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Ictus ischemico cerebrale - aspetti generali (Capitolo 1.4.1)



I disordini cerebrovascolari sono un gruppo eterogeneo di patologie che insorgono acutamente, e che si manifestano mediante la comparsa di un deficit neurologico ad insorgenza improvvisa ed evoluzione variabile. Si parla pertanto di ischemia cerebrale e di emorragia cerebrale; in questo capitolo inizieremo a concentrarci sulla prima tipologia di problemi, per poi meglio affrontare nei capitoli successivi tutta la patologia emorragica cerebrale (si veda il capitolo successivo, Capitolo 1.5). In ambito internazionale, da decenni sono state stilate linee guida che hanno adeguatamente definito alcune patologie in base alla loro comparsa ed evoluzione temporale; la comprensione dei termini non appare solamente fine a se stessa, ma ricopre un’importanza clinica e di ricerca fondamentale per una adeguata standardizzazione e presa a carico del paziente affetto da disordini cerebrovascolari. Per quello che riguarda l’intensivista, gli evento cerebrovascolari sono patologie estremamente frequenti, i terzi per frequenza (dopo le patologie cardiovascolari e le neoplasie), i primi per disabilità residua e presentano hanno una incidenza di circa 100-200 casi ogni 100.000 abitanti. Va ricordato che sono una emergenza medica e che nonostante tutti gli approcci che vengono eseguiti di routine, solamente 4 sono elementi che si sono dimostrati in grado di migliorare l’outcome: il ricovero in Stroke Unit/ITU, l’inibizione delle piastrine entro 72 ore dall’evento, la trombolisi IV se si ha un evento acuto (entro massimo 4.5 ore, vedi oltre) e l’emicraniectomia entro le 48 ore in caso di edemi cerebrali massivi.



Per stroke (o ictus cerebri) si intende un’improvvisa comparsa di segni/sintomi riferibili ad un deficit focale/globale delle diverse funzioni cerebrali, della durata superiore a 24 ore (o ad esito infausto), attribuibile ad una causa vascolare. Si parla di ictus in progressione quando si ha un peggioramento del deficit neurologico tipicamente per un’estensione della lesione cerebrale nel giro di ore/giorni dall’insorgenza dei primi sintomi. Si parla invece di minor stroke quando il paziente presenta un ictus con pochi/nessuna alterazione della funzione neurologica tale da compromettere l’autonomia nelle attività della vita quotidiana (viene definito secondo la scala di Ranking superiore a 3). Si parla invece di TIA (o attacco ischemico transitorio) quando si ha un’improvvisa comparsa di segni/sintomi neurologici riferibili a deficit cerebrali o a deficit visivi focali, della durata inferiore alle 24 ore.

L'incidenza di ictus varia tra i paesi ed aumenta in modo esponenziale con l'età; nelle società occidentali, circa l'80% degli ictus sono causati da ischemia cerebrale focale a causa di un’occlusione arteriosa, ed il restante 20% sono causati da emorragie. La patologia presenta una incidenza di circa 200.000 casi/anno in Italia, con un incremento progressivo con l’età (soprattutto dopo i 65 anni). La mortalità si aggira attorno a 70:100.000 casi annui, con un incremento progressivo di mortalità con l’avanzare dell’età e nella popolazione di razza nera; rappresenta la III causa di morte e la I causa di invalidità. A 6 mesi si hanno 52.000 morti in Italia, 12.000 con restitutio ad integrum ed un 60% dei pazienti con sequele funzionali (25.000 a casa non indipendenti, 37.000 in istituti di cura).


MECCANISMO FISIOPATOLOGICO:
Il flusso cerebrale è di circa 700 ml/min da parte delle Carotidi e 300 ml/min da parte delle Arterie Vertebrali; esiste un parallelismo fra il flusso di sangue e l’attività cellulare locale, per cui in caso di attività cerebrale aumentata si assiste parimenti ad un aumento del flusso vascolare. Lesioni cerebrali ancora totalmente reversibili sono permesse per ostruzioni di flusso inferiori ai 2-3 minuti. In base al flusso locale di sangue si hanno differenti comportamenti a livello cerebrale: nel range di 20-40 ml/100 mg di tessuto/min si ha una regolazione miogenica delle arterie locali per il controllo del flusso; per una riduzione di flusso attorno ai 20 ml/100 mg di tessuto/min la vitalità neuronale locale si riduce a  2-4 ore; fra i 10-20 ml/100 mg di tessuto/min si sviluppa un’area detta di “penombra ischemica”, mentre al di sotto di 10 ml/100 mg di tessuto/min la vitalità neuronale residua é di 3 min. Lo scopo della terapia precoce (a 3 ore dall’evento) è quindi quello di ridurre al minimo l’area di penombra ischemica, dato che é l’unica lesione che appare ancora reversibile.


La lesione cerebrale ischemica si pensa sia il risultato di una cascata di eventi dovuti ad esaurimento dell'energia cerebrale che porta alla morte cellulare. I fattori intermedi comprendono un eccesso di aminoacidi eccitatory extracellulari, la formazione di radicali liberi, ed un’inflammatione locale. Subito dopo l’occlusione arteriosa, un nucleo centrale a bassa perfusione viene circondato da un'area di disfunzione causata da disturbi metabolici e ionici ma in cui l’integrità strutturale è conservata (la cosiddetta penombra ischemica). Nei primi minuti per ore, pertanto, i deficit clinici non riflettono necessariamente un danno irreversibile: a seconda della velocità del flusso di sangue residuo e della durata dell'ischemia, la penombra finirà per essere incorporata nel infarto se la riperfusione non viene raggiunta rapidamente.

Con l’ischemia si ha una riduzione del flusso cerebrale (nel giro di secondi/minuti) con una sintomatologia che manifesta dopo 10 secondi (tempo necessario per il consumo di glucosio ed ossigeno). Se il flusso si riduce in maniera lieve/moderata la riduzione di glucosio/ossigeno porta ad una riduzione dell’ATP, con alterazioni funzionali neuronali e alterazioni nella funzionalità cerebrale locale. Quando invece il flusso si riduce in maniera severa si ha un’alterazione nella pompa Na/K (con modifiche del potenziale di membrana e conseguente depolarizzazione cellulare), attivazione dei voltage gate ed incremento intracellulare di calcio, con rilascio di glutammato. A livello post-sinaptico questo provoca un ingresso di aminoacidi eccitatori, con formazione di edema citotossico. La cellula accumula pertanto ioni idrogeno ed acido lattico, con modifiche dell’integrità cellulare; si parla pertanto di eccitotossicità, dato il ruolo fondamentale dei diversi aminoacidi eccitatori. Nelle aree ischemiche inoltre si sviluppa necrosi, nelle aree di penombra si ha invece apoptosi (per attivazione dei geni HIF). Nei vasi locali si ha un accumulo di radicali liberi dell’ossigeno, NO, ioni idrogeno, ecc… che provocano un danno endoteliale importante, con incremento della permeabilità locale (generando pertanto un edema vasogenico).



EZIOLOGIA:
Le cause che possono provocare un ictus cerebri sono riconducibili soprattutto ad un’eziologia vascolare, cardiaca o ematologica. La prevalenza di ciascuna di queste forme varia da paese a paese ed é legata sia a fattori genetici che soprattutto a fattori ambientali. I fattori di rischio sono classificati come immodificabili (età, sesso maschile, razza nera americana, familiarità per malattia, precedenti TIA o ictus) e modificabili fra cui l’ipertensione arteriosa (ogni 10 mmHg in meno si riduce il rischio del 3540% di sviluppare ictus), il fumo (rischio principale con un rischio relativo aumentato di 11 volte), la colesterolemia e l’inattività fisica/obesità.

EZIOLOGIA VASCOLARE
L’aterosclerosi é la causa più frequente con il suo 25% dei casi (anche se appare ampiamente sottostimata); la sede più frequente di malattia è nella biforcazione carotidea, cui seguono il sifone carotideo, l’arteria M1 e A1-A2. Il meccanismo patologenetico é quello dovuto all’aterosclerosi con rottura della parete infiammata e trombosi acuta.

A seguire si hanno le malattie infiammatorie, vasculiti e connettivi che possono provocare disordini cerebrovascolari. Fra queste bisogna ricordare l’arterite di Horton che coinvolge i rami caroitdei interni/esterni, l’arteria oftalmica, l’arteria ciliare posteriore e le arterie vertebrali; la PAN (PoliArterite Nodosa) che colpisce vasi di medio calibro, con aneurismi a “corona di rosario” a diffusione sistemica in diversi organi, fra cui il cervello. Seguono poi il Lupus Sistemico che provoca una vasculopatia dei piccoli vasi cerebrali (con un meccanismo patogenetico immuno-mediato di tipo IV), l’arterite granulomatosa detta anche “angiite primaria del sistema nervoso centrale”, forma idiopatica che colpisce le piccole arterie/vene del cervello ed infine l’arterite sifilitica generata da T. pallidum (tipicamente dopo 5 anni dal sifiloma primario), secondaria all’infiammazione meningea e che va trattata tramite antibioticoterapia per evitare l’evoluzione verso una lue terziaria (con danni cerebrali irreversibili).

Nella displasia fibromuscolare si hanno modificazioni nello spessore della lamina elastica (che appare più ispessita ed assottigliata), soprattutto in pazienti giovani, di sesso femminile. Le lesioni tendono ad essere bilaterali (soprattutto nella carotide interna nel suo decorso extracranico), con un’immagine angiografia a “collana di perle”. Anche la dissezione arteriosa é una causa estremamente frequente, dove si ha una lesione nella parete media dell’arteria elastica (soprattutto della carotide interna), con ingresso di sangue, scollamento della lamina elastica e comparsa di un falso lume. Tipicamente avviene post-traumatismo cranio-cervicale oppure durante procedure angiografie.

Fra le droghe ce ne sono diverse e che possono provocare ictus con meccanismi variabili; la cocaina é un fattore di rischio per i giovani sotto ai 35 anni, in grado di provocare endocarditi ed ictus embolici qualche ora dopo la sua assunzione, eventualmente associato a vasospasmo. Le amfetamine sono un altro fattore di rischio per la popolazione giovane, che provoca vasculiti, modificazioni croniche della parete vascolare e conseguente ischemia/emorragia cerebrale.

Infine ricordiamo due cause relativamente rare: il Moya Moya che è un’occlusione multipla progressiva delle arterie intracraniche il cui nome deriva dal Giappone dove significa “fumo”, “foschia”, riferendosi al quadro agiografico visibile a livello cranico; ha una diffusione soprattutto nel sesso femminile, ed é una patologia autonomia recessiva (in linkage con i loci cromosomi 3p26-p24.2). Si caratterizza per un restringimento ed un’occlusione bilaterale della carotide interna che poi evolve fino all’arteria cerebrale anteriore e cerebrale media, con tutti i suoi collaterali ben sviluppati alla base del cranio. L’altra condizione clinica peculiare é la trombosi venosa o dei seni venosi che solitamente avviene in presenza di fattori predisponesti (come otiti, sinusiti, post-partum, su disidratazione, da coagulopatie, ecc…); il meccanismo in questo caso é un incremento della pressione intracranica per riduzione del deflusso venoso e riduzione della perfusione vascolare.

EZIOLOGIA CARDIACA:
A livello cardiaco si possono avere differenti cause predisponenti la formazione di un embolo cerebrale; in primo luogo va ricordata la fibrillazione atriale che rappresenta la causa cardiaca più frequente per la comparsa di trombi murali atriali (soprattutto nell’auricola di sinistra) che possono mobilizzarsi. Similmente si può avere un trombo murale post-infarto o nel contesto di una cardiomiopatia dilatativa, che permane adeso ad una parete del ventricolo, tipicamente ipomobile; il rischio maggiore è soprattutto nei primi 7 giorni post-infarto (in particolare per infarti estesi, con importante riduzione della funzione sistolica). La malattia reumatica, soprattutto in caso di stenosi mitralica (più raramente in caso di stenosi valvolare aortica), eventualmente associato a fibrillazione atriale, può provocare embolia per una distacco di frammenti di Calcio, in particolare dal passaggio fra il clinostatismo e l’ortostatismo. 

L’endocardite può essere di due tipologie differenti; infettiva soprattutto durante la fase attiva di malattia o nei primi mesi post-infezione; all’autopsia si hanno un 60% di pazienti con emboli sistemici ed un 30% di pazienti con emboli cerebrali (soprattutto nell’arteria cerebrale media) e più tipicamente da Staphylococcus spp e Streptococcus spp. Oppure si ha l’endocardite marantica, soprattutto in pazienti con neoplasie; tutti i tumori possono provocare tale condizione patologica, in particolare gli adenocarcinomi polmonari e del tubo gastroenterico, creando delle vegetazioni sulla valvola mitrale che successivamente possono staccarsi. Con un meccanismo simile, seppure per cause diverse , anche le protesi valvolari cardiache durante il loro impianto o nella loro permanenza aumentano il rischio di tromboembolia cerebrale, che richiede una profilassi anticoagulante, in particolare per valvole a basso flusso come la valvola mitrale.

Fra le altre cause di ictus cerebri sono da menzionare l’embolia paradossa quando si ha una trombosi venosa profonda associata a modificazioni cardiache congenite, con comunicazione patologica fra il cuore destro e sinistro (per la presenza di un difetto inter-atriale o di un PFO). Infine sono da citare rari casi di mixoma atriale che possono portare ad ictus embolico o a sincope (per ostruzione dell’eiezione cardiaca) nel 25-50% dei pazienti in cui si ha tale patologia. 

EZIOLOGIA EMATOLOGICA:
Ad oggi si deve condurre una ricerca per una causa ematologica nei pazienti che sviluppano ictus cerebri prima dei 50 anni senza un’altra causa evidente, oppure in caso di patologie familiari note. Si deve pensare a fenomeni di trombocitosi per una conta piastrinica superiore a 1.000.000/μl; la condizione é tipicamente dovuta a disordini mieloproliferativi, malattie neoplastiche o infettive, post-splenectomia, ecc… La profilassi avviene con aspirina ed eventualmente plasmaferesi. Con un meccanismo simile anche la policitemia rubra vera, quando si hanno valori di ematocrito superiori a 46% si ha conseguente incremento della viscosità del sangue. Il rischio aumenta notevolmente per valori di ematocrito superiori al 50%, rischio che diviene notevole se supera il 60%. Sempre con meccanismo simile, si annovera fra le cause ematologiche la leucocitosi per valori di leucociti superiori a 150.000/μl, tipicamente in pazienti con crisi leucemica.

Nella sickle cells syndrome (anemia falciforme) si hanno dei globuli rossi morfologicamente anomale e che tendono ad aggregarsi, con un incremento del rischio di stroke, in particolare in certe situazioni di stress ossidativi cellulare, come ipossia, acidosi, disidratazione. La malattia si caratterizza per un’aggregazione eritrocitaria sistemica, con formazione di microtomi periferici in tutti gli organi. Un’altra causa estremamente importante possono essere le forme di diatesi trombofilica come nel caso di macroglobulinemia, uso della terapia estrogenica o contraccettivi orali, post-partum, nel periodo post-operatorio, in caso di neoplasie o per la presenza di una coagulopatia ereditaria (mutazione del fattore V di Leiden o di altri fattori).


PATOGENESI:
Tutti i meccanismi che abbiamo elencato generano una riduzione del flusso ematico a livello cerebrale principalmente attraverso 3 meccanismi. L’embolia (63% dei casi) è la condizione più frequente, solitamente secondario a patologie carotidee (embolia adiposa, tromboembolia, ecc…) e cardiopatie (FA, infarto miocardico acuto, ecc…), genera occlusione del flusso cerebrale per la formazione di un trombo che si mobilizza e segue la circolazione. Generalmente l’ostruzione avviene nelle arterie con il maggiore flusso ematico, con danni clinici estremamente estesi. A seguire si hanno fenomeni di trombosi (20% dei casi) dove si ha una occlusione improvvisa del vaso, soprattutto vasi di 30-100 μm (più raramente vasi di calibro minore come 0,5-3 μm); il meccanismo principale é legato ad una calcificazione della placca aterogenica e/o a stati di ipercoagulabilità e/o di ostruzione locale al flusso locale di sangue. Infine si possono avere dei meccanismi di ischemia cerebrale da alterazioni di flusso ematico (17% dei casi) secondario ad una progressiva e lenta occlusione di un’arteria cerebrale, con comparsa di circoli collaterali ed inversione dei flussi, che possono a loro volta ridurre la perfusione in una determinata area cerebrale. Tale condizione é tipica dell’Arteria Vertebro-Basilare.


ANATOMIA PATOLOGICA:
A livello macroscopico l’aspetto di un infarto ischemico focale varia nel tempo; a 6 ore si hanno poche evidenze macroscopiche ed il tessuto appare ancora simile al tessuto sano; a 48 ore si ha la comparsa di un tessuto pallido, soffice, rigonfio, con la scomparsa dell limite cortico-midollare. A 2-10 giorni si ha il riscontro di un tessuto gelatinoso, friabile, con un confine netto e ben visibile fra il tessuto sano ed il tessuto malato. A 10 giorni-3 settimane si ha un tessuto liquefatto che poi viene rimosso, con la permanenza di una cavità a contenuto liquido, rivestita da tessuto grigio scuro.

A livello microscopico si hanno diverse fasi istologiche che si susseguono nel tempo; dapprima si ha una fase precoce attorno alle 12-24 ore, con il riscontro di neuroni rossi (così chiamati perché ricchi di microvacuoli, con eosinofilia del citosol ed elementi di picnosi) associati ad edema vasogenico e citotossico. Non si hanno differenze fra sostanza bianca e grigia. Le cellule endoteliali sono rigonfie. Nella fase subacuta (che intercorre fra 24 ore e 2 settimane post-ictus) si ha la comparsa di necrosi tissutale, soprattutto della microglia (con cellule che appaiono piene di mielina e sangue, possono persistere localmente anche per mesi/anni), con aumento della replicazione degli astrociti. Si hanno modificazioni strutturali del tessuto cerebrale. Infine il processo evolve in una fase riparativa (che evolve nel giro di mesi) dove non si ha più necrosi, ma gliosi reattiva, con perdita della normale architettura dei neuroni.



ASPETTI CLINICI:
Un’attenta anamnesi ed un buon esame obiettivo neurologico (ne abbiamo parlato precedentemente, si veda il Capitolo 1.0.1) permettono di discriminare l’area cerebrale colpita dalla ischemia, soprattutto quando la sede di lesione è una sola. Il riscontro di danni cerebrali riconducibili ad una sola sede di danno e che si sviluppano in maniera improvvisa devono far pensare ad un ictus. La sintomatologia è clinicamente classificabile in clinica dei grossi vasi anteriori (a carico della  arteria cerebrale anteriore, dell’arteria cerebrale media, dell’arteria coroidale anteriore e della carotide interna), clinica dei grossi vasi posteriori (a carico dell’arteria cerebrale posteriore, della PICA, delle arterie vertebrali e dell’arteria basilare) ed infine nella clinica dei piccoli vasi detti anche “lacunar stroke”, comprendente le arterie perforanti nel parenchima cerebrale a livello di gangli della base.

A) CLINICA DEI VASI ANTERIORI
Arteria cerebrale Anteriore:
Per quello che riguarda il territorio, l’arteria cerebrale anteriore vascolarizza la corteccia cerebrale parasagittale, con le aree motorie/sensitive, la area motoria supplementare, le aree per il controllo della minzione ed altre funzioni superiori. Una sua occlusione è poco frequente, perché l’arteria presenta un calibro minore rispetto alla cerebrale media (che riceve il maggiore flusso di sangue); se l’occlusione avviene in A1 è ben tollerato per la presenza dell’arteria comunicante anteriore), mentre se avviene in A2 generalmente diviene sintomatico. Dal punto di vista clinico la sintomatologia è legata alla perdita di funzione del territorio cerebrale irrorato; si può avere una paralisi motoria con perdita del funzionamento del piede/gamba controlaterale; in caso di deficit clinico parziale la sede del danno è tipicamente nei rami perforanti diretti dalla A1 alla corona radiata. A questo si associa parestesia (perdita sensibilità nel piede/gamba controlaterale), incontinenza urinaria (da deficit nell’area sensori-motoria del lobulo paracentrale), la comparsa di riflessi ancestrali per danno all’area mediale del lobo frontale superiore, la presenza di abulia (mutismo acinetico) la cui sede anatomica del danno è incerta, forse nel girus cinguli e nelle porzioni mediali dei lobi frontale, parietale e temporale e di afasia tattile (condizione che vale solo per il cervello di destra, tipicamente da danno nel corpo calloso anteriore).




Arteria cerebrale Media:
Per quello che riguarda il territorio, l’arteria cerebrale media vascolarizza gran parte dell’emisfero cerebrale e delle strutture sottocorticali profonde; si ha una divisione superiore (che irrora l’area M1, S1 ed Area di Broca), una divisione inferiore (che irrora le radiazioni ottiche, l’area V1 e l’area di Wernicke) ed i rami Lenticolo-Striati (che derivano da M1) per i gangli della base e le fibre motorie della capsula interna. Una sua occlusione può essere completa per un embolo posto all’origine dell’arteria (con circuiti collaterali derivanti da P2 e da A4 che rendono la clinica non così globale come dovrebbe essere) opppure parziale per occlusioni di M2-M3 oppure occlusione parziale di M1. Dal punto di vista clinico la sintomatologia è legata alla perdita di funzione del territorio cerebrale irrorato; per quello che riguarda l’occlusione della divisione superiore si può avere emiparesi/emideficit sensitivo controlaterale ed afasia espressiva (per danno all’area di Broca), mentre per occlusione della divisione inferiore si può avere neglet esterno/interno, emianopsia omonima controlaterale (per danno alle radiazioni ottiche), danni corticali (con agrafoestesia, astereoagnosia, ecc…), alterata organizzazione spaziale (soprattutto nella corteccia di destra) ed afasia recettiva (per danno all’area di Wernicke). Quando il danno é alla biforcazione M1-M2 il danno è posto nel punto in cui M1 si sfiocca in 2-3 arterire successive; la clinica è data dalla somma delle due Divisioni precedenti. Quando invece il danno é all’origine di M1 la clinica è analoga al danno nella biforcazione M2, ma si aggiungono i danni alle fibre motorie della capsula interna (con emiplegia controlaterale completa); in questo caso la clinica spesso é devastante.



Arteria coroidale anteriore:
Per quello che riguarda il territorio, l’arteria coroidale anteriore nasce dalla carotide interna e fornisce sangue al braccio posteriore della capsula interna ed alla sostanza bianca postero-laterale ad essa (le cosiddette fibre genicolo-calcarine). Dal punto di vista clinico si ha emiplegia (per interessamento delle fibre motorie), emianestesia (per interessamento delle fibre sensitive) ed emianopsia omonima (per coinvolgimento delle fibre visive), tutto sempre a livello controlaterale. Solitamente i danni sono minimi, grazie alla concomitanza di circuiti collaterali che suppliscono all’occlusione dell’arteria.

Arteria carotide interna:
Per quello che riguarda il territorio l’arteria carotide interna irrora i territori dell’arteria cerebrale anteriore/media, l’arteria coroidale anteriore e l’arteria oftalmica; la frequenza di occlusione è variabile, in relazione anche allo sviluppo di circoli collaterali che si possono avere per processi molto lenti. Dal punto di vista clinico la sua occlusione è responsabile di circa 1/5 degli ictus ischemici, di cui un 15% dei casi sono preceduti da TIA prematuri e/o amaurosi fugax omolaterale. La clinica è legata alla sommatoria delle cliniche viste precedentemente. 

B) CLINICA DEI VASI POSTERIORI
Arteria Cerebrale Posteriore:
Per quello che riguarda il territorio l’arteria cerebrale posteriore vascolarizza la corteccia cerebrale occipitale, i lobi temporali mediali, il talamo e la parte rostrale del mesencefalo. Una sua occlusone generalmente é data da frammenti che si fermano al suo apice (con occlusione vascolare bilaterale) per poi frammentarsi, dando segni di infarto asimmetrico o multifocale. La clinica è legata alla perdita di funzione del territorio cerebrale irrorato; si può avere emianopsia omonima controlaterale all’occlusione, dove la visione maculare tende ad essere preservata (per la doppia vascolarizzazione da parte dell’arteriamedia/oosteriore), danno mesencefalico con paralisi di verticalità dello sguardo, paralisi del III nervo cranico ed oftalmoplegia internucleare, danno mnesico per danni al lobo temporale mediale e prosopagnosia (con incapacità di riconoscere i volti delle persone) più altre lesioni come afasia anomica (deficit di denominazione), alessìa (difficoltà nella lettura) ed agnosia visiva. In questi pazienti si può anche avere cecità corticale, con cecità completa (spesso il paziente non è consapevole del proprio stato) pur mantenendo i riflessi alla luce diretta/consensuale.



C) CLINICA DEI PICCOLI VASI
In questa condizione si hanno degli stroke lacunari, caratterizzati dall’ostruzione di alcune arterie profonde ed alterazioni funzionali; rappresentano il 20% degli ictus ischemici. Si manifestano con differente prevalenza: nel putamen sono il 37% dei casi, nel talamo il 14%, nel ponte il 16%, nel nucleo caudato il 10% e nella capsula interna il 10%. A livello fisiopatologico esistono diverse tipologie di alterazioni; si parla di alterazioni semplici quando si ha “aterosclerosi ialina”: l’incremento pressorio rappresenta la causa eziologica principale, dato che in questa sede non esiste una modificazione di calibro dei vasi fra M1 ed i rami penetranti. Si parla di alterazioni complesse quando si ha un’ispessimento lipoialinotico e/o necrosi fibrinoide del vaso e/o angiopatia amiloidea cerebrale. Solitamente si associano episodi precedenti di TIA ed eventualmente di epilessia locale. Infine si hanno delle forme particolari che prendono il nome di CADASIL, patologia rara, rappresenta una arteriopatia autosomico dominante caratterizzato da infarti subcorticali e leucoencefalopatia. E’ legato a mutazioni del gene Notch 3 (sul gene 19q12), caratterizzato da modificazioni nella sostanza bianca e nelle arterie subaracnoidee (con ispessimento della media e dell’avventizia); infine possono essere riscontrate anche delle granulazioni basofile PAS-positive. Si manifestano come stroke lacunari (nella II-III decade di vita), con emicrania con aura e/o come demenza subcorticale.



Dal punto di vista clinico, i quadri riscontrati possono essere di diverso tipo. Si può avere un’emiparesi motoria pura dove sono colpiti il volto e gli arti superiori/inferiori (seppure a diversa intensità); non si hanno deficit sensitivi, visivi o del linguaggio. In questo caso il danno si trova generalmente nella capsula interna controlaterale. Si può avere un ictus sensitivo puro quando si ha un emideficit sensitivo con eventuali parestesie; in questo caso il danno si localizza nel talamo controlaterale. Si può avere un’emiparesi atassica quando si ha atassia omolaterale e paresi crurale ed in questo caso il danno é localizzato nel ponte e/o nella capsula interna controlaterale. Infine si può manifestare con disartria e sindrome della mano goffa, caratterizzato da disartria, debolezza facciale, disfagia e goffaggine della mano omolaterale al viso coinvolto. In questi casi il danno é da ricercarsi nel ponte e/o nella capsula interna controlaterale.


MANAGEMENT CLINICO:
A) VALUTAZIONE INIZIALE
Il punto cruciale della patologia cerebrovascolare è una improvvisa perdita di una o più funzioni cerebrali; data l’importanza cruciale del sistema nervoso centrale è fondamentale eseguire un approccio standardizzato, focalizzato sull’eseguire l’opportuna diagnostica differenziale al fine di individuare le condizioni più gravi e/o che richiedono un pronto approccio terapeutico (al fine di evitare sequele permanenti a livello neurologico).

Per quello che riguarda l’anamnesi il paziente con ictus ischemico acuto non giunge in Pronto Soccorso da solo, ma spesso è accompagnato dai familiari perché non è indipendente e/o soffre di agnosognosia (non ha insight verso la propria malattia). In questo caso si devono valutare i fattori di rischio per ictus e per le patologie neurologiche, porre una corretta diagnosi differenziale fra trombosi ed embolia (dove generalmente non si hanno sintomi premonitori) ed eventuali associazioni cliniche come cefalea (presente nel 25% dei pazienti, tipicamente per dilatazione delle arterie collaterali) e/o attacchi epilettici (condizione più rara).

I segni vitali devono essere immediatamente valutati, al fine di stratificare il rischio prognostico del paziente (in particolare pressione arteriosa, frequenza cardiaca, respirazione, temperatura). Per la pressione arteriosa la PA media è generalmente aumentata in questi pazienti, riflettendo da un lato il riscontro di un possibile fattore di rischio e dall’altro la presenza di un meccanismo di compenso al fine di mantenere la pressione di perfusione cerebrale (CPP) adeguata. Per la respirazione i pazienti con ipertensione endocranica possono presentare una depressione respiratoria (parametro estremamente importante per l’impatto prognostico negativo) che può portare ad ipossia, con conseguente vasodilatazione cerebrale e peggioramento della pressione intracranica. Infine la temperatura perché la febbre spesso può insorgere peggiorando l’ischemia cerebrale, per cui è fondamentale mantenere la normotermia nei primi giorni post-ictus.

L’esame obiettivo neurologico ha lo scopo di scoprire la sede del possibile danno, in base ai diversi deficit funzionali; è comunque importante tenere a mente alcune precisazioni: i deficit cognitivi provengono da lesioni corticali, soprattutto degli emisferi anteriori, il neglet proviene da lesioni parietali del lato non dominante, i deficit visivi escludono (con alta probabilità) un danno lacunare, la paralisi oculare, il nistagmo ed il danno internucleare indicano lesioni del tronco cerebrale, da coinvolgimento dell’arteria cerebrale posteriore. Infine l’emiatassia proviene da lesioni omotalerali del tronco o del cervelletto dove a volte si associano lacune nella capsula interna.

Per quello che riguarda l’imaging la TC rappresenta la metodica d’elezione per la sua sensibilità diagnostica (soprattutto per emorragie), per la facilità di accesso ospedaliero e per la velocità di acquisizione. La sensibilità diagnostica per ictus ischemici nelle prime ore è bassa, a 7 ore è difficile vedere una positività di segnale, mentre a 24 ore risulta positiva nel 50-70% dei casi. La positività correla con il danno ischemico finale. La RMN è un’ottima tecnica diagnostica con migliore sensibilità (soprattutto per la fossa cranica posteriore), in grado di distinguere fra emorragie di diversa data (grazie alle trasformazioni biochimiche dell’emosiderina), identificare ischemie anche a poche ore (6-12 ore) tramite sequenze opportune (FLAIR e Diffusion), anche se raramente viene utilizza in acuto dati i maggiori tempi di acquisizione. Come svantaggi presenta però ha una minore sensibilità al sanguinamento acuto, una minore disponibilità sul territorio ed aumenta il rischio di claustrofobia. Esiste inoltre l’angioRMN, molto sensibile per la carotide Interna extracranica (attenzione alla sovrastima della stenosi), con immagini ricostruite in 3D. Ottima come studio pre-operatorio.



Dopo aver stabilizzato clinicamente il paziente ed avere posto diagnosi di ictus ischemico, devono essere eseguite rapidamente tutte le valutazioni al fine di candidare il paziente ad una eventuale trombolisi con Alteplase (rt-PA), farmaco che si è dimostrato migliorare l’outcome clinico in questi pazienti. I criteri d’inclusione sono la presenza di uno ictus ischemico entro 3 ore dall’insorgenza certa dei sintomi (eventualmente estendibile a 4.5 ore), mentre I criteri di esclusione sono diversi sia dal punto di vista anamnestico, clinico, laboratoristico e di imaging e prendono in considerazione il rischio attuale/pregresso di sanguinamento (vedi linee guida ACLS).

B) FASE ACUTA
Dopo aver eseguito la valutazione iniziale, lo step successivo è quello di determinare i processi fisiopatologici sottostanti allo stroke ischemico, distinguendo fra forme trombotiche/emboliche e poi fra grossi/piccoli vasi; una diagnosi presunta viene eseguita tramite anamnesi, esame obbietivo e studi di imaging.

L’anamnesi è uno dei punti fondamentali del sospetto diagnostico, perché tramite diversi parametri è in grado di aiutare a sospettare un differente meccanismo di ictus sottostante. Il decorso clinico si basa sulla descrizione dell’insorgenza e del decorso della sintomatologia ictale; le forme emboliche spesso sono improvvise, a volte con un recupero altrettanto rapido; le forme trombotiche spesso fluttuano fra uno stato normale ed anormale, con progressione variabile nel tempo; le forme penetranti (lacunari) spesso hanno sintomi che evolvono progressivamente in ore/giorni; le forme emorragiche intracerebrali evolvono nel periodo precoce (a velocità differente sulla base della gravità della condizione clinica) e non vanno incontro a miglioramento e le forme emorragiche subaracnoidee generalmente insorgono molto acutamente. L’ecologia si riferisce invece a tutte quelle informazioni demografiche e storiche che incrementano la probabilità di una tipologia particolare di stroke; i pazienti anziani presentano soprattutto forme trombo-emboliche correlate all’aterosclerosi, mentre pazienti giovani sono più proni ad avere una cardiopatia sottostante (sotto ai 50 anni anche il rischio di PFO è incrementato); i pazienti di colore sono a maggior rischio di emorragia intracranica su ipertensione, mentre i pazienti asiatici sono molto più protetti a questo livello.

Un altro parametro é la presenza di pregressi TIA, soprattutto nello stesso territorio coinvolto precedentemente; tipicamente indica la presenza di una lesione vascolare trombotica, mentre non è presente in caso di emorragie. L’altro parametro fondamentale é conoscere l’attività che il paziente stava svolgendo poco prima dell’evento cerebrovascolare: le emorragie spesso sono precipitate da attività fisica/sessuale, mentre le trombosi sono poco frequenti durante tali attività. La presenza di traumi deve far pensare a fenomeni dissecanti/occlusivi, ma anche a possibili emorragie, mentre le embolie spesso sono precipitate da tosse/manovre di valsalva. Infine si devono cercare i sintomi associati: il paziente con un sospetto di patologia cerebrovascolare può presentare altri sintomi che indirizzando verso una presunta diagnosi, quale febbre (per endocardite con ictus embolico), infezioni (a rischio di trombosi), cefalea (eventuale emorragia subaracnoidea), vomito (per ipertensione endocranica), attacco epilettico (in caso di emorragia subaracnoidea e/o embolia cerebrale), sonnolenza (emorragia).

L’esame obiettivo va condotto in maniera globale, al fine di identificare la presenza di segni/sintomi che possono indirizzare ad una diagnosi eziologica dell’evento cerebro-vascolare; se possibile si devono identificare alcuni reperti importanti come assenza di polsi (a rischio di trombosi/embolia), soffi carotidei (malattia ateromasica locale), anomalie cardiache (per il rischio di embolia), anomalie del fundus (sia per ipertensione endocranica che emboli di colesterolo/piastrine). Rimane fondamentale l’esame obiettivo neurologico (Capitolo 1.0.1), allo scopo di valutare l’entità del danno neurologico, ricostruire la possibile sede di lesione e monitorare l’evoluzione clinica del paziente.

Per quello che concerne gli studi di imaging, mediante TC/RMN-cerebri è possibile valutare la corretta diagnosi differenziale fra forme ischemiche ed emorragiche (vedi precedentemente), ma anche differenziale i sottogruppi di ictus ischemico: gli infarti profondi (lacunari) sono prevalentemente nei gangli basali, nella capsula interna, nel talamo e nel ponte (generalmente per coinvolgimento singolo di un’arteria perforante), mentre gli infarti posteriori (mesencefalo e talamo, lobo occipitale, cervelletto) sono prevalentemente associati a fenomeni embolici.



C) CONFERMA DIAGNOSTICA:
Dopo aver eseguito gli step precedenti è fondamentale porre diagnosi di certezza mediante l’esecuzione di test diagnostici; si deve pertanto a) sospettare il meccanismo fisiopatologico sulla base dei diversi parametri riscontrati, b) eseguire gli esami diagnostici di conferma.

L’ictus embolico è una condizione da sospettare quando si ha esordio e risoluzione improvvisa (“spectacular shrinking deficit”), l’area infartuale è estesa, è magari già nota una precedente patologia cardiaca/carotidea, l’infarto diviene emorragico alla TC, sono presenti infarti multipli in diversi territori e sono presenti infarti nella regione posteriore e/o in pazienti giovani (sotto ai 50 anni). In queste condizioni si devono eseguire studi di conferma a livello cardiaco e/o vascolare. L’ictus dei piccoli vasi é una condizione da sospettare quando si hanno diversi fattori di rischio (ipertensione arteriosa, diabete mellito, policitemia, ecc…), deficit puri (motori/sensitivi), emiparesi atassica, ecc… In queste condizioni si deve eseguire uno studio di imaging a livello cerebrale (TC e/o RMN cerebri). L’ictus dei grandi vasi é invece una condizione da sospettare quando si hanno TIA precedenti, esordio non improvviso, decorso fluttuante e/o infarti sottocorticali estesi. In queste condizioni si devono eseguire studi di conferma vascolare e di imaging cerebrale.

In base al diverso sospetto diagnostico devono pertanto essere eseguiti studi di conferma differenti, spesso con un ordine di priorità differente, sulla base del sospetto diagnostico.
  • Studi vascolari: la circolazione anteriore generalmente si esamina mediante metodica ecografica della circolazione extra/intracranica, alternativamente con angioTC/RMN, raramente con arteriografia. La circolazione posteriore si studia similmente, anche se le metodiche angioTC/RMN sono meno sensibili a livello dell’origine delle arterie vertebrali.
  • Studi cardiaci: una valutazione cardiologica risulta importante in tutti i pazienti in cui sia nota/si sospetta di una cardiopatia e/o quando si hanno dei sospetti per una fonte emboligena; risulta pertanto importante l’esecuzione di una corretta anamnesi, esame obiettivo e di un ECG. L’ecocardiografia permette una valutazione morfologica di eventuali patologie cardiache; il TEE viene richiesto soprattutto per una maggiore sensibilità diagnostica nella valutazione degli atri, del setto inter-atriale e dell’aorta ascendente. L’Holter 24 ore permette una valutazione funzionale dell’attività elettrica a livello cardiaco quale possibile fonte di emboli; ha un ruolo diagnostico importante soprattutto nelle prime 24 ore dopo l’esordio della sintomatologia neurologica. E’ importante ricordarsi che una sua negatività non esclude completamente il rischio di aritmie.
  • Studi di imaging: sono le classiche metodiche di TC/RMN-cerebrale, che vengono eseguite come routine fin dalla prima valutazione clinica del paziente in Pronto Soccorso, che eventualmente vengono ripetute al fine di monitorare eventuali cambiamenti clinici/prognostici del paziente.
  • Studi laboratoristici: esistono degli esami di routine laboratoristici che devono essere eseguiti fin dall’ingresso in Pronto Soccorso e che comprendono emocromo con formula, PT/PTT, profilo lipidico completo. Eventualmente, sulla base di ulteriori sospetti clinici anamnestico-familiari, vengono eseguiti studi di ipercoagulazione (LLAC, aPL, mutazioni genetiche, ecc…)


Il decorso clinico si basa sulla descrizione dell’insorgenza e del decorso della sintomatologia ictale; le forme emboliche spesso sono improvvise, a volte con un recupero altrettanto rapido; le forme trombotiche spesso fluttuano fra uno stato normale ed anormale, con progressione variabile nel tempo; le forme penetranti (lacunari) spesso hanno sintomi che evolvono in ore/giorni; le forme emorragiche intracerebrali evolvono nel periodo precoce (a velocità differente sulla base della gravità della condizione clinica) e non vanno incontro a miglioramento; le forme emorragiche subaracnoidee generalmente insorgono molto acutamente.






D) RICOVERO IN ICU
Idealmente tutti gli ictus ischemici richiederebbero il ricovero in un’unità di terapia semi-intensiva specializzata (chiamata Stroke Unit) e solamente alcuni di questi pazienti richiederebbe il ricovero in ICU, quando sono presenti alcune di queste condizioni: ischemia estesa (estensione emisferica), ischemie cerebellari della fossa cranica posteriore, trombosi dell’arteria basilare, presenza di emboli settici su endocardite, ictus associato a cardiochirurgia o ad angiografia. Inoltre, anche i pazienti instabili emodinamicamente e respiratoriamente richiedono il ricovero in ICU. Lo scopo del ricovero è quello di andare oltre ad semplice monitoraggio avanzato, aggiungendo eventualmente  la misurazione della pressione intracranica (ICP), determinare la pressione di perfusione cerebrale (CPP), eseguire EEG in continuo, eseguire potenziali evocati, in alcuni centri anche la microdialisi invasiva e la misurazione del flusso cerebrale. Ne parleremo meglio nel prossimo capitolo (si veda il capitolo dedicato, Capitolo 1.4.2).


PROGNOSI:
La prognosi dipende molto dalla causa eziologica: a 30 giorni e ad 1 anno si ha una sopravvivenza differente per per l’ischemia Cerebrale (circa 80-90% e 77% rispettivamente), per emorragia Intracranica (fra il 50% ed il 38% rispettivamente ) ed emorragia subaracnoidea (rispettivamente 48-54% e 52%). I fattori prognostici negativi sono l’età del paziente, la causa dell’ictus e la presenza di copatologie; solitamente a 10 anni si ha una sopravvivenza del 35% (ma il dato é da ridimensionare perché l’età media della popolazione é avanzata, per cui il dato é da ponderare con la presenza di pazienti anziani).


TERAPIA DEL TIA:
Qualora il paziente si presenti con un TIA, il punto fondamentale é impostare una terapia antiaggregante, dato che sembra essere la terapia che mostra il miglior rapporto rischio/beneficio: il blocco della funzione piastrinica porta ad un minor rischio embolizzante ed una riduzione del volume del trombo. Si utilizza frequentemente ASA (80-320 mg die PO) che si é dimostrata ridurre il rischio di TIA, ictus e morte solamente quando utilizzato in prevenzione secondaria. Altri farmaci sono la Ticlopidina (250 mg die bid PO) che ha un’efficacia superiore all’ASA del 12%, anche se è più costoso e può provocare neutropenia irreversibile, il Clopidogrel (75 mg die PO) che ha mostrato un’efficacia superiore all’ASA del 10%, lega il recettore dell’ADP e blocca l’aggregazione piastrinica ed infine le Tienopiridine come le sulfinpirazone e dipiridamolo, che funzionano meglio rispetto all’ASA del 18,1%, soprattutto se associate a basse dosi di ASA.

In questi pazienti la terapia anticoagulante è indicata nei pazienti con TIA da emboli cardiaci; tipicamente viene utilizzata fino alla persistenza della causa oppure indefinitamente. Esiste sempre da prendere in considerazione il rischio di emorragia cerebrale. L’Eparina é farmaco di scelta in fase acuta; attorno a 14-16 UI/Kg die IV, mantenendo l’aPTT fra 1,5-2,5 rispetto al valore pre-terapeutico o meglio ancora, se possibile, utilizzando l’attività dell’attività anti-Fattore Xa. Per il Warfarin si inizia la terapia dopo la stabilizzazione iniziale con Eparina, mantenendolo la terapia a lungo termine, generalmente con un INR fra 2-3 o 3-4 (trombi arteriosi) in base al contesto clinico. 

La TEA carotidea é la rimozione chirurgica di un trombo nella carotide interna a livello della biforcazione arteriosa; le indicazioni all’intervento sono per stenosi superiori al 70% (se asintomatiche) o al 60% (se sintomatiche), mentre le controindicazioni sono in caso di occlusione totale (per rischio da infarto bianco a rosso con riperfusione a valle dell’occlusione) e la comparsa di deficit vertebro-basilare. Gli stent intraluminali invece, sono alternativi all’intervento di TEA e da preferirsi soprattutto in pazienti con gozzo, danno attinico, dissezione locale (in questo caso è l’intervento di I scelta), ecc…


TERAPIA ICTUS IN PROGRESSIONE:
Il trattamento ottimale per questa tipologia di ictus non è ancora ben definita; certamente l’azione della terapia antriaggregante e/o della TEA viene ritardato. La terapia da impostare é la terapia anticoagulante con eparina e successivamente Warfarin (anche se i dati ancora controversi) e la Trombolisi che sembra risultare efficace, ma al momento gli studi non sono ancora ampiamente validati.


TERAPIA DELL’ICTUS ISCHEMICO:
Per la terapia trombolitica si usa la rt-tPA (analogo al tPA umano, 8p12) a dose di 0,5 mg/Kg (massimo 90 mg); l’intervento precoce si è dimostrato in grado di ridurre la mortalità (entro 3 ore del 20%, entro 6 ore del 10%). Generalmente viene somministrato IV a basse dosi, con la massima efficacia entro le 3 ore; recenti studi indicano come significativo anche un tempo fra 3 e 4,5 ore, anche se con risultati meno ottimali. Prima si imposta la terapia trombolitica, maggiori sono i tassi di successo terapeutico, spesso con recuperi neurologici immediati. Il maggiore effetto collaterale, potenzialmente letale è l’emorragia. Le controindicazioni sono la presenza di disordini coagulazione, un’epilessia attiva, la presenza di ematoma cerebrale (attuale/passato), una chirurgia negli ultimi 14 giorni ed il miglioramento sintomatologico. I tassi di risposta sono estremamente variabili, anche in funzione di altri fattori quali dimensioni del trombo (grossi trombi sono più resistenti), sede del trombo (trombi prossimali sono più resistenti) e/o associazione con placche ateromasiche (rendono il trombo più resistente), composizione del trombo (quelli poveri di fibrina sono più resistenti) ed altri fattori (quali età del paziente, ipertensione sistolica, glicemia, ecc…). E’ importante ricordare che circa il 13% dei pazienti sottoposti a trombolisi va incontro ad un successivo peggioramento clinico (spesso per una nuova occlusione vascolare); i fattori predittivi sono soprattutto un NIHSS score superiore a 16 e la presenza di stenosi carotidea basale superiore al 70%.




Per quello che concerne la terapia anti-ipertensiva, durante la fase acuta dell’ictus l’ipertensione arteriosa ha un ruolo compensatorio, aumentando per cercare di mantenere una pressione di perfusione cerebrale adeguata. Per questo motivo l’ipertensione arteriosa deve essere trattata solamente in casi severi. Nella fase cronica invece è stato ampiamente dimostrata una correlazione diretta fra il successivo abbassamento di pressione arteriosa ed una riduzione del rischio di recidive, pertanto subito dopo la stabilizzazione dei primi giorni, dove si deve tollerare una leggera ipertensione compensatoria, sarà necessario introdurre in maniera progressiva (sempre controllando i valori di pressione e la risposta clinica) una terapia anti-ipertensione. In caso di ipertensione diastolica moderata (attorno a 121 - 140 mmHg) lo scopo è quello di ridurre la pressione arteriosa del 10-15%, mentre in caso di ipertensione diastolica severa (superiore a 140 mmHg), lo scopo è quello di ridurre la pressione arteriosa del 10-15% senza ridurla troppo velocemente e/o in maniera troppo importante.



In merito alla restante terapia, si deve impostare una terapia antiaggregante con ASA, che si é dimostrata in grado di ridurre la mortalità e le recidive per ictus, venendo pertanto utilizzata come farmaco di prevenzione secondaria (a dosi di 100 mg die PO). La terapia anticoagulante analogamente che per la terapia dei TIA, viene instaurata solamente se viene dimostrata la presenza di una fonte embolizzante (generalmente cardiogena); in tutti gli altri casi é sufficiente una terapia preventiva per le trombosi. Va ricordato infine che sono state testate ulteriori terapie farmacologiche, quali i farmaci anti-edemigeni (come il mannitolo), ma anche neuroprotettori (come i barbiturici, il naloxone, i Calcio-antagonisti, ecc…) allo scopo di ridurre il metabolismo cerebrale, ma si sono dimostrati inefficaci.

In caso di stroke ischemico si somministra ASA (75-300 mg die PO) in grado di ridurre le recidive, la mortalità e la disabilità (va somministrato a tutti i pazienti post-stroke una volta escluse emorragie); il clopidogrel non si è dimostrato realmente efficace come l'ASA ed attualmente non viene somministrato di routine, ma solo in casi selezionati. L'anticoagulazione non ha alcun beneficio nella fase acuta di stroke (tranne in casi selezionati come in caso di trombosi del seno venoso). L'ipertensione arteriosa nella fase acuta non deve essere trattata fino a valori di PAs 220 mmHg e PAd 120 mmHg; in caso di trombolisi i limiti vanno ulteriormente ridotti (a livelli di PAs 185 mmHg e di PAd 110 mmHg). L'ASA deve essere somministrata in tutte le forme ischemiche tranne se si esegue la trombolisi (che va eseguita entro le 3 ore dalla comparsa dei sintomi). Le indicazioni alla trombolisi sono la presenza di stroke ischemico (esclusione TC di forme emorragiche), l'insorgenza entro le 3 ore dalla comparsa dei sintomi (indicazione che può essere portata fino a 4.5 ore) e la presenza di deficit neurologici ben misurabili che non migliorano.

Bisogna inoltre ricordarsi che circa il 25% dei pazienti presenta episodi di ipertermia post-ictus, con un incremento della temperatura corporea che può arrivare anche a 40°C. Tale condizione é associata ad un peggioramento dell'outcome clinico e della disabilità; inoltre, studi animali hanno dimostrato che una riduzione della temperatura corporea attorno ai 35°C comporta una riduzione del danno neurologico secondario. Abbassamenti ulteriori di temperatura non sembrano portare ulteriori benefici. Sono stati studiati 8 trials (5 con metodi farmacologici, 3 con metodi fisici) per valutare se l'abbassamento ulteriore della temperatura con metodi fisici portasse a qualche vantaggio. I metodi fisici sono stati mantenuti per 6, 12 e 24 ore; al momento non si sono viste differenze o eterogeneità nei risultati dei trials, sia in termini di efficacia che in termini di disabilità e/o complicanze. Attualmente l'ipotermia indotta in caso di ictus cerebri non è una metodica consigliata.


(continua…)


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