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Coma iperglicemici (Capitolo 4.5.2)



La chetoacidosi diabetica ed il coma iperosmolare sono sindromi potenzialmente letali causati da una squilibrio metabolico associato al diabete mellito, sia insulino-dipendente (tipo 1) che non insulino-dipendente (tipo 2). Anche se viene fatta una distinzione nelle definizioni dei due sindromi, c'è molto comunanza tra loro e fino al 30% delle presentazioni acute possono avere le caratteristiche di entrambe le sindromi. La chetoacidosi diabetica è circa tre volte più comune rispetto al coma iperosmolare nei pazienti con iperglicemia severa. Anche se lo squilibrio metabolico visto nelle due sindromi é estremo, il tasso di mortalità associato a queste sindromi è relativamente basso se si imposta una terapia appropriata e meticolosa. Le indagini dei pazienti con sindromi iperglicemiche hanno trovato un tasso di mortalità inferiore al 5% associato alla chetoacidosi diabetica ed attorno al 15% associato al coma iperosmolare. La maggior parte delle morti non sono causate dallo squilibrio metabolico di per se stesso, ma si verificano a seguito di malattie co-esistenti, ad esempio come infarto del miocardio, sepsi (soprattutto polmonite), ecc…



CHETOACIDOSI DIABETICA:
La chetoacidosi diabetica è una sindrome iperglicemica (dove la glicemia supera i 13.8 mmol/L), associata ad acidosi metabolica (con pH inferiore a 7,30 ed un bicarbonato sierico inferiore a 18 mmol/L con un gap anionico superiore a 10) associata a chetosi. La malattia si verifica principalmente nei pazienti diabetici insulino-dipendenti, e la carenza di insulina grave è il segno distintivo di questa sindrome. I livelli sierici elevati di ormoni dello stress (glucagone catecolamine, cortisolo, e l'ormone della crescita) sono anche un’altra caratteristica che generalmente non viene ricercata in ICU. La chetoacidosi diabetica ha un'incidenza di circa l’8.6% nei pazienti diabetici e si verifica in una fascia di età più giovane (età media attorno ai 33 anni) rispetto ai pazienti diabetici con il coma iperosmolare (che presentano un’età media di 69 anni). 

Il meccanismo fisiopatologico é fondamentale per la comprensione della malattia e per la corretta presa a carico del paziente (come avremo modo di vedere nel capitolo successivo dedicato alla terapia del diabete, Capitolo 4.5.3). L’aumento della glicemia oltre al valore di 10 mmol/l (o 180 mg/dl) supera le capacità renali del tubulo contorto prossimale di riassorbire il glucosio che viene filtrato dal glomerulo, generando pertanto una diuresi osmotica con deplezione progressiva di liquidi ed elettroliti (in particolare si ha un aumento dell’osmollarità plasmatica, una ipernatremia ipovolemica ed un’ipokaliemia). Fra l’altro é da ricordarsi che - a livello di laboratorio - una iperglicemia severa comporta una falsa misurazione della natremia, che deve pertanto essere corretta in base ai valori di glicemia (la natremia reale é pari alla natremia misurata + glucosio/3 se il glucosio é misurato in mmol/l, oppure glucosio/62 se in mg/dl). Accanto a questo effetto osmotico, l’assenza di insulina fa sì che a livello cellulare il metabolismo del glucosio non possa procedere, pertanto per la formazione d’energia il fegato inizia e potenzia la lipolisi, che portano alla formazione ed all’accumulo di acidi non volatili (da qua si comprende l’acidosi metabolica con gap anionico aumentato) quali l’acido acetacetico, il B-idrossibutirrato e l’acetone. La formazione temporale degli acidi é nell’ordine in cui sono stati descritti e, con la somministrazione dell’insulina, l’acetone é il primo acido a scomparire e l’acido acetacetico é l’ultimo. Un aspetto laboratoristico importante é che tali acidi - che generano sempre un’acidosi metabolica a gap anionico aumentato - sono rilevati nelle urine/plasma come corpi chetonici, ma l’acido acetacetico, seppure presente, non viene rilevato. Pertanto un’assenza di corpi chetonici con la positività di tutta la storia clinica e di laboratorio deve far sospettare una chetoacidosi diabetica in fase precoce, senza che si abbia avuto il tempo di sviluppare gli ulteriori corpi chetonici.



I fattori precipitanti associati allo sviluppo di chetoacidosi diabetica comprendono: la mancanza di insulina, sia relativa o assoluta, una nuova diagnosi di diabete mellito insulino-dipendente, una storia compatibile con una non compliance medicamentosa o un trattamento inadeguato per il diabete diagnosticato, la presenza di fattori di stress fisici (come una malattia infiammatoria o infettiva) o la somministrazione di alcuni farmaci (glucocorticoidi, fenitoina, inotropi, diuretici, ecc…) e/o la fase post-operatoria. Anche se ci sono molti fattori di stress in ICU, un nuovo sviluppo di chetoacidosi diabetica in ICU non è un evento comune, presumibilmente a causa del alto livello di vigilanza con rapida somministrazione di insulina per la correzione dell’iperglicemia. 

CLINICA E LABORATORIO:
Le caratteristiche cliniche della chetoacidosi diabetica riflettono i disordini metabolici alla base della disidratazione, della chetosi e dell’acidosi metabolica, comprendondo tachicardia ed ipotensione arteriosa, la respirazione di Kussmaul ed il fetor chetosico, segni per infezione/infiammazione, uno stato mentale alterato, ecc… Le prove di laboratorio a supporto della diagnosi di chetoacidosi diabetica comunemente sono l’ipernatremia spuria se l'iperglicemia è grave, alti livelli di potassio sierico (che riflette lo stato acido-base e non il grave esaurimento totale del corpo di potassio, che è sempre presente), livelli sierici variabili di magnesio, calcio e fosfati (anche se questi sono generalmente bassi o si smascherano come bassi all’esordio della terapia), un’acidosi metabolica con basso bicarbonato sierico, aumentato gap anionico ed aumentati livelli sierici/urinari di chetoni con un ipocapnia compensatoria.


COMA IPEROSMOLARE:
Le caratteristiche della nozione di coma iperosmolare comprendono l’iperglicemia (con una glicemia superiore a 33.3 mmol/L), un’acidosi (con pH inferiore a 7.3 ed un bicarbonato ridotto, ma generalmente superiore a 15 mmol/l), la disidratazione ed il riscontro di un’iperosmolarità plasmatica superiore a 320 mOsm/Kg senza chetoacidosi. La differenziazione principale dalla chetoacidosi diabetica sembra essere la presenza di almeno alcune unità di insulina che permette lo sviluppo di una glicolisi senza lipolisi e formazione di corpi chetonici, dei livelli di ormoni dello stress più variabili ed il fatto che la disfunzione renale e la ridotta funzione tubulare (conseguenza dell’incapacità del rene di affrontare gli alti carichi di soluti osmotici) è comunemente presente. La disfunzione renale, assieme alla diuresi osmotica può causare grave disidratazione, in particolare nell’anziano dove la sensibilità al senso della sete appare ridotta.

Come accennato in precedenza, il coma iperosmolare è meno comune della chetoacidosi diabetica, si verifica in un gruppo di pazienti d’età più avanzata, e ha un tasso di mortalità più elevato, mortalità che può essere associata ad una mancata diagnosi (soprattutto se lo stato mentale del paziente è compromesso), alla presenza di comorbidità o ad una ritardata terapia. I fattori precipitanti (oltre a quelle elencati per la chetoacidosi diabetica) presentano comunemente ottundimento mentale, demenza o menomazione fisica che limita l'accesso all'acqua, un uso inappropriato di diuretici. I test di laboratorio sono simili a quelli indicate per la chetoacidosi diabetica ma differiscono alquanto in termini di severità in quanto i livelli sierici di glucosio sono generalmente più elevati, i livelli sierici di sodio possono essere normali (in maniera impropria per il grado di iperglicemia), i marcatori di disfunzione renale sono peggiori rispetto al coma chetoacidotico, l’iperosmolalità è più marcata, l’acidosi metabolica non è così grave ed i livelli di gap anionico e di chetoni sierici sono normali o poco presenti.


DISORDINI METABOLICI PER L’ICU:
Le principali alterazioni metaboliche che si traducono in morbilità e mortalità e che devono essere affrontate con urgenza nella gestione sia della chetoacidosi diabetica che del coma iperosmolare sono la disidratazione grave, il deficit di insulina, la deplezione di elettroliti e l’acidosi metabolica.  La grave disidratazione richiede che, in base alla natremia corretta, venga calcolato il Total Water Deficit per comprendere la quantità totale di liquidi che devono essere somministrati per correggere la disidratazione (generalmente è stimato nell'intervallo da 100-200 ml/kg). Anche se non vi è consenso sul metodo ideale per la gestione dei fluidi in questi pazienti, un tempestivo ripristino della circolazione mediante la somministrazione di cristalloidi isotonici, seguita dalla sostituzione più moderata del deficit idrico utilizzando un liquido ipotonico, sono i principi di base. Il deficit di insulina deve essere trattato inizialmente con insulina solubile per via endovenosa per portare ai normali livelli di glucosio nel sangue entro 24 ore; bisogna porre attenzione che una correzione rapida può predisporre ad edema cerebrale e generalmente ci si accontenta di ridurre l’iperglicemia al 50% del valore iniziale nelle prime 24 ore. La deplezione elettrolitica è trattata mediante un’adeguata sostituzione di sodio, potassio, magnesio, calcio, e cloruro in base ai risultati di laboratorio che devono essere misurati frequentemente durante la fase precoce della terapia. Infine l'acidosi metabolica raramente richiede una terapia specifica e solitamente si corregge con l'espansione volemica ed il ripristino della terapia insulinica; l’uso del bicarbonato è discutibile ma attualmente non è sostenuto da evidenze, indipendentemente dal pH di presentazione, a causa della possibilità di esacerbazione dell’ipopotassiemia, della presenza di acidosi intracellulare, della ridotta contrattilità miocardica e della ridotta ossigenazione dei tessuti.



SEQUELE NEUROLOGICHE:
Le sequele neurologiche delle sindromi iperglicemiche non sono infrequenti; possono verificarsi prima della presentazione clinica (e possono di fatto essere la causa precipitante dell’iperglicemia), durante il periodo di grave squilibrio metabolico (ed é la condizione più frequente) ma anche dopo la correzione metabolica. Le sezioni seguenti descrivono riconosciuti sequele neurologiche associate a sindromi iperglicemici.

STATO MENTALE ALTERATO:
I pazienti che presentano chetoacidosi diabetica o coma iperosmolare presentano comunemente uno stato mentale alterato, che può variare dal delirio al coma; generalmente il paziente sta molto male e presenta uno stato stuporoso e poco comunicativo, che richiede una continua stimolazione per ottenere risposte alle domande. Questa condizione migliora rapidamente dopo la reidratazione, la correzione della iperglicemia, e la correzione dell’acidosi a condizione che non vi sia alcuna malattia neurologica di base. Clinicamente non c'è una buona correlazione tra i valori di glicemia, l’osmolalità o il pH e la presentazione dello stato mentale, che sembra essere più in funzione dello stato di salute generale del paziente e delle comorbidità piuttosto che dei valori assoluti degli squilibri metabolici. Le caratteristiche cliniche del paziente in coma includono tutte le caratteristiche della sindrome iperglicemica ed inoltre un ridotto livello di coscienza, valutato mediante Glasgow Coma Scale (GCS), con pupille reattive e riflessi osteo-tendinei variabili (a causa della possibilità di una malattia nervosa periferica diabetica). La presenza di segni di lateralizzazione e la mancanza di un miglioramento nel livello di coscienza con la correzione dello stato metabolico richiedono ulteriori indagini, come una TC-cerebri urgente e/o uno screening tossicologico per l’assunzione di sedativi o droghe. Meno comunemente, la causa principale dello stato mentale alterato è il delirium, caratterizzato da  disorientamento ed agitazione psicomotoria. Questi pazienti possono essere molto difficile da gestire, dato che presentano un pericolo per se stessi e per i loro assistenti; in questi casi una sedazione adeguata, con uso tranquillanti o una vera e propria sedazione può essere necessaria per consentire il trattamento clinico.

EDEMA CEREBRALE:
La correzione rapida dell’iperglicemia e dell’iperosmolalità è associato con lo sviluppo di edema cerebrale; il meccanismo di come si presenti l’edema cerebrale non è chiaro. L'edema potrebbe essere dovuto ad un effetto del pH sullo scambiatore Na/K causando l'ingresso di sodio e acqua nelle cellule cerebrali, portando ad un’interruzione osmotica o infiammatoria della barriera emato-encefalica o favorendo l'accumulo di soluti osmoticamente attivi (come gli amminoacidi, i polioli ed altre sostanze). Altre teorie sul meccanismo dell’edema cerebrale includono un’acidosi paradossale del sistema nervoso centrale o uno spostamento a sinistra della curva di dissociazione di ossigeno-emoglobina che riduce l'ossigenazione dei tessuti. L'uso di soluzioni isotoniche piuttosto che ipotoniche per la reidratazione e la prevenzione di una troppo rapida correzione dell'iperglicemia sembra offrire una certa protezione contro lo sviluppo di edema cerebrale. L’edema cerebrale è più comune dopo il trattamento della chetoacidosi diabetica che dopo il trattamento del coma iperosmolare, inoltre é più comune nei pazienti diabetici di nuova diagnosi e nei pazienti giovani.

L’edema cerebrale dopo il trattamento per l’iperglicemia solitamente si manifesta come un prolungamento dello stato mentale alterato o come un nuovo sviluppo di uno stato mentale alterato con le caratteristiche descritte in precedenza. Di solito nessuna terapia specifica è necessaria oltre una buona terapia di supporto; raramente l’ edema cerebrale può produrre danni neurologici focali e permanenti. Nei bambini invece l’edema cerebrale associato a chetoacidosi diabetica  è una condizione molto più grave, gravata da una notevole mortalità. Il trattamento urgente si basa su l’osmoterapia per via endovenosa (Mannitolo o NaCl 7.5%) seguito da steroidi e diuretici come terapia di seconda linea.

DEFICIT NEUROLOGICI FOCALI:
Alcuni casi report in letteratura descrivono danni neurologici focali nei pazienti con sindromi iperglicemiche, più comunemente sono descritti accidenti cerebrovascolari in particolare emorragici e trombotici. Questo non deve sorprendere, perché gli incidenti cerebrovascolari possono essere il fattore scatenante per lo sviluppo del coma iperosmolare nei pazienti diabetici, e lo stato iperosmolare può predisporre ad incidenti cerebrovascolari trombotici. Anche la trombosi venosa intracerebrale è stata osservata, con prognosi pessima.
Molti dei segni neurologici focali osservati in questi pazienti, in particolare quelli con coma iperosmolare, scompare dopo il trattamento della sindrome iperglicemica; generalmente questo significa che la disidratazione e l’ipovolemia può smascherare delle aree focali di insufficienza cerebrovascolare. I danni focali neurologici possono verificarsi anche a causa di spostamenti di liquidi ed elettroliti prodotti durante il trattamento delle sindromi iperglicemiche (ad esempio, per emorragia del putamen, per emorragia pontina laterale o per mielinolisi extrapontina). Nei pazienti che sono trattati per periodi prolungati in ICU per complicazioni legate alla loro episodio di sindrome iperglicemici, anche la polineuropatia é una possibilità diagnostica per spiegare tali deficit.

DEFICIT COGNITIVI:
Il deficit cognitivo può verificarsi dopo la sindrome iperglicemia; questo deterioramento può essere grave e clinicamente evidente (tipicamente é più comune nei pazienti anziani) o essere molto sottile (ad esempio con scarsa concentrazione o perdita di memoria). Esso può inoltre essere associato con deficit neurologici focali o globali oppure può essere evidente in presenza di un cervello strutturalmente normale. La maggior parte del deterioramento cognitivo che non è causato da danni cerebrali strutturali migliora con il tempo. I potenziali evocati sensoriali hanno mostrato risultati promettenti come test sensibile per rilevare eventuali disfunzioni cerebrali subcliniche nei pazienti con grave chetoacidosi diabetica.

CRISI EPILETTICHE:
Le crisi epilettiche focali e generalizzate sono comuni nei pazienti con sindromi iperglicemiche e possono essere resistenti al trattamento con i soliti agenti anticonvulsivanti; l’epilessia parziale continua, una forma insolita di epilessia caratterizzata da un’intensità anormale del segnale RMN nel giro precentrale, può verificarsi in caso di chetoacidosi diabetica o coma iperosmolare.

SINDROMI ALGICHE:
Il dolore può essere una caratteristica clinica importante di pazienti con sindromi iperglicemiche; tale dolore, spesso di origine neuropatica, può essere così grave da imitare un quadro di addome acuto a indicazione chirurgica. Anche il dolore toracico pleurico ed i mal di testa sono comuni. Un'adeguata valutazione del dolore è molto difficile nel paziente con una sindrome iperglicemica emergente. La valutazione clinica frequente è importante per rilevare in anticipo la vera causa del dolore. Per la diagnosi differenziale si può anche usare una diagnosi ex-juvantibus, dato che il dolore causato dal coma iperglicemico spesso diminuisce con il tempo assieme ad un trattamento farmacologico adeguato.


L’IPERGLICEMIA NEI PAZIENTI CRITICI:
In un individuo normale i livelli di glucosio nel sangue sono strettamente regolati all'interno della ristretta gamma fra 60- 140 mg/dL (3.3-7.7 mmol/L), sia negli stati postprandiali che nel digiuno. L’iperglicemia diabetica è definita dall’OMS come valori di glicemia a digiuno oltre 126 mg/dL (7 mmol/L) valori di glicemia post-prandiale oltre 200 mg/dL (11.1 mmol/L). 

L’iperglicemia da stress è associato ad una prognosi sfavorevole in diverse popolazioni di pazienti critici; un ampio studio di coorte su oltre 66.000 pazienti in condizioni critiche ha rivelato un rapporto J-shape tra i valori di glicemia all’ammissione ed il rischio di mortalità, con il nadir tra 5.6-8.3 mmol/L). Nei pazienti con sindrome coronarica acuta, un'associazione simile è stato osservata, con il più basso rischio di mortalità con valori di glicemia fra 4.4-5.5 mmol/L. 



Fino a poco tempo, in ICU si tolleravano livelli di glicemia fino a 12 mmol/L nei pazienti nutriti, suggeriti dalla possibilità che un’iperglicemia moderata poteva essere benefica per gli organi come il cervello e le cellule del sangue (che si basano esclusivamente sul metabolismo glucidico per il loro approvvigionamento di energia). La motivazione per il trattamento dei livelli di glucosio nel sangue superiore a 12 mmol/L è stata principalmente l'insorgenza della diuresi osmotica iperglicemia-indotta e la predisposizione a complicanze infettive. Questo approccio però si contrappone con la relazione J-shape tra la glicemia ed il rischio di mortalità nei pazienti in ICU. Studi osservazionali hanno anche rivelato che l'iperglicemia nei pazienti con diabete mellito stabilito denoti un più alto rischio di mortalità di almeno tre volte rispetto ai pazienti con diabete noto senza iperglicemia.

GESTIONE DELLA NORMOGLICEMIA IN ICU:
Nel 2001 un grande studio prospettico randomizzato e controllato (del gruppo di Leuven) è stato il primo a sfidare il classico dogma di un’iperglicemia da stress come benefico, esaminando l'effetto dello stretto controllo glicemico mediante terapia insulinica sulla mortalità e morbidità dei pazienti in ICU (lo studio é stato eseguito su oltre 1.500 pazienti). Per questo studio una terapia insulinica intensiva era tale da abbassare la mortalità in terapia intensiva dall'8% al 4.6%, con una riduzione del rischio assoluto  del 3,4%. Tale effetto si è verificato in particolare nella popolazione con malattia critica prolungata, tra i quali la mortalità è stata ridotta dal 20.2% al 10.6%. Nei pazienti che hanno soggiornato in terapia intensiva per più di 3 giorni, la mortalità intra-ospedaliera è stata ridotta dal 52.5% al ​​43.0% così come la morbidità in termini di incidenza di insufficienza renale acuta, svezzamento del ventilatore, soggiorno in ICU ed in ospedale). L'aspetto negativo dello studio è stato l'aumento dell'incidenza di ipoglicemia nonostante il migliore outcome del paziente. 

Due studi multicentrici europei volti a valutare se la terapia insulinica intensiva esercitava il vantaggio segnalato, usando come endpoint primario la mortalità, non sono riusciti a riprodurre i risultati di Leuven. Questi ed altri ulteriori studi sono stati infatti statisticamente sottodimensionati per rilevare una differenza di mortalità ragionevole; per risolvere questo problema, lo studio NICE-SUGAR ha incluso oltre 6100 pazienti con più di 41 centri partecipanti, confrontando valori glicemici inferiori a 108 mg/dl (6.0 mmol/L) rispetto alla terapia abituale (con valori di glicemia fra 140-180 mg/dL  o 8-10 mmol/L). L'obiettivo dello studio NICE-SUGAR è stato quello di valutare se l'abbassamento ulteriore dei livelli di glicemia al di sotto dei 6,0 mmol/l in ICU nella pratica clinica mostrava ulteriori vantaggi. Contrariamente alle aspettative, NICE-SUGAR ha rivelato che il targeting prefissato mediante la somministrazione di insulina aumentava la mortalità a 90 giorni dal 24.9% al 27.5% rispetto al valore  target di 8-10 mmol/L.



Ad oggi le linee guida di pratica clinica idealmente si basano su revisioni sistematiche e meta-analisi; le due più recenti meta-analisi hanno mostrato che nei pazienti adulti in condizioni critiche, uno stretto controllo glicemico non porta ad una riduzione significativa della mortalità ospedaliera, associandosi ad aumenti del rischio di ipoglicemia. L’unica popolazione che può beneficiare di uno stretto controllo glicemico era la popolazione post-chirurgica. Il fallimento di riuscire a ripetere i risultati di studi randomizzati controllati e meticolosamente eseguiti ha indicato che il lo stretto controllo glicemico non è ancora pronto per essere ampiamente implementato in ogni terapia intensiva, mettendo in discussione la validità scientifica dei benefici di tale terapia nei pazienti critici. Sicuramente i livelli di glicemia devono essere normalizzati il maniera ​​più sicura possibile, senza abbassare troppo rapidamente la glicemia, per evitare un aumento d’incidenza di ipoglicemia e senza grandi fluttuazioni di glucosio nel sangue. All’atto pratico ad oggi si consiglia:
  • 1) di eseguire misurazioni accurate e frequenti della glicemia con prelievi, dato che i sensori glicemici in continuo non sono ancora così accurati. I campioni di sangue capillare sono poco affidabili in ICU e devono essere ben contestualizzati. Inoltre deve essere preferito l'uso di un unico glucometro con un margine di errore accettabile, utilizzando il sangue arterioso per minimizzare gli errori di misurazione.
  • 2) una continua somministrazione di insulina per via endovenosa utilizzando pompe a siringa accurate di cui si conosce bene il funzionamento
  • 3) una formazione approfondita degli operatori in ICU (medici ed infermieri) per il riconoscimento precoce di un’ipoglicemia, per il riconoscimento dei protocolli di gestione della glicemia e del suo precoce trattamento.



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