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Anemia in ICU - terapia trasfusionale (Capitolo 2.10b.2)



Dopo che abbiamo accennato alle anemie in ICU sia nelle sue forme generali che in caso di malattie specifiche, in questo capitolo tratteremo di medicina trasfusionale, intesa come quella branca della Medicina che si occupa del buon utilizzo del sangue e dei suoi prodotti. La qualità di tale servizio prevede la somministrazione della giusta quantità del giusto emocomponente nel giusto tempo nel gusto paziente, accompagnato da una adeguata documentazione clinica.


EMODERIVATI:
Il frazionamento degli emoderivati si è reso indispensabile per un utilizzo più appropriato degli stessi emocomponenti (in quanto limitati), permettendo di usare il giusto emocomponente per ogni paziente, riducendo i rischi delle trasfusioni e conservando al meglio gli emocomponenti per i paziente che realmente ne necessitano. Il sangue intero viene raccolto in sacche di plastica con acido citrico destrosio, a volume di 450 ml con una variabilità del 10% (il volume  é stabilito per legge); la frequenza di donazione è di una ogni 3 mesi per gli uomini, ed una ogni 6 mesi nelle donne. Nelle sacche è presente dell’anticoagulante che possiede tre proprietà: un’azione anticoagulante (il citrato), una funzione di nutrizione (il destrosio) ed una funzione di conservazione (l’acido citrico); il tutto permette di controllare i valori di ATP ed il pH locale, con un aumento dell’emivita dei componenti cellulari. Per quello che riguarda la conservazione dei diversi componenti, una volta separati, si ha che i globuli rossi concentrati sono mantenuti a 4°C e possono essere trattenuti per 42 giorni; le piastrine invece sono conservate a temperatura ambiente, in agitazione continua, per un massimo di 5 giorni, mentre il plasma può essere congelato a -40°C per diversi mesi.

Mediante aferesi, tramite l’uso di macchine dedicate (che agiscono come separatori cellulari) si preleva il sangue da una vena periferica, si centrifuga prelevando solamente il materiale che serve, e si restituisce il resto del sangue al paziente; permettendo di prelevare 500-600 ml ogni due mesi. Con la piastrinoaferesi si ottengono piastrine molto concentrate (si può arrivare ad avere 1 sacca per 1 paziente contro 6 sacche per 1 paziente delle normali trasfusioni), anche se il donatore deve rimanere collegato alla macchina per circa 1 ora; con la plasmaferesi invece si effettua il prelievo dei soli fattori della coagulazione. La plasmapiastrinoaferesi rappresenta l’associazione delle due metodiche precedenti, con il prelievo dei soli fattori della coagulazione e delle piastrine.



I globuli rossi concentrati si somministrano in caso di anemie acute/croniche sintomatiche e che perdurano nel tempo, ed in questi casi la trasfusione è la terapia elettiva. Il plasma non si somministra come expander per il controllo della volemia dato che aumenta il rischio infettivo e spreca l’emocomponente, ma viene preferenzialmente utilizzato in caso di DIC, emodiluizioni su emotrasfusioni massive, sovradosaggio della terapia anticoagulante/trombolisi, deficit congeniti della coagulazione (come l’emofilia), microangiopatia trombotica (HUS, PTT, ecc..). Le piastrine infine si somministrano in caso di deficit produttivo (come post-chemioterapia, post-trapianto, in caso di anemia aplastica, mielodisplasia, mieloftisi, ecc…), in caso di trombocitopatie, deficit da diluizione o da ipercatabolismo (in questi casi solamente quando la situazione é severa, altrimenti le nuove piastrine vengono anch’esse distrutte).

Esistono anche nuovi derivati. I gel di piastrine provengono dal prelievo di trombotici che vengono concentrati ed attivati, permettendo di creare questo gel che può essere utilizzato in maniera autocrina in diversi siti del paziente, accelerando la guarigione di circa il 50%; attualmente viene utilizzato in odontoiatria, in caso di ustioni, in cardiochirurgia, ecc… L’altro nuovo derivato é la colla di fibrina autologa; dopo aver prelevato dal paziente il proprio fibrinogeno, lo si attiva a fibrina (senza il fattore XIII) e lo si trasforma in “spray”, spruzzandolo sui siti in cui si vuole ottenere una rapida emostasi.

Per quello che concerne la donazione di sangue, ne esistono due tipologie; la donazione volontaria è spontanea e non retribuita, venendo così percepita come atto altruistico, ed offre maggiori garanzie di sicurezza rispetto alle forme retribuite. La donazione dedicata è una trasfusione che avviene da un donatore prescelto dal paziente e/o da un donatore verso un determinato paziente; é una donazione che viene disincentivata, perché tale metodo incrementa le probabilità di non-matching fra donatore/paziente e porta al rischio di riduzione delle donazioni volontarie. Esistono dei criteri di selezione dei diversi donatori, atti a salvaguardare la sicurezza dei riceventi e dei donatori stessi; tali esclusioni possono essere transitorie o permanenti. Generalmente si valuta anamnesi/esame obiettivo per identificare i requisiti generali (fra i 18-60 anni, oltre 50 Kg di peso, controllo ECG e pressione arteriosa nella norma), l’assunzione di farmaci, i comportamenti a rischio (piercing, omosessualità, tatuaggi), eventuali malattie infettive, patologie genetiche (talassemie, ecc…), malattie croniche (neoplasie, diabete mellito, malattie autoimmuni, ecc…), gravidanza, trasfusioni ricevute, chirurgia, ecc…. Al laboratorio poi si valuta lo status marziale, l’emocromo con formula leucocitaria, i livelli di AST/ALT e la presenza di malattie infettive. La donazione di sangue è sicura, non esiste il rischio di infezione grazie all’utilizzo di materiale monouso; possono però manifestarsi reazioni vagali (su base ansiosa, su prelievi superiori al 10%, sul freddo, su vertigini, ecc…) e/o sideropenia (con segni/sintomi di un’anemia sideropenica transitoria).

RICEVENTE:
Il centro trasfusionale deve assicurarsi di aver effettuato una giusta valutazione del paziente sui gruppi sanguigni principali (ABO ed Rh), e che non abbia anticorpi irregolari. Gli esami pretrasfusionali che vengono eseguiti sono il controllo Type & Screen, che permette di determinare il grado di risposta anticorpale presente nel paziente, diretta contro gli antigeni eritrocitari minori.

Proprio in merito agli antigeni eritrocitari, bisogna ricordare che la membrana cellulare del globulo rosso possiede numerosi determinanti antigienici, detti anche antigeni eritrocitari, che nella medicina trasfusionale determinano poi il gruppo sanguigno. Esistono 23 antigeni eritrocitari attualmente descritti, dove ogni sistema raccoglie diverse varianti antigieniche (per un totale di 430 possibilità) che comportano un polimorfismo variabile da sistema a sistema; per intenderci il sistema ABO presenta 4 polimorfismi, il sistema Rh presenta 47 polimorfismi, ecc…. Esistono numerosi raggruppamenti a minor caratterizzazione biochimica, genetica e strutturale, la cui antigenicità dipende dalla contiguità spaziale di strutture proteiche differenti. Strutturalmente possono avere uno o più passaggi transmembrana, possono essere ricchi di complessi polisaccaridici, avere legami con ancore di GPI, proteine plasmatiche adese alla membrana e per quello che riguarda la loro distribuzione sono strutture ubiquitarie, non confinate ai soli eritrociti; le forme polisaccaridiche (come ABO, Lewis, P) sono debolmente espresse sulle emazie nel cordone ombelicale, mentre le forme proteiche (Rh, Kelly, Duff, Kidd, ecc…) sono già presenti alla nascita.



La funzione degli antigeni eritrocitari é estremamente variabile e spesso svolgono ruoli del tutto differenti fra loro. Possono essere proteine strutturali, proteine di trasporto, enzimi, molecole d’adesione, recettori del Complemento o recettori perindividuare i patogeni. In ambito trasfusionale i gruppi sanguigni hanno rilevanza per la loro immunogenicità, cioè per la loro capacità di stimolare la risposta immunitaria; esistono gruppi con antigeni naturali (come il sistema ABO) ad alta immunogenicità (come i sistemi Rh, Kell, Duff, Kidd) ed a bassa immunogenicità (come il sistema MN).


STORIA NATURALE DELL’ANEMIA NON CORRETTA:
Mentre i dati sperimentali permettono di approfondire la risposta fisiologica in caso di anemia acuta, allo stesso tempo tali dati sono di limitata applicabilità nel periodo perioperatorio, dove molti dei fattori che influenzano attività muscolare del consumo di ossigeno, la temperatura corporea, la frequenza cardiaca, l’attività simpatica e metabolica sono alterate. In questo setting invece diventa molto più importante determinare il rischio di trasfusioni di emazie concentrate; su alcune linee guida recenti sono stati individuati numerosi casi di grave anemia ben tollerato dai pazienti. Inoltre studi descrittivi su pazienti contrari alla trasfusione di emazie concentrate, é stato dimostrato che tali pazienti hanno potuto sopravvivere ad interventi chirurgici con livelli di emoglobina estremamente bassi, anche fino a  45 G/l.

Esaminando alcuni di questi studi in modo più dettagliato, sembra esserci una associazione tra le concentrazioni di emoglobina preoperatoria, intraoperatoria (perdita di sangue stimata) e mortalità post-operatoria. In questi studi non ci sono stati decessi nei pazienti sottoposti a chirurgia elettiva quando le concentrazioni di emoglobina preoperatoria erano al di sopra di 80 G/l e la perdita di sangue stimata era inferiore a 500 ml. In uno studio monocentrico su 542 pazienti Testimoni di Geova sottoposti a una procedura chirurgica cardiaca, il tasso di mortalità complessiva è stata del 10.7%, di cui solo il 2.2% delle morti osservate sono stati considerate essere una conseguenza diretta dell’anemia. Per quei pazienti morti di anemia, il 60% era di età superiore ai 50 anni. Nei pazienti sopravvissuti con concentrazione di emoglobina inferiori a 50 G/l, il 65% aveva meno di 50. Anche se si deve tenere conto di eventuali bias di pubblicazione, i giovani pazienti sani possono sopravvivere senza trasfusioni a concentrazioni di emoglobina nel range di 50 G/l. Da questi dati, è evidente che l'estrema anemia è spesso tollerata in ambito perioperatorio (soprattutto nel giovane), ma sembra anche aumentare il rischio di morte. Tuttavia, queste osservazioni non dovrebbero essere interpretati come supporto per una strategia trasfusionale restrittiva o conservatore, soprattutto perché la maggior parte della letteratura relativa alla tolleranza di anemia non ha esplorato le caratteristiche del paziente che predispongono i pazienti a esiti avversi in caso di anemia moderata/severa.



ANEMIA IN GRUPPI AD ALTO RISCHIO:
Un certo numero di fattori di rischio per eventi avversi associati ad anemia sono stati identificati nella pratica clinica tramite review e linee guida. L’anemia é chiaramente meno tollerata nei pazienti più anziani, nei pazienti di medicina intensiva ed in pazienti con patologie croniche quali coronaropatia, malattia cerebrovascolare o malattie respiratorie. Tuttavia, l'evidenza clinica dimostrante come questi fattori siano indipendentemente associati ad un aumentato rischio di esito negativo è carente. 

Al momento sono presenti due grandi studi di coorte che hanno documentato come l'aumento del grado di anemia sia associato con un aumento sproporzionato del tasso di mortalità nel sottogruppo di pazienti con malattie cardiache. La gravità della malattia sembra anche essere un fattore di rischio nei pazienti critici; due studi retrospettivi hanno documentato come il grado di perdita di sangue contribuisca alla mortalità perioperatoria Tuttavia, non ci sono studi che esaminano i contributi indipendenti di età, malattie cerebrovascolari e malattie respiratorie nell’aumentare il rischio di mortalità nei pazienti anemici. Questa relazione potrebbe essere complessa, dato che l'età e la malattia cerebrovascolare sono fattori di rischio associati alla malattia coronarica e le malattie respiratorie legate al fumo possono avere le associazioni simili alle malattie cardiache. 



LINEE GUIDA PER LE TRASFUSIONI IN ICU:
Quanto segue è un breve riassunto delle linee guida per l'utilizzo di componenti del sangue comunemente disponibili, illustrandp l'approccio generale alla decisione di trasfondere componenti ematici, con l'accento sulla gestione del sangue del paziente e come la terapia dei diversi emocomponenti si inserisca in un quadro più ampio.

EMAZIE CONCENTRATE:
L’uso appropriato ed inappropriato di trasfusioni di globuli rossi in medicina intensiva ha ricevuto una più grande attenzione negli ultimi anni; tuttavia, proprio con i primi studi, identificare i benefici della trasfusione in molte circostanze è stato difficile e ci si é dovuti scontrare con una presunta questione di sicurezza rispetto ad un basso ematocrito.

Se é vero che gestire alcuni pazienti mediante trasfusione solo quando l’anemia provoca sintomi/segni é pericoloso, é anche vero che in un paziente stabile, la trasfusione di emazie concentrate è poco probabile che sia appropriata quando il livello di emoglobina è superiore a 100 G/l. L’uso di una trasfusione può essere appropriato quando l'emoglobina è compresa tra 70 e 100 G/l se ci sono anche altri difetti nel sistema di trasporto dell'ossigeno. La decisione di trasfondere dovrebbe essere sostenuta dalla necessità di alleviare i segni e sintomi clinici e per prevenire morbilità e mortalità. La trasfusione di emazie concentrati è probabilmente appropriata quando l'emoglobina è inferiore a 70 G/l e l’anemia non è reversibile con una terapia specifica nel breve termine; ultimamente va ricordato che livelli più bassi possono essere accettabili in pazienti asintomatici, soprattutto in giovane età e senza co-patologie che affliggono il trasporto di ossigeno alla periferia.

CONCENTRATI PIASTRINICI:
Le piastrine vengono separate dal sangue intero (da più donatori) o mediante aferesi (da un solo donatore); le piastrine raccolte per aferesi equivalgono a 6 sacche raccolte con metodo standard ed  una sacca standard contiene circa 20.000 piastrine/mmq. Le indicazioni per una trasfusione di trombociti é estremamente variabile, anche se negli ultimi anni ci sono state diverse consensus per le indicazioni e le controindicazione alla loro somministrazione. In caso di trombocitopenia è estremamente importante distinguere fra il paziente con emorragia attiva o senza sanguinamento; in caso di sanguinamento attivo il limite della trombocitopenia è posto a 50 G/l (tranne in caso di particolari controindicazioni, vedi oltre) anche se in casi specifici come in caso di emorragie intracraniche e/o insufficienza renale il limite viene spostato a 100 G/l. Se il paziente é senza emorragia il limite tollerato è generalmente i 10 G/l, che diviene 20 G/l in caso di rischio recente/possibile di sanguinamento (ad esempio come in caso di ulcera peptica, varici esofagee, ecc...) o di febbre (per l’aumentato consumo piastrinico) e si alza fino a 50 G/l in caso di procedure invasive elettive (da biopsie alla rachicentesi fino agli interventi chirurgici). Per la posa di vie venose centrali invece è importante eseguire la procedura in una sede comprimibile, con l’ecografia e da parte di un operatore esperto. Le controindicazioni alla somministrazione di trombociti sono prevalentemente due e sono la presenza di una HIT in fase florida e la microangiopatia trombotica, perché in entrambe le situazioni la somministrazione di trombociti non fa altro che aggravare la malattia, con aumento della lisi piastrinica e peggioramento clinico. La DIC invece non è una controindicazione alla trasfusione piastrinica, anche se la somministrazione di trombociti può aggravare la trombosi microvascolare.




Generalmente dopo la trasfusione di una sacca di piastrine ci si attende un incremento del valore plasmatico di trombotici di circa 5 G/l; se dopo la terapia trasfusionale si ha un incremento piastrinico inferiore a tale livello, allora si può parlare di refrattarietà solitamente da ricondursi alla presenza di allo-anticorpi e si deve pertanto procedere alla somministrazione di  piastrine AB0-HLA compatibili. La presenza infatti di reazioni AB0 e/o HLA possono essere tali da portare a distruzione piastrinica, con reazioni trasfusionali e scarsa efficacia della infusione di piastrine.

PLASMA FRESCO CONGELATO:
Il plasma fresco congelato (FFP) è ampiamente utilizzato in clinica, ma ci sono limitate indicazioni specifiche per il suo utilizzo e vi è una carenza di prove cliniche dell’efficacia in molti contesti clinici. L'uso di plasma fresco congelato può essere appropriato nei pazienti con coagulopatia che mostrano emorragie o sono a rischio di emorragia quando una specifica terapia non é appropriata o non disponibile. 

Il plasma fresco congelato generalmente è indicato nei pazienti con emorragie per la sostituzione dei fattori della coagulazione in caso di trasfusioni massive, bypass cardiaco, malattie del fegato o DIC, mentre é raramente indicato in caso di carenza di vitamina K o per invertire la terapia con gli anticoagulanti orali (ne abbiamo già parlato nel capitolo 2.10a.2), perché ad oggi esistono dei concentrati specifici che si possono somministrare. Non essendoci chiare evidenze cliniche, possiamo riassumere che la somministrazione di FFP é adeguata in caso di un paziente che abbia sia disturbi della coagulazione evidenti in laboratorio che un sanguinamento clinico; in tutti gli altri casi appare non evidente la loro somministrazione.

ALTRI PRODOTTI:
Una vasta gamma di prodotti ematici altamente purificati derivati ​​dal plasma sono disponibili per l'uso in numerose condizioni cliniche; brevemente da accennare che il concentrato di fibrinogeno invece del crioprecipitato sta avendo un ruolo sempre maggiore nella gestione degli stati di ipo-fibrinogemia, proprio per la sua specificità d’azione, le elevate concentrazioni e la selettività.

Lo sviluppo e l'introduzione di componenti ricombinanti del sangue continua ad essere uno dei progressi più interessanti nel campo della medicina trasfusionale: i fattori di crescita ricombinante, come l’eritropoietina ed il fattore di stimolazione per i granulociti  hanno avuto un forte impatto sulla gestione dell’anemia e della neutropenia. Ci sono ulteriori citochine ricombinanti promettenti in fase di sviluppo che potrebbero avere un ruolo in innumerevoli condizioni cliniche, in particolare come agenti antinfiammatori e come tessuti di protezione dell'epidermide. I fattori emostatici ricombinanti hanno migliorato la gestione di emofilia, e la recente espansione delle indicazioni cliniche per l'utilizzo del fattore VII attivato ricombinante (fattore VIIa) è il fattore di coagulazione che si é dimostrato avere un impatto sulla gestione di una serie di disturbi emostatici. Poiché il fattore VIIa dipende dalla presenza del Tissue Factor, che è generalmente disponibile in quantità limitate ai circolazione, il suo uso clinico è generalmente considerato sicuro dal punto di vista della induzione di trombosi, e il suo uso è attualmente raccomandato come agente pan-emostatico quando tutti gli altri fattori coinvolti nella coagulazione sono adeguatamente corretti ed il paziente continua a sanguinare. Si può avere un ruolo in una vasta gamma di disturbi emostatici (ad esempio, in caso di trasfusione massiva di sangue, malattie del fegato severe, trombocitopenia grave, ecc…). 


Infine bisogna ricordare gli sforzi che sono in corso da molti anni per sviluppare sostituti sintetici per i globuli rossi e per le piastrine, ma i risultati sono stati deludenti, ed importanti problemi di sicurezza hanno bloccato lo sviluppo clinico; lo sviluppo inoltre di sostituti per le cellule ematiche è anche stata anche lenta, e la loro introduzione in medicina clinica rimane ancora in una fase di ricerca.

GESTIONE DELLA TRASFUSIONE NELL’EMORRAGIA MASSIVA:
Negli ultimi anni c'è stata una rivalutazione nelle linee guida per l'utilizzo dei componenti ematici nei pazienti con emorragie acute; i progressi nel recupero del paziente, lo sviluppo dei protocolli di rianimazione, le tecniche per la diagnosi rapida ed in tempo reale, i team per il politrauma, ed il concetto di chirurgia damage-control hanno migliorato la gestione dei pazienti con emorragie acute. I pazienti pertanto sopravvivono sempre più e richiedono spesso grandi volumi di trasfusione di sangue, anche se la sepsi, il danno polmonare acuto e l’insufficienza multiorgano rimangono sfide importanti. In questi pazienti la trasfusione può e deve essere minimizzata tramite una tolleranza all’ipotensione fino a quando l’emorragia non è chiaramente controllata, accettando anche livelli di emoglobina inferiori alla norma. Sempre di più nell’ultimo periodo sta aumentando anche la consapevolezza che l’età dei globuli rossi trasfusi ha un impatto sul trasporto di ossigeno e sull’efficacia della trasfusione, così come il fatto che accanto ai miglioramenti nel macrocircolo, nel microcircolo possono esserci effetti potenzialmente negativi sulla densità capillare funzionale.

RISCHI E SVANTAGGI DELLA TRASFUSIONE:
Una trasfusione di materiale non necessario per il paziente non é privo di rischio, uno dei quali é quello delle reazioni trasfusionali, intese come complicanze acute o croniche che si sviluppano in riposta alle trasfusioni ematiche. Esistono forme non immunologiche che possono avvenire durante la trasfusione e può essere riconducibile a forme di shock vasoplegico per contaminazione batterica massiva del sangue trasfuso (condizione estremamente rara con i metodi moderni), piuttosto che segni per sovraccarico idrico, scompenso cardiaco, ecc… oppure possono manifestarsi a distanza come le forme dovute ad infezioni (sia batteriche che virali), da sovraccarico marziale, da eccesso di citrato (con conseguente ipocalcemia), ecc… Per le forme immunologiche ne esistono di diversi tipi, che si manifestano con brivido-ipertermia (tipicamente da leucoagglutinazione), porpora trombocitopenica post-trasfusione, reazioni allergiche e reazioni emolitiche trasfusionali (rare ma letali).

La distruzione delle emazie del donatore può essere dovuto alla presenza di diversi anticorpi; possono essere iso-anticorpi acquisiti in pazienti politrasfusi e nelle donne pluripare per la presenza di IgG dirette verso i fattori Rh, Kell, Duffy, Kidd, ecc…, con generazione di emolisi extravascolare manifesta con nausea, brivido, febbre, shock ed insufficienza renale (clinica che dipende dal titolo anticorpale). Posso anche essere ido-anticorpi naturali legati al sistema AB0, ed in questo caso la risposta si ha solamente per errore nello scambio delle sacche di sangue. Il danno é generato da IgM, con emolisi intravascolare e si manifesta con cefalea, dolori lombari, brividi, papitazioni, tachipnea, nausea, ipotensione e (raramente) DIC. I sintomi/segni possono comparire fino a 15 giorni dopo la trasfusione, con conseguente anemia ed ittero; in tale caso va sospesa la trasfusione ed in alcuni casi (estremamente severi) vanno somministrati corticosteroidi.

La terapia della fase acuta di una reazione trasfusionale di questo tipo va attuata prontamente e su più livelli, con idratazione abbondante, terapia e supporto di un eventuale broncospasmo, gestione del potenziale edema polmonare acuto, di eventuale DIC e dello shock distribuito che può instaurarsi.

Il TRALI (Transfusion Related Acute Lung Injury) è una reazione temporale che si sviluppa entro le 6 ore dalla somministrazione di prodotti ematici (sono soprattutto, in ordine di rischio, i trombociti, la trasfusione di FFP, di emazie concentrate, di sangue intero ed infine di trombociti prelevati da aferesi) che si caratterizza per la comparsa di dispnea importante. Il meccanismo sembra essere quello della presenza di anticorpi che colpiscono i leucociti dell'ospite con attivazione del complemento, leucostasi polmonare, capillary leak e conseguente danno polmonare acuto. La terapia con diuretici e steroidi è di poco aiuto e la terapia é prevalentemente di supporto.




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