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Emorragia intra-parenchimale (Capitolo 1.5.1)



L’emorragia intra-parenchimale (o stroke emorragico) rappresentano il 23-25% di tutti gli stroke e sono un evento catastrofico dotati di una mortalità elevata (rappresentano oltre il 50% delle morti da stroke). Le emorragie intraparenchimali sono fra le emorragie intracraniche più frequenti e si caratterizzano per un sanguinamento all’interno del parenchima cerebrale. Hanno una prevalenza di 12-15:100.000 casi/anno, con l’età prevalente oltre i 55 anni; la sede di maggior coinvolgimento sono i gangli della base (soprattutto il Putamen, nel 65% dei casi), la sostanza bianca cerebrale (10-20%), il ponte (10-15%), il cervelletto (10%) ed il bulbo (1-6%). Dal punto di vista eziologico si classificano in forme primarie e secondarie




FORME PRIMARIE
Le forme primarie sono principalmente riconducibili ad ipertensione arteriosa (sia acuta che cronica), arterioatia (come l’angiopatia amiloide o la lipoialinosi), deficit di coagulazione (come per epatopatie avanzate, disimmunopatie, terapia anticoagulante orale, ecc…), trombosi del seno cavernoso o abuso farmacologico (da cocaina, amfetamine). 

PATOGENESI:
Una causa importante é l’pertensione arteriosa; in questi casi si ha una rottura spontanea delle arterie perforanti cerebrali, soprattutto a livello del Putamen (61%), a livello Lobare (18%), del Talamo (12%), del Cervelletto (8%) e del Ponte (1%). Il diametro dell’ematoma è differente, e quelli a maggior volume possono comprimere il SNC, portare ad erniazione e/o a morte. L’evoluzione può essere il riassorbimento (con a 6 mesi si hanno piccoli buchi locali visibili all’imaging), l’evoluzione verso un sanguinamento subaracnoideo per danno alla pia madre (si veda il prossimo capitolo dedicato all’emorragia subaracnoidea, Capitolo 1.5.2), l’evoluzione verso un sanguinamento intraventricolare (che porta sicuramente ad una maggiore morbilità e mortalità) e la morte. Solitamente l’ematoma si sviluppa ed evolve in 30-90 minuti, ma può arrivare ad evolvere ancora nelle 24-48 ore successive  se il paziente è anticoagulato.

Un altra causa importante é l’angiopatia amiloide con eccessiva deposizione di amiloide nella tonaca media/avventizia dei vasi cerebrali, che assumono un aspetto a “doppia parete”, con formazione di microaneurismi locali; tale patologia non è associata all’amiloidosi sistemica e solitamente si manifesta nell’anziano con un ematoma lobare. La cocaina genera un eccessivo stimolo dell’attività ortosimpatica, provocando ipertensione arteriosa anche importante e/o vasospasmo transitorio o costante. È una causa causa frequente fra i giovani. Infine le trombosi del seno cavernoso secondariamente a diversi processi eziologici (infettivi, gravidici, per diatesi trombotica, post-traumatiche, ecc…) portano ad un rischio del 20% di sanguinamento. Hanno sede nel 70% dei casi nel seno sagittale superiore/transverso sinistro, nel 20% nelle vene corticali superficiali e nel 10% nelle vene cerebrali profonde.



FISIOPATOLOGIA:
I meccanismi fisiopatologici generati dal danno cerebrale a causa dell’emorragia cerebrale sono complessi. La lesione primaria è una distruzione del tessuto locale come conseguenza della rottura di un vaso sanguigno cerebrale che introduce un flusso improvviso di sangue nel parenchima cerebrale. In oltre un terzo dei pazienti, il sanguinamento continuato o un ri-sanguinamento comporta un allargamento dell'ematoma con ulteriori lesioni meccaniche che compaiono entro le prime ore dopo la lesione primaria. La massa dell'ematoma produce inoltre cambiamenti del tessuto all'interno della cavità intracranica.

Oltre al danno meccanico primario, ulteriori danni avvengono dopo che l'emorragia si ferma; i meccanismi alla base di questa lesione secondaria sono sconosciuti, ma sono stati implicati l'ischemia, l’edema e gli effetti tossici del sangue a livello parenchimale. Modelli sperimentali di emorragia cerebrale suggeriscono che l'ischemia è una parte importante della fisiopatologia della lesione secondaria; attorno al coagulo si dimostra una chiara area di ipoperfusione riferibile ad una ridotta richiesta metabolica del tessuto danneggiato che circonda l'ematoma piuttosto che una vera ischemia. L’edema cerebrale è stato dimostrato entro poche ore dalla emorragia cerebrale sperimentale, e si pensa derivi dagli effetti tossici degli enzimi ematici, da un aumento della pressione osmotica esercitata dalle proteine ​​sieriche e dall’ischemia. L’emostasi dopo l’emorragia è inizialmente realizzato nel sito di lesione vascolare mediante la formazione di un tappo piastrinico e di fibrina; dopo diversi giorni però i globuli rossi all'interno del coagulo cominciano a lisarsi, appaiono degli infiltrati cellulari ed inizia il processo di riassorbimento con un certo grado di infiammazione presente.



CLINICA:
I sintomi di queste forme si hanno soprattutto quando il paziente è sveglio, soprattutto se stressato; si ha l’insorgenza di deficit neurologici improvvisi, che peggiorano in 30-90 min, eventuali perdite di coscienza e sintomi da ipertensione endocranica. Clinica é variabile in base alla sede coinvolta dall’emorragia. Quando il sanguinamento é sovratentoriale compaiono diversi segni focali sede-dipendente (emisindrome motoria/sensitiva, afasia, emianopsia, ecc…); quando è putaminale (condizione più frequente) la lesione può anche colpire la capsula interna e, se il diametro è molto grosso, comprimere il mesencefalo. Nelle forme lievi si può avere paralisi faciale (di tipo centrale) a 5-30 minuti dopo il sanguinamento, disartria, deficit arti (prima superiori, poi inferiori), deviazione oculare (che guarda le lesione), mentre nelle forme gravi si può arrivare allo stato stuporoso o al coma fino alla morte. In caso di sede cerebellare si ha un’improvvisa comparsa di alterazioni cerebellari e/o segni da danno del tronco-encefalico (con disartria, nistagmo, vertigine, alterazioni di coscienza); quando invece ad essere colpito é il tronco encefalico si ha un’improvvisa perdita di coscienza, quadriplegia, irregolarità del respiro, alterazioni nella motilità oculare. Anche in questo caso é elevato rischio di morte imminente.



IMAGING:
La TC-cerebri é gold standard per lesioni sovratentoriali; le forme da ipertensione arteriosa sono anche chiamate “grandi emorragie di Charcot”: si caratterizzano per la presenza di microaneurismi rotti a livello dei gangli della base; l’esame TC è poco sensibile in fossa cranica posteriore per la presenza di artefatti ossei e a livello pontino per la presenza di lesioni molto piccole. La RMN cerebrale é estremamente sensibile, ma non é l’esame non di prima scelta dati i lunghi tempi di detenzione, il rischio di artefatti da movimento e l’eventuale instabilità del paziente nelle prime ore post-emorragia. La metodica viene utilizzata per identificare o studiare lesioni della fossa cranica posteriore, eventuali MAV e/o altre eziologie sospette (soprattutto per un paziente giovane e/o in una sede atipica).



PROGNOSI:
Per le forme sovratentoriali si ha una mortalità variabile fra 50-65% (può arrivare al 90% se il paziente è già in coma), con fattori prognostici negativi quali il diametro ampio, la sede profonda a livello del talamo e fattori prognostici positivi come un piccolo diametro, una sede superficiale ed un  paziente clinicamente vigile. Per le forme sottotentoriali la mortalità é elevata ed é variabile con il quadro clinico del paziente.

TERAPIA:
I pazienti con emorragia intra-parenchimale generalmente vengono trattati in maniera medica, soprattutto se si hanno emorragie piccole (10-20 cc di volume), con minimi deficit neurologici e se si ha un GCS inferiore a 4 con emorragie lobari (per estensione massima dell’emorragia). Per il trattamento medico si utilizza una terapia di supporto standard (vedi oltre) associata ad un adeguato controllo pressorio: attualmente si cerca di mantenere uno stretto range fra una pressione di perfusione adeguata ed una riduzione del rischio di sanguinamento. Si accettano valori di sistolica inferiore a 180 mmHg, anche se studi del 2013 mostrano come mantenere dopo 1 ora dalla diagnosi per 7 giorni una pressione sistolica inferiore a 140 mmHg non mostri un peggioramento dell’outcome.

Per la terapia chirurgica ad oggi appare spesso difficile la discussione con i neurochirurghi per la decisione se trattare chirurgicamente o no una emorragia intraparenchimale primaria; esistono delle linee guida basate su alcune evidenze che determinano a grandi linee quali sono i pazienti che possono approfittare di un trattamento chirurgico. Sono candidabili alla chirurgia i pazienti con emorragia cerebellare oltre 3 cm diametro, pazienti con rapido deterioramento neurologico, pazienti con compressione del tronco-encefalo, con idrocefalo per ostruzione ventricolare, con emorragie secondarie e pazienti giovani con clinica in progressione peggiorativa. Per tutte le altre categorie di pazienti non sembrano esserci evidenze generali di miglioramento dell’outcome clinico se si interviene chirurgicamente; appare comunque prudente impostare una discussione con i colleghi della neurochirurgia per una corretta presa a carico.


FORME SECONDARIE
Le forme secondarie sono riconducibili soprattutto a neoplasie cerebrali (in particolare il glioblastoma, i linfomi e le metastasi), vasculopatie (da MAV, aneurismi, angiomi) o iatrogena (nell’ambito di una tromboendoarterectomia carotide, post-ischemia, o post-trombolisi).



MALFORMAZIONI ATERO-VENOSE:
Le malformazioni atero-venose (MAV) sono definibili come uno shunt diretto che esiste fra le arterie e le vene senza interposizione di un letto capillare; in queste strutture le arterie presentano una parete normale, mentre le vene presentano una parete ectasica (probabilmente per l’esposizione alle alte pressioni derivate direttamente dall’arteria) ed il tessuto cerebrale circostante appare gliotico, con residui di microemorragie precedenti. Le MAV sono relativamente rare (rappresentano meno dell’1% delle diagnosi autoptiche), il 64% delle quali sono diagnosticate prima dei 40 anni. Di solito solamente un 12% dei pazienti affetti da MAV presenta una sintomatologia clinica. Hanno sede sovratentoriale nel 90% dei casi.

Dal punto di vista patogenetico le MAV si formano nel feto (quando é lungo 40-80 mm), durante la fase di riassorbimento delle vene piali-subdurali; non sono un’anomalia strutturale, ma una disfunzione nel processo di remodeling fra capillari e vene. Clinicamente esiste una correlazione fra la clinica ed il diametro: se sono piccoli esiste un elevato rischio di sanguinamento (mentre quelli di maggiori dimensioni correlano soprattutto con il rischio di attacchi epilettici) ed in base alla loro evoluzione si può avere emorragia cerebrale (nel 50-60% casi), attacchi epilettici (nel 6-40% casi), soprattutto nel giovane, deficit neurologici focali, cefalea o il riscontro di soffio (che se sono in sede peri-temporale viene percepito anche dal paziente). Il rischio di sanguinamento è del 3-4% annuo, con una morbilità del 40% ed una mortalità del 17%.

La classificazione delle MAV si basa sulla stritifcazioen di Spetzler-Martin sulla base del punteggio ottenuto (che va da 0 a 5); si prende in considerazione il diametro parlando di MAV piccole (inferiori ai 3 cm - punteggio 1), medie (fra 3-6 cm - punteggio 2) o grandi (oltre 6 cm - punteggio 3), in base alla sede parlando di aree non-speaking (punteggio 0) o aree eloquenti (punteggio 1) o parlando del drenaggio venoso che può essere superficiale (punteggio 0) o profondo (punteggio 1). Dal punto di vista prognostico, oltre al rischio di sanguinamento annuo ed ai rischi di recidiva, esiste un rischio dipendente dalla classificazione di Spetzler-Martin: per i gradi 1-2 non esiste una maggiore morbilità, mentre per il grado 3 si ha una morbidità aumentata fino al 4% annuo, per il grado 4 del 7% e per il grado 5 del 12% annuo. La terapia é generalmente chirurgica con la rimozione della malformazione.

ANGIOMI CAVERNOSI:
Gli angiomi cavernosi sono dei cluster di capillari che presentano qualche area di microcalcificazione, trombosi, deposito di emosiderina (per precedenti microemorragie), senza alcuna efferenza arteriosa; non presentano tessuto cerebrale circostante interposto, ma solo gliosi. Dal punto di vista  epidemiologico esistono forme sporadiche e forme familiari (6-50%) a trasmissione autosomico dominante con penetranza incompleta; l’incidenza di malattia è dello 0.6% a livello autoptico, 0.47% se diagnosticato con RMN, con un rapporto maschi:femmine di 1,7:1; la massima incidenza si ha soprattutto fra 20-40 anni.

La patogenesi di malattia è multifattoriale; da un lato si ha un accumulo di microemorragie precedenti, con formazione di un anello di emosiderina che appare tossico e provoca irritazione neuronale locale, divenendo responsabile degli attacchi epilettici e dei danni focali che si possono avere. Dall’altro si ha un’espansione locale che provoca un effetto massa, responsabile dei danni focali, della cefalea e degli eventuali attacchi epilettici (per un meccanismo di irritazione). Infine anche l’emorragia extralesione può provocare un effetto massa, responsabile di ictus emorragici ed eventuali danni focali. Clinicamente gli angiomi cavernosi sono un riscontro occasionale nell’11-21% dei casi e le manifestazioni cliniche sono estremamente variabili; si possono avere attacchi epilettici nel 31-51% casi, soprattutto manifeste come forme parziali con generalizzazione secondaria, tipicamente poco controllabili mediante la terapia farmacologica. Si possono inoltre avere deficit focali nel 25-45% dei pazienti, cefalea nel 15-34% dei pazienti o manifestazioni emorragiche nel 4-32% dei pazienti; il rischio di sanguinamento è dello 0.7% annuo (rappresenta il rischio più elevato di emorragia) con il rischio di sviluppare deficit neurologici permanenti.

FISTOLE DURALI:
Le fistole durali sono degli shunt atero-venosi con un nido contenuto nello spessore della dura madre, composto da afferenze arteriose (provenienti tipicamente da rami extracranici/intracranici) ed un drenaggio venoso (generalmente il seno durale o le vene leptomeningee). Rappresentano il 10-15% di tutte le malformazioni vascolari intracraniche, con un rapporto maschi:femmine di 1:3; sembra esistere un ruolo favorente da parte degli estrogeni, ma tale ipotesi non è mai stata completamente dimostrata.

Anche l’eziopatogenesi appare differente e ci sono ancora diverse ipotesi: da un lato una componente congenita gioca un ruolo importante con la presenza di una lesione malformativa già riscontrabile nei neonati (34% dei casi delle fistole durali), ma anche una componente acquisita con l’età ha un suo ruolo: nel 1979 è stato dimostrato che una trombosi precoce di un seno venoso può provocare l’apertura di shunt pre-esistenti con sviluppo di una nuova neo-angiogenesi (66% dei casi). Le cause sono da ricercare in traumi, infezioni, neoplasie o stati di ipercoagulabilità. I sintomi clinici possono regredire, persistere o peggiorare nel tempo fino a dare forme di disabilità grave, per un incremento eccessivo della pressione intracranica. Se si volessero classificare due forme cliniche principali si potrebbe parlare di forme non aggressive che generano cefalea ed eventualmente la percezione di un soffio locale e forme aggressive in quanto evolutive verso emorragie, forme di ipertensione endocranica, effetto massa ed attacchi epilettici. La prognosi segue la classificazione di Cognard in 5 diverse tipologie di fistole, classificazione che ha anche un impatto prognostico (il tipo I presenta generalmente un andamento benigno, mentre il Tipo V porta allo sviluppo di mielopatia nel 50% dei pazienti).

DIAGNOSI DELLE FORME SECONDARIE:
Se il primo step è porre una corretta diagnostica differenziale nei pazienti affetti da ictus fra un danno ischemico ed un danno emorragico, il secondo step è di porre un’altrettanta corretta diagnostica differenziale fra le forme primarie  e secondarie. Generalmente si utilizza la TC/RMN-cerebri per entrambi gli steps.

L’angiografia secondo le linee guida AMA, se risulta negativa non esclude la presenza di forme secondarie di emorragia (come le MAV criptiche, gli angioma cavernoso, piccole neoplasie, ecc…), ma aumenta nettamente il suo valore predittivo negativo se accompagnata ad un imaging cerebrale convenzionale. È richiesta nel caso di pazienti con emorragia idiopatica, in tutti pazienti candidati alla neurochirurgia, in tutti i pazienti giovani/normotesi con emorragia cerebrale idiomatica, in tutti i pazienti clinicamente stabili, mentre invece appare non necessaria nei pazienti anziani ipertesi (la diagnosi eziologica é già posta) e nei pazienti con emorragia nei nuclei della base, nel cervelletto, o nel tronco.

TERAPIA FORME SECONDARIE:
La terapia medica delle forme secondarie va attuata il più precocemente possibile, al fine di ridurre la mortalità (il “nichilismo terapeutico” è il principale predittore di morte); è estremamente importante controllare la pressione intra-cranica che é da mantenere elevata se il paziente è in peggioramento e/o ha un GCS inferiore a 9. Gli obiettivi terapeutici sono una pressione intracranica inferiore a 20 mmHg ed una pressione di perfusione cerebrale superiore a 70 mmHg. La terapia farmacologica é quella classica per la gestione della pressione intracranica, gia precedentemente descritta (si veda il capitolo dedicato alla gestione della ipertensione endocranica, Capitolo 1.1.5).

Per quello che concerne la terapia chirurgica delle forme secondarie di emorragia intra-parenchimale, al momento non esistono chiare indicazioni nell’utilizzo di tale terapia; esistono sicuramente degli effetti positivi nell’intervenire chirurgicamente (ad esempio si ha un effetto positivo di evacuazione dell’ematoma) ma anche degli effetti negativi (come il rischio di generare un danno neuronale per trattamento di ematomi profondi o aumentare il rischio di nuovi sanguinamenti); le evidenze attuali parlano comunque, qualora si debba intervenire, di approcci con tempistiche precoci ed approcci mini-invasivi al fine di ridurre la mortalità. La chirurgia non viene utilizzata per lesioni piccole (che non generano effetto massa) così come per lesioni devastanti con inondamento ventricolare. I goals terapeutici sono la riduzione dell’effetto massa (e della ipertensione endocranica), la rimozione di sostanze neurotossiche, la prevenzione dei danni secondari; per questo ad oggi le indicazioni per le quali ha senso una discussione con il neurochirurgo per la corretta presa a carico di questi pazienti sono emorragie cerebrali da lesioni secondarie che sono localizzate a livello lobare o cerebellare,per pazienti con età inferiore a 65 anni, con una clinica in progressivo  peggioramento e/o con un diametro superiore a 30 cm-cubici.


PROGNOSI E TERAPIA
L'emorragia cerebrale, sia nelle forme primarie che secondarie, rappresenta la seconda causa più frequente di stroke e la prognosi/trattamento hanno un impatto notevole sull'outcome in termini di mortalità e morbilità.

PROGNOSI:
La mortalità a 30 giorni é attorno allo 35-52%, di cui la metà circa dei pazienti muoiono nei primi due giorni; solo il 12% dei pazienti tornano al proprio domicilio senza nessun deficit o con minimi deficit neurologici a 30 giorni. La prognosi dipende dalla sede della emorragia (sopra vs sottotentoriale), dalle dimensioni dell'ematoma (il limite é di 60 cmq, e la mortalità varia dal 19 al 91%), dal livello di coscienza (un deterioramento nelle prime 48 ore è un fattore prognostico negativo), dall’età del paziente e dalle comorbidità. Inoltre la presenza di terapia anticoagulante/antiaggregante peggiora notevolmente la prognosi per un’aumentata probabilità di estensione iniziale ed evolutiva dell'ematoma. Infine anche il tasso di crescita a 24 ore rappresenta un parametro prognostico importante: ogni aumento del 10% si associa con un incremento della mortalità del 5% ed un peggioramento della disabilità del 16% sul Ranking score. Il coinvolgimento intraventricolare è un altro fattore prognostico negativo.

Lo score ICH é uno score per le emorragie cerebrali molto semplice che valuta sei parametri principali e che determina uno score prognostico: si prende in considerazione il GCS che se é 3-4 dà luogo a 2 punti, se é fra 5-12 dà luogo ad 1 punto e se é fra 13-15 dà luogo a 0 punti, si valuta il volume (oltre 30 cm3 é 1 punto, meno di 30 cm3 sono 0 punti), l’estensione intraventricolare (se é presente é 1 punto, se no sono 0 punti), l’origine infratentoriale (se é presente é 1 punto, se no sono 0 punti) e l’età (oltre 80 anni sono 1 punto, meno di 80 anni sono 0 punti). La mortalità a 30 giorni incrementa in base al punteggio totale che se é 1-2-3-4-5 è rispettivamente del 13-26-72-97-100%. Nella coorte di pazienti analizzati, nessuno dei pazienti con GCS a 0 punti è morto. Appare pertanto importante discutere preventivamente della prognosi con i familiari.

RECIDIVA:
Circa il 5% dei pazienti con emorragia cerebrale avrà nuovamente un episodio analogo, dove il fattore di rischio più importante è la presenza di ipertensione arteriosa mal controllata; tutti i fattori di rischio identificati attualmente sono l’ipertensione arteriosa, un’emorragia cerebrale intralobare, l’età avanzata, l’uso di un’anticoagulazione orale e precedenti microsanguinamenti (riscontrabili alla RMN-cerebrale).

TERAPIA GENERALE:
La terapia della emorragia cerebrale è un insieme di trattamento farmacologico e chirurgico; sicuramente è richiesto un ricovero in ICU per la gestione della terapia farmacologica ed il monitoraggio continuo, oltre al fatto che può essere necessaria una ventilazione meccanica. Bisogna porre particolare attenzione alla febbre dato che ogni elevazione della temperatura deve essere prontamente trattata con metodi farmacologici e non farmacologici (l’origine può essere di tipo irritato oppure infettivo), le iperglicemie che nelle prime 24 ore post-emorragia sono associate ad un outcome peggiorativo, per cui le linee guida correnti indicano di mantenere i valori di glicemia fra 6.5-10 mmol/l e la profilassi delle trombosi venose profonde impostando un trattamento con calze pneumatiche intermittenti, mentre la terapia farmacologica viene riservata dopo che si ha una stabilizzazione dell'emorragia; in casi selezionati (se il paziente é ad alto rischio) si posiziona un filtro cavale.

L’altro aspetto importante é la reversione dell’anticoagulazione; devono essere sospese tutte le terapie antiaggreganti ed anticoagulanti per almeno due settimane dopo l'emorragia; si deve somministrare Vitamina K, FFP, Beriplex e protamina solfato in base all’anticoagulazione cui il paziente é sottoposto. Per la ripresa dell’antiaggregazione/anticoagulazione le evidenze attuali indicano come l’utilizzo di ASA è possibile sicuramente senza nessun problema a 10 giorni dopo il sanguinamento, ma studi recenti indicano come una ripresa a basse dosi (100 mg die PO) possa essere utilizzata come prevenzione della trombosi venosa profonda. Per quello che riguarda l'anticoagulazione, non si hanno ancora risposte certe: in caso sia imperativa la ripresa si può eseguire un trattamento con Liquemina in perfusione continua a bassa dose, mentre gli anticoagulanti orali si possono riprendere a partire da 3-4 settimane dopo l'evento.

A seguito dell'emorragia può esserci un incremento di pressione intracranica per il sangue e l'edema cerebrale che viene a svilupparsi; si deve pertanto sollevare la testa di 30° e controllare le algie e la sedazione con i farmaci adeguati (il tutto allo scopo di ridurre la pressione intracranica); non si utilizzano corticosteroidi dato che un trial randomizzato ha mostrato che il loro uso come prevenzione primaria non modifica l'outcome aumentando di contro il tasso di infezione. E' importantissimo garantire un'adeguata perfusione periferica tramite controllo della pressione arteriosa media e sistolica che sono pericolose se troppo elevate (aumentando il rischio di sanguinamento) o troppo basse (pressioni sistoliche inferiori a 130 mmHg riducono la pressione di perfusione cerebrale). Sono pertanto state sviluppate delle linee guida per la gestione pressoria:
  • a) pressione sistolica oltre 200 mmHg o pressione media oltre 150 mmHg si deve eseguire una terapia aggressiva con infusioni IV e controllo pressorio continuo (catetere arterioso);
  • b) pressione sistolica oltre 180 mmHg o pressione media oltre 130 mmHg, soprattutto se si sospetta un incremento della pressione intra-cranica, si deve misurare la pressione arteriosa in continuo (catetere arterioso) ed anche la pressione intracranica, per mantenere la pressione di perfusione cerebrale fra 61-80 mmHg.
  • c) pressione sistolica superiore a 180 mmHg o pressione media superiore a 130 mmHg senza sospetti per incremento di pressione intra-cranica: si deve ridurre di poco la pressione arteriosa a livelli target (sistolica fra 140-160 mmHg, diastolica fra 70-90 mmHg, media fra 80-110 mmHg). La terapia è principalmente con Labetalolo o Idralazina (farmaci che non aumentano la pressione intra-cranica).

Il rischio di attacchi epilettici nel paziente con emorragia cerebrale spontanea varia dal 4.2 al 29%, soprattutto per le forme lobari rispetto ai sanguinamenti profondi; esiste un maggiore rischio di attacchi epilettici di tipo non convulsivo. In caso compaiano i sintomi si inizia con fenitoina o Levetiracetam; una terapia preventiva primaria non si é dimostrata utile.



TERAPIA CHIRURGICA:
L'indicazione alla chirurgia varia con la sede del sanguinamento; in caso di emorragia cerebellare si esegue per sanguinamenti superiori a 3 cm che sono in espansione o con compressione del tronco encefalo o con idrocefalo per ostruzione del drenaggio liquorale. La chirurgia si è dimostrata in grado di ridurre l'incidenza di compressione sul tronco e l'idrocefalo. Il semplice drenaggio esterno aumenta il rischio di erniazione e non viene utilizzato da solo.

Per i sanguinamenti sovratentoriali l'approccio è controverso; piccoli trials mostrano outcome migliori per pazienti che vengono trattati dal punto di vista medico, dato che le forme trattate chirurgicamente mostrano maggiori tassi di emorragie; in altri studi non c'è una superiorità dei trattamenti chirurgici rispetto al trattamento medico. Le linee guida correnti indicano di trattare il paziente con emorragie sovratentoriali maggiori di 30 ml a 1 cm dalla superficie, mentre in altre sedi/dimensioni non appare indicato. Generalmente si esegue una craniotomia (altri approcci sono sperimentali) soprattutto in persone con stato di coscienza intermedio (appare sconsigliato in caso di GCS perfettamente intatto o comatoso completamente) senza gravi copatologie.


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