trattati con un rapporto FFP:EC elevato. Anche l'incidenza di sepsi o di shock settico e di insufficienza multiorgano è stata inferiore nei pazienti trattati con tali rapporti. Nonostante questo possa eventualmente avvallare l’ipotesi di un bias, se si guarda ai quantitativi di prodotti ematici somministrati, il gruppo di pazienti trattato aggressivamente ha ricevuto più prodotti ematici durante le prime ore d’intervento, ma i quantitativi a 24 ore di trasfusione erano più bassi rispetto alla popolazione di controllo, sostenendo che la somministrazione precoce e aggressiva di plasma e piastrine migliori l’emostasi. 




TERAPIA - EMOSTATICI:
Nel campo delle terapie emostatiche, ci sono crescenti discussioni per quanto riguarda l'uso di prodotti ematici rispetto  ai singoli fattori concentrati; questo dibattito si é recentemente sviluppato negli ultimi 10 anni con l'attuazione di diversi point-of-care di dispositivi che valutano le proprietà viscoelastiche del sangue e/o la funzione piastrinica. Rispetto ai test di laboratorio standard, questi nuovi dispositivi offrono ai clinici una valutazione più rapida e più specifica al letto del paziente sanguinante. Ciò consente una terapia goal-directed basata sulla gestione del difetto emostatico sottostante. Sono stati sviluppati algoritmi per standardizzare le terapie goal-directed basata o su singoli componenti del sangue o su agenti farmacologici. Questi algoritmi si sono dimostrati utili per ridurre la necessità di trasfusioni, nonché i costi (circa 1 milione di Euro l’anno dal 2005 al 2009).

PLASMA FRESCO CONGELATO (FFP): 
Come abbiamo precedentemente accennato, gli FFP sono fattori della coagulazione prelevati ed isolati dai plasmi dei donatori i cui limiti sono la non completa standardizzazione e l'assenza di fattori concentrati. La correzione della coagulopatia con una sola sacca é minima, tenendo conto dell’equazione FFP (ml) = Target Quick (%) x 1.5 ml/Kg; concretamente 1 UI FFP (200 ml) porta ad un aumento del Quick del 2% per un paziente di 75 Kg. Pertanto per avere un rialzo del Quick del 10-20% si devono somministrare volumi di FFP attorno ai 10-30 ml/Kg di FFP (6-12 sacche in un paziente di 75 Kg). Rimane importante ricordarsi pertanto che quando si ordinano FFP per gestire una coagulopatia maggiore da trauma, i volumi necessari sono notevoli (e si devono somministrare il più precocemente possibile).

Gli FFP non sono efficaci per revertire gli anticoagulanti orali, non sono efficaci per gestire la volemia (se usati da soli), non sono efficaci nella DIC senza sanguinamento, non sono da utilizzare per la normalizzazione dei valori della coagulazione in ICU. Diversi studi negli ultimi 10 anni confermano il non utilizzo in caso di emorragia massiva.; l'ExTEM ed il FibTEM possono dare informazioni molto più utili per individualizzare la terapia in maniera mirata. Rimane comunque importante la loro somministrazione, perché contengono fattori (come il fattore V) che altrimenti sono difficilmente reperibili. Nessun algoritmo diagnostico attuale (e nemmeno nel dibattito scientifico del momento) prevede una soluzione che porti alla sola somministrazione di FFP o alla sola somministrazione di fattori specifici.

FIBRINOGENO E FATTORE XIII:
La conversione di una quantità sufficiente di fibrinogeno in fibrina è un prerequisito fondamentale per la formazione di coaguli; la riduzione del livello circolante di fibrinogeno dovuto ai meccanismi sopra-citati induce coagulopatia. Il fibrinogeno è il primo componente emostatico che si riduce a livelli patologicamente bassi dopo il trauma e/o emodiluizione. È quindi importante mantenere un livello adeguato di fibrinogeno quando l’emorragia continua e viene aggravata dalla somministrazione di cristalloidi (o peggio ancora per infusione di colloidi) senza fibrinogeno. Dati recenti indicano che la coagulopatia indotta dai colloidi sintetici (come l’HES) possa essere invertita dalla somministrazione di fibrinogeno concentrato. I valori sierici di fibrinogeno devono essere superiore a 1 g/l (oppure si deve avere un MCF del FibTEM maggiore di 7 mm); tale cut-off può essere alzato ulteriormente in caso di problemi neurochirurgici, cardiochirurgici, trombocitopenia, emorragia peripartum, ecc… generalmente attorno a 1.5-2 g/l (oppure a valori di MCF del FibTEM attorno a 7-10 mm). In caso di coagulopatia da diluizione (dovuta ai cristalloidi) se viene somministrato adeguatamente, é in grado di riportare il coagulo a valori normali, migliorando la sopravvivenza.





Il fattore XIII è importante per stabilizzare il coagulo, in quanto si lega alle piastrine attraverso il recettore GPIIb/IIIa, facilitando la reticolazione della fibrina ed aumentando la resistenza del coagulo contro la fibrinolisi. In particolare, i pazienti con coagulopatie intraoperatorie "inspiegabili" e quindi con un maggiore sanguinamento, dimostrano significativamente meno fattore XIII per unità trombina disponibile sia prima, durante che dopo la chirurgia. Il fattore XIII deve generalmente avere un’attività superiore al 60%; la somministrazione va presa in considerazione quando non si ha un incremento del MCF del FibTEM nonostante un’adeguata somministrazione di fibrinogeno (ed in assenza di fibrinolisi). In casi necessari si somministra la Fibrogammina 15-20 UI/Kg IV. Va comunque ricordato che il ruolo della somministrazione di fattore XIII per pazienti traumatizzati con emorragia deve comunque essere ancora valutata in studi clinici randomizzati.

PROTHROMPLEX [Beriplex]: 
Si tratta di un complesso concentrato di fattori protrombonici che contiene la Pro-Trombina (fattore II), il Fattore VII, il Fattore X, il Fattore IX, la proteina C, proteina S e Proteina Z, l'Antitrombina e l'eparina (tutti fattori vitamina K dipendenti). Il concentrato é standardizzato per quello che riguarda il contenuto di Fattore IX. Le indicazioni al suo utilizzo sono la reversione della anticoagulazione orale, il sanguinamenti che mostra un CT dell’ExTEM superiore a 80 sec e nella coagulopatia da diluizione da colloidi (cui va aggiunto il fibrinogeno) per poter revertire il problema. 

Per quello che riguarda la reversione dell’anticoagulazione orale, i pazienti politraumatizzati con emorragia massiva possono beneficiare di Vitamina K (Konakion 10 mg IV), ma devono essere adeguatamente trattati con il concentrato di tali fattori. Per la loro adeguata somministrazione, si deve tenere conto dell’INR e del peso del paziente, per poi adeguare la somministrazione dei fattori. La dose da somministrare (in UI) é pari all’aumento desiderato del tempo di Quick (in valore percentuale), moltiplicato per il peso del paziente (espresso in Kg), moltiplicato per 1.2 

ACIDO TRANEXAMICO (Cyklokapron): 
L’acido tranexamico (TXA) è un inibitorie sintetico competitivo della plasmina e del plasminogeno (a differenza della aprotinina che viene estratta dal polmone bovino e che può provocare anafilassi nello 0.5% dei casi). L’iperfibrinolisi contribuisce in modo significativo alla coagulopatia e gli agenti antifibrinolitici si sono dimostrati in grado di ridurre la perdita di sangue nei pazienti affetti da fibrinolisi, impedendo alla plasmina di legarsi alla fibrina e prevenendo il suo degrado. il TXA é un farmaco ad azione antifibrinolitica che deve essere considerato per le lisi fulminanti (quando il LI30 é inferiore al 50%) e per le fibrinolisi primarie. Lo studio CRASH2 (pre-ospedaliero su oltre 20.000 pazienti) ha chiaramente dimostrato un miglioramento della sopravvivenza se si somministrano dosi di TXA pari a 1-2 g immediatamente nel pre-ospedaliero, sottolineando l’importanza della fibrinolisi come uno dei componenti che portano allo sviluppo della coagulopatia da trauma. Diverse evidenze inoltre mostrano come la somministrazione di TXA nella cardiochirurgia porti ad una riduzione delle trasfusioni del 30%, senza alcun incremento di trombosi (mentre per l'aprotinina si sono dimostrati aumentati casi di infarto miocardico). 

FATTORE VII RICOMBINANTE (Novoseven):
il fattore VIIa ricombinante (rFVIIa) agisce a dosi farmacologiche perfezionando l’azione della trombina sulle piastrine attivate indipendentemente dal fattore VIII e IX. È un farmaco di recente introduzione, estremamente potente e costoso, riservato in situazioni in cui persiste il sanguinamento clinico ed un RoTEM che risulta anormale nonostante una normalizzazione di tutti i fattori primari e secondari (temperatura, pH, calcemia, fibrinogeno ed ulteriori fattori della coagulazione, piastrine superiori a 50 G/l, ecc…). 

Attualmente il rFVIIa è indicato per il trattamento della Emofilia A e B nei pazienti che presentano auto-anticorpi contro il fattore VIII e IX; gli studi sull'uso del rFVIIa nel trauma sono discordanti. In caso di trauma chiuso sembra che l'utilizzo di Novoseven sia correlato con una riduzione nel numero di emazie trasfuse (circa 2.6 UI in meno) ed una minore incidenza di trasfusioni massive (definite come oltre 20 UI di EC). Nel trauma penetrante non sembra esserci un vantaggio aggiuntivo del Novoseven. In tutte le situazioni in cui si utilizza il Novoseven appare importante che tutti i parametri della coagulazione siano il più possibile in ordine per poter utilizzare tale farmaco. Per il rFVIIa la somministrazione on-label è riservata alla prevenzione/sanguinamento per pazienti con emofilia A e B con anticorpi inibitori; generalmente si somministra ogni 2-3 ore per la sua breve emivita. Le indicazioni off-label sono per i sanguinamenti massivi non responsivi nonostante l'aggiustamento di tutti gli altri parametri della coagulazione. In questo caso si utilizzano alte dosi a 200 ug/Kg seguiti da 100 ug/Kg ogni 1-3 ore.


CONCLUSIONI:
Abbiamo brevemente accennato agli elementi più importanti da prendere in considerazione in casi di emorragia massiva nel paziente politraumatizzato. Il punto fondamentale da ricordarsi é che la gestione di tali pazienti resta difficile, di ambito specialistico con terapia multimodale goal-directed da impostare precocemente. L'uso del monitoraggio con ROTEM/Tromboelastogramma può aiutare a sviluppare algoritmi che consentano un approccio terapeutico più efficace e mirato (come vedremo nel prossimo capitolo). Una strategia terapeutica combinata, che includa sia i componenti ematici che fattori della coagulazione specifici rappresenta probabilmente l'approccio migliore. Ne tratteremo nel dettaglio in un ulteriore capitolo (Capitolo 7.1.2 - Politrauma e colagulopatia).


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