Dopo aver brevemente accennato agli elementi fisiologici e fisiopatologici inerenti al meccanismo di funzionamento del pancreas endocrino, agli elementi clinici e fisiopatologici essenziali legati al diabete mellito e la gestione delle complicanze acute legate al ricovero in ICU (principalmente la chetoacidosi diabetica ed il coma iperosmolare), terminiamo l'excursus trattando brevemente sulla gestione del diabete mellito.
TERAPIA DEL DIABETE TIPO 1:
La terapia del Diabete Mellito di tipo 1 è una terapia complessa, che richiede principalmente una buona compliance del paziente e dei familiari, avvalendosi di differenti strumenti quali insulina, esercizio fisico, educazione del paziente e controllo glicemico. Lo scopo è quello di mantenere una normoglicemia durante le 24 ore della giornata, prevenendo la comparsa di complicanze croniche e favorendo così il recupero di una normale qualità della vita.
La terapia del passato tendeva a ricalcare il profilo glicemico/insulinico nelle 24 ore basandosi in primis sul profilo insulinico e modificando di conseguenza la propria giornata sulla base delle diverse somministrazioni farmacologiche (quando in natura è l’aumento glicemico che comporta modificazioni nelle concentrazioni plasmatiche di insulina). Gli schemi terapeutici erano su 3 iniezioni (rapida/rapida/mista), 4 iniezioni (rapida/rapida/rapida/lenta) o 5 iniezioni (rapida/ritardo/rapida/rapida/ritardo). Gli svantaggi erano di avere la necessità di somministrare l’insulina 30-60’ prima dei pasti, con il rischio di ipoglicemia preprandiale (e maggior ansia nel paziente), con associata la necessità quotidiana di spuntini. La compliance terapeutica era quindi molto bassa, con un pessimo controllo metabolico.
Nella terapia attuale si scindono le differenti coperture insuliniche di base (a lento rilascio) e post-prandiale (rapido/ultrarapido rilascio), permettendo quindi una maggiore compliance terapeutica, con un maggior controllo glicemico. L’insulina rapida Lispro [Humalog], Aspart [Novorapid], Glulisine [Anidra] hanno una farmacocinetica con esordio d’azione a 30-45 minuti, con concentrazioni plasmatiche massime a 1-3 ore, ed un emivita di 5-7 ore. Il controllo glicemico attuato è buono e viene utilizzato come controllo estemporaneo (correzioni glicemiche) anche se il loro uso non porta a modifiche nei valori di emoglobina glicata. L’insulina ultrarapida é composta da formulazioni che più facilmente portano alla formazione di monomeri di insulina (che sono quindi più velocemente assorbiti); rappresentano il gold standard per il fabbisogno insulinico prandiale, con un inizio a 15 minuti dalla somministrazione, con concentrazioni plasmatiche massime a 30-70 minuti ed un emivita di 2-5 ore. Sono utilizzate anche in ICU per le correzioni glicemiche estemporanee sia come bolus che come infusione IV. L’insulina lenta come la Glargina [Lantus] presenta un punto isoelettrico modificato a pH 4,0; quando viene iniettata nel sottocute (a pH 7,4) si ha localmente il deposito della stessa, con una lenta dissociazione ed una durata d’azione prolungata. La sua somministrazione evita le ipoglicemie notturne e le iperglicemie diurne; dando una copertura completa, permette anche di evitare un pasto (evitando l’insulina rapida). Nel paziente diabetico di tipo 1 viene somministrata 1 volta al giorno per garantire il fabbisogno giornaliero basale di insulina. Da quando é stata introdotta in clinica l’uso dell’insulina ultrarapida con l’insulina a lento rilascio, si é assistito ad un miglior controllo glicemico ed una riduzione della HbA1C.
TERAPIA DEL DIABETE TIPO 2:
La terapia del diabete di tipo 2 è una terapia complessa ed estremamente variabile, che richiede una buona compliance del paziente, avvalendosi sempre di modificazioni dello stile di vita con eventuale utilizzo di farmaci (fra cui l’insulina). E’ una terapia multistep per il fatto che la malattia ha una evoluzione progressiva sia in termini di resistenze periferiche all’insulina, che in termini di riduzione delle concentrazioni plasmatiche relative di insulina stessa. Al di fuori della ICU si ha un percorso con dieta ed esercizio fisico, uso di ipoglicemizzanti orali in monoterapia, ipoglicemizzanti orali in pluriterapia, ipoglicemizzanti orali con insulina ed infine solo insulina (nel 30% pazienti).
Le complicanze del diabete sono prevalentemente legate a problemi macrovascolari e microvascolari, quest’ultime in particolar modo legate alla retinopatia, nefropatia e neuropatia (come abbiamo visto nel capitolo 4.5.1). Nel diabete tipo 2 l’esordio è progressivo e spesso insidioso, per cui è fondamentale impostare un management aggressivo nel controllo glicemico, nello screening degli organi interessati da patologia e nel controllo dei fattori di rischio cardiovascolare.
Per quello che concerne il controllo glicemico numerosi studi hanno dimostrato che un buon controllo glicemico permette di ridurre a lungo termine il rischio delle complicanze, con effetti migliori per ogni punto percentuale di emoglobina glicata che si riesce ad abbassare (il tutto con un maggiore rischio di ipoglicemie). Lo scopo è quello di mantenere la glicemia basale nei limiti di norma, con una emoglobina glicata inferiore al 7% (valori più stringenti possono essere necessari in particolari gruppi di popolazione selezionata). Per la valutazione della retinopatia i pazienti con diabete sono a maggiore rischio di perdita della vista, sia per problemi refrattivi che per la retinopatia; è fondamentale eseguire almeno 1 volta all’anno una visita medica specialistica, con controlli serrati in caso di scarsi controlli glicemici e/o presenza di complicanze. Pazienti con diabete sono a maggior rischio di disturbi refrattivi, con problemi di acuità visiva necessitanti di correzione mediante lenti adeguate.
Concernente la valutazione della neuropatia è fondamentale controllare i piedi dei pazienti diabetici, così come è altrettanto importante che il paziente abbia un’ottima complicance terapeutica nel monitoraggio quotidiano del piede (ispezione visiva, lavaggio, utilizzo di calze corrette, ecc…). Ad ogni visita è fondamentale l’ispezione della cute del piede in termini di integrità, soprattutto a livello del calcagno e del metatarso, di calore, rossore, callosità, deformità ossee, ecc… che possono predirre l’evoluzione peggiorativa verso la formazione di ulcere. Si deve eseguire un controllo vascolare dei polsi arteriosi lungo tutto l’arto inferiore, sia dal punto di vista anamnestico (claudicatio) che clinico (palpazione, arterial-brachial index, ecc…); segue poi un controllo neurologico della sensibilità periferica, sia a livello superficiale (tattile, dolorifica) che profonda (pallestesia, propriocezione, ecc…). In merito alla valutazione della nefropatia è fondamentale eseguire il controllo della microalbuminuria (30-300 mg die) che nei pazienti diabetici è indice di una nefropatia in stadio iniziale (deve essere confermata da due misurazioni consecutive, escludendo le forme di proteinuria estemporanea). Nei pazienti con diabete tipo 1 i controlli possono essere ritardati nel tempo (dato che la diagnosi è abbastanza precoce), mentre nei pazienti con diabete tipo 2 è fondamentale eseguire un controllo immediato di una eventuale nefropatia perché spesso la malattia è asintomatica per anni prima di divenire clinicamente evidente. Infine per la valutazione della cardiopatia i pazienti diabetici sono a maggiore rischio di sviluppare una patologia coronarica sia per la presenza del diabete stesso che per la presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare; oltretutto i pazienti diabetici più spesso sono asintomatici e/o con sintomatologia più aspecifica rispetto ai pazienti non diabetici. E’ pertanto fondamentale studiare più attentamente dal punto di vista cardiologico tali pazienti, eventualmente impostando già una terapia preventiva.
Rispetto alla popolazione non diabetica, i pazienti diabetici hanno una minore spettanza di vita per il rischio elevato di complicanze cardiovascolari e cerebrovascolari (la diagnosi di diabete porta a trattare il paziente come prevenzione secondaria per tali patologie). E’ pertanto fondamentale controllare tutti i fattori di rischio cardiovascolare ed impostare terapie che vedano come goals terapeutico livelli più stringenti rispetto alla popolazione sana.
METFORMINA:
Attualmente la metformina viene considerato il farmaco di prima scelta (in assenza di controindicazioni) da aggiungere alle modificazioni dei fattori di rischio cardiovascolare come segnalato precedentemente. L’effetto principale è quello di ridurre la produzione epatica di glucosio, ma anche di aumentare la sensibilità periferica all’insulina (permette quindi di utilizzare più glucosio alle stesse concentrazioni di insulina) e di ridurre le concentrazioni plasmatiche di LDL, FFA e TG, con un lieve effetto indiretto di riduzione della insulinemia periferica.
In monoterapia è un farmaco che riduce la glicemia a digiuno di circa il 20% e riduce l’emoglobina glicata dell'1.5%, generalmente con un basso rischio di sviluppare ipoglicemie; nei pazienti obesi ha anche un effetto di calo ponderale e/o di stabilizzazione del peso corporeo (a differenza degli altri farmaci che comportano un incremento ponderale). Ad oggi, la metformina è l’unico farmaco fra gli ipoglicemizzanti orali che si è dimostrata avere un ruolo prognostico positivo in termini di sopravvivenza globale ed incidenza di infarto del miocardio. In pluriterapia il farmaco spesso viene associato ad altri ipoglicemizzanti orali e/o farmaci del sistema incretinico per raggiungere il goal terapeutico; non ci sono problemi legati ad interazioni farmacologiche fra questi farmaci.
Gli effetti collaterali sono prevalentemente a carico del tubo gastro-enterico, con senzazione di gusto metallico, inappetenza, nausea, dolori addominali e/o diarrea e generalmente sono sintomi lievi e che vanno poi incontro a miglioramento. E’ importante ricordare che riduce l’assorbimento di Vitamina B12 per cui spesso è necessario un suo supplemento orale (più raramente parenterale) per evitare forme di anemia megaloblastica e/o neuropatie periferiche. E’ importante ricordare la possibilità di acidosi lattica legata all’uso della Metformina; generalmente si hanno concentrazioni plasmatiche inferiori a 2 mmol/l, ma in condizioni di predisposizione (come in caso di nefropatia e/o epatopatia e/o scompenso cardiaco e/o shock) si possono avere valori di acidosi lattica estremamente severi. Viene pertanto sconsigliato il suo uso in tali condizioni; in caso di esame TC con mezzo di contrasto iodato il farmaco viene sospeso 24 ore fino a 24 ore dopo l’esame, con controlli seriali della funzione renale. Per quello che concerne la posologia esiste in formulazioni di 500 mg, 850 mg e 1.000 mg; generalmente si inizia con una dose di 500 mg die PO, eventualmente incrementabile a 500 mg bid PO. Le dosi massime tollerate sono 2550 mg die PO (850 mg tid PO).
TIAZOLIDINEDIONI:
Sono farmaci che, similmente alla Metformina, svolgono come azione principale quella di aumentare la sensibilità periferica all’insulina; i farmaci utilizzati sono il Rosiglitazone ed il Pioglitazone. Sono farmaci che incrementano la sensibilità periferica all’insulina agendo sul tessuto muscolare, adiposo ed epatico (con minor produzione di glucosio e maggiore immagazzinamento); sono agonisti sintetici dei PPARγ (Peroxisome Proliferator-Activated Receptor, subtype γ) e sembra che tale legame porti ad un maggiore utilizzo del glucosio circolante, anche se il preciso meccanismo con cui tutto questo avviene non è ancora stato compreso. Svolgono anche un ruolo sulla preservazione delle ß-cells pancreatiche nella produzione di insulina; l’uso di questi farmaci, difatti, si è dimostrato efficace nell’incrementare la produzione di insulina da parte delle ß-cells.
In monoterapia il loro utilizzo in monoterapia si è dimostrato efficace nel ridurre al glicemia basale (3.6 mmol/l) ed i valori di emoglobina glicata (1.6%), con piccoli incrementi plasmatici di HDL e LDL. Gli effetti in monoterapia sembrano pertanto sovrapponibili a quelli della Metformina, ma non vengono utilizzati come farmaci di prima linea per i costi maggiori e la presenza di maggiori effetti collaterali. Numerosi studi hanno dimostrato un’efficacia dei farmaci nel controllare numerosi fattori di rischio cardiovascolare, fra cui la dislipidemia, i markers infiammatori, la proliferazione delle cellule muscolari lisce, la funzione endoteliale, ecc… ma nessuno studio ha ancora dimostrato un’efficace riduzione del numero di eventi cardiovascolari e/o sulla sopravvivenza globale. In pluriterapia, generalmente in aggiunta alla terapia già precedentemente impostata per il paziente, porta ad un potenziamento degli effetti farmacologici in maniera sinergica. Vengono pertanto utilizzati come farmaci di seconda/terza linea, in aggiunta alle terapie precedenti.
Gli effetti collaterali di tutti i tiazolidinedioni comportano un incremento ponderale, sia per la proliferazione di nuovi adipociti che per ritenzione di fluidi; può esserci la presenza di edemi periferici, maggiormente in pazienti con disfunzioni ventricolari, dando luogo più facilmente a quadri di scompenso cardiaco. Nuovi studi hanno dimostrato una riduzione della densità ossea e un incremento del rischio di fratture nelle donne, probabilmente perché il legame con PPAR favorisce la differenziazione di precursori mesenchimali verso gli adipociti rispetto che gli osteoblasti, con conseguente riduzione di deposito di nuova matrice ossea. Alcuni studi hanno dimostrato una epatotossicità (attualmente attorno allo 0.3%), fenomeno che ha portato al ritiro dal commercio di alcuni precursori dei farmaci attuali; sono stati descritti anche casi di edema maculare, spesso in pazienti con edemi periferici. Il Rosiglitazone è stato anche associato a fenomeni di eczema cutaneo.
ACARBOSIO:
L’acarbosio è un blando ipoglicemizzante orale, che si è dimostrato in grado di ridurre l’assorbimento di glucosio; è un inibitore competitivo dell’alfa-amilasi pancreatica e della alfa-glucosidasi dell’orletto a spazzola intestinale, comportando una riduzione della digestione di zuccheri complessi e quindi dell’assorbimento di glucosio. E’ un farmaco che presenta una bassissima biodisponibilità, che viene metabolizzato dai batteri intestinali e dagli enzimi digestivi. Viene prevalentemente eliminato nelle feci, in parte nelle urine (con emivita di 1 ora). Per i vantaggi terapeutici è un farmaco che porta ad una riduzione dell’assorbimento di glucosio, con pochi effetti collaterali, non ha alcuna influenza sul peso corporeo e non porta ad ipoglicemie. E’ da tenere presente che è un farmaco con scarsa efficacia rispetto ad altri ipoglicemizzanti orali. Gli effetti collaterali sono relativamente rari, prevalentemente a carico del tubo gastro-enterico (nausea, diarrea, dolori addominali, flatulenza) e più raramente sono stati descritti casi di epatiti fulminanti. Viene pertanto controindicato nei pazienti epatopatici, nei pazienti con malattie infiammatorie intestinali e nei pazienti neuropatici.
SULFANILUREE:
Le sulfaniluree sono una classe di farmaci ipoglicemizzanti orali che si sono dimostrati in grado di stimolare la secrezione insulinica da parte delle ß-cells; generalmente non vengono utilizzati come farmaci di prima scelta, ma vengono progressivamente aggiunti in caso di scarso controllo glicemico. Sono farmaci che agiscono tramite recettori ATP-dipendenti dei canali del potassio posti sulle ß-cells pancreatiche che, una volta stimolati, favoriscono l’ingresso di calcio nella cellula, favorendo così la fusione di vescicole contenenti insulina; permettono così di avere in circolo maggiori concentrazioni di insulina. Hanno anche qualche ruolo sull’incremento della sensibilità periferica all’insulina, ma tale ruolo sembra marginale e secondario.
In merito al loro uso clinico le solfaniluree possono essere utilizzate in monoterapia e/o in pluriterapia con altri ipoglicemizzanti orali; il loro utilizzo comporta un abbassamento della glicemia basale del 20% ma non è ancora stata dimostrata una loro efficacia clinica in termini di outcome. Per gli effetti collaterali sono farmaci tendenzialmente ben tollerati, anche se le ipoglicemie sono fra gli effetti collaterali più frequenti, soprattutto perché tali farmaci inibiscono la produzione epatica di glucosio notturna, comportando fenomeni di ipoglicemia spesso silenti. Gli episodi di ipoglicemia possono essere più frequenti in determinate condizioni cliniche, fra cui dopo esercizio fisico e/o un pasto saltato, per dosi farmacologiche troppo elevate, in pazienti malnutriti e/o alcolisti, in pazienti con cardiopatia e/o nefropatia, in pazienti con uso concomitante di salicilati e/o altri ipoglicemizzanti orali. Alcuni studi hanno dimostrato un effetto peggiorativo sull’outcome di pazienti diabetici in stato post-infarto miocardico acuto, forse perché tali farmaci possono interagire con altri canali posti sui miocardiociti favorendo l’estensione dell’area necrotica.
TERAPIE DEL SISTEMA INCRETINICO:
Il diabete mellito è una condizione di endocrinopatia estremamente complessa, che vede nel suo determinismo patogenetico un ruolo importante del sistema glucosio, insulina e glucagone, che si estende inoltre a numerose altre sostanze, che prendono il nome di sistema incretinico. Lo studio di tale sistema ha permesso di approfondire alcuni importanti aspetti biologici del diabete mellito, permettendo di costruire nuovi farmaci che, agendo su tale sistema, sono in grado di migliorare il profilo glicemico e le complicanze a medio-lungo termine. E’ noto da tempo che la somministrazione di glucosio PO provoca effetti di stimolazione insulinica maggiori rispetto alla stessa somministrazione IV, e tale osservazione ha portato a coniare il nome di effetto incretinico, effetto che rende conto della secrezione di oltre il 70% della secrezione totale di insulina in risposta alle dosi orali di glucosio. Il ruolo principale in tale sistema è giocato da due ormoni a partenza intestinale, quale il GIP (Gastric Inhibitory Polypeptide) ed il GLP1 (Glucagon-Like Peptide-1).
GASTRIC INHIBITHORY POLYPEPTIDE:
Il GIP è un ormone di 42 aminoacidi secreto dalle cellule di Küppfer intestinali (prevalentemente nel tenue prossimale) in risposta alle somministrazioni orali di glucosio e/o lipidi. E’ in grado di potenziare la secrezione di insulina in risposta al glucosio, e viene inattivato rapidamente (ha un’emivita di 5-7 minuti) mediante DPP4 (dipeptidyl peptidase-4). L’azione del GIP si esplica tramite delle G-protein localizzate prevalentemente sulle ß-cells pancreatiche, stimolando una maggiore sensibilizzazione cellulare alla presenza del glucosio.
L’effetto principale è un potenziamento della sensibilità delle ß-cells al glucosio circolante, ma gioca un ruolo fondamentale anche nel controllare il metabolismo lipidico negli adipociti e, sotto certe condizioni, aumentare la sopravvivenza delle ß-cells pancreatiche. Sono stati riscontrati anche effetti sul sistema nervoso centrale, sul tessuto adiposo e sull’osso, ma gli effetti non sono ancora stati chiariti. Data la sua relazione ed i suoi effetti su sistemi strettamente implicati con la patogenesi del diabete, il GIP è un sistema ormonale in fase di studio per lo sviluppo di nuovi farmaci. Purtroppo si sa che nei pazienti diabetici si ha una minore sensibilità cellulare al GIP, probabilmente per una down-regulation del recettori posti sulle ß-cells; in questi pazienti le concentrazioni plasmatiche di GIP sono nei limiti di norma (eventualmente in eccesso), ma è la sensibilità cellulare che viene a mancare. Attualmente il GIP viene quindi studiato dal punto di vista biologico, senza interessi per lo sviluppo di nuovi molecole ad azione farmacologica.
GLUCAGON-LIKE PEPTIDE:
Il GLP è un ormone intestinale secreto dalle L-cells che si localizzano soprattutto nel digiuno distale, nell’ileo e nel colon; partendo dal gene del proglucagone, si producono diverse molecole, di cui il GLP1 è la forma più rappresentativa e biologicamente più importante. La sua azione si esplica prevalentemente grazie ad opportuni recettori cellulari posizionati sulle ß-cells pancreatiche (e non solo). Le sue concentrazioni plasmatiche aumentano dopo pochi minuti dalla ingestione di glucosio, il che significa che esistono molecole solubili nel circolo ematico in grado di stimolare le L-cells; presenta una breve emivita (inferiore ai 2 minuti) e viene degradato da DPP4.
In merito agli effetti, il GLP1 svolge azioni fondamentali nella secrezione di insulina e nell’adeguato controllo del metabolismo glucidico post-prandiale ed a digiuno, ma sembra avere una azione sinergica quando agisce con il GIP. Questo sembra essere spiegabile perché il GLP1 svolge un ruolo importante nell’attivare la sintesi di insulina e l’esocitosi cellulare, mentre il GIP ha un ruolo importante nel secernere insulina da parte dei granuli cellulari esistenti. Per la secrezione il GLP1 è in grado di modulare la secrezione insulinica in maniera glucosio-dipendente; gli effetti maggiori si hanno se viene somministrata poco prima della somministrazione di glucosio, perché permette di evitare iperglicemie eccessive, senza avere nella seconda fase periodi di ipoglicemie. Sulle cellule alfa si è dimostrato in grado di inibire il rilascio di glucagone sia sulla popolazione sana che sulla popolazione con diabete mellito, anche se in caso di ipoglicemia non svolge alcuna azione peggiorativa. Per lo storage il GLP1 è in grado di favorire l’immagazzinamento di insulina mediante l’azione sulla trascrizione genica e la biosintesi si insulina da parte delle ß-cells pancreatiche. Sempre il GLP1 in vitro si è dimostrato anche in grado di favorire la differenziazione di progenitori cellulari in cellule endocrine secernenti insulina e glucagone. In merito allo svuotamento gastrico il GLP1 si è dimostrato in grado di rallentare il normale svuotamento gastrico in maniera dose-dipendente, ed in caso di diabete mellito una riduzione nell’intake acuto di sostanze si è dimostrato avere un’azione benefica per la riduzione di stati di iperglicemia. Inoltre, la persistenza di uno stomaco pieno, aumenta i tempi di sensazione di sazietà, riducendo le necessità di cibo. Sono stati eseguiti numerosi altri studi che descrivono effetti benefici potenziali da parte di GLP1 sul sistema cardiovascolare (sul danno da ischemia e riperfusione, sulla contrattilità miocardica, ecc…), sul sistema nervoso centrale (azione anti-apoptotica sui neuroni cellulari), sui reni (azione natriuretica), sul sistema endocrino (modulazione dell’asse ipotalamo-ipofisario), ma gli effetti clinici reali sono ancora da dimostrare.
Il sistema incretinico, in particolare GLP1 è un sistema estremamente attrattivo per il potenziale sviluppo di nuove terapie farmacologiche; attualmente si sta cercando di avere un potenziamento (o sovrautilizzo) di GLP1 in grado di restaurare i livelli glicemici ed insulinici come nei pazienti sani. Nuovi studi eseguiti negli ultimi anni hanno dimostrato che terapie con GLP1 eseguite per 6 settimane in pazienti diabetici si sono dimostrati in grado di ridurre i livelli di glicemia basale e ad 8 ore post-prandiale, migliorare il controllo glicemico a breve termine e ridurre i valori di emoglobina glicata.
Il GLP1 ricombinante è un farmaco ricombinante che è stato sintetizzato inizialmente per gli studi sulla biologia della molecola e per comprendere le iniziali applicazioni cliniche da poter ottenere con il farmaco. Data la breve emivita, deve essere somministrato IV/SC in infusione continua. Gli inibitori della DPP4 sono la Sitagliptina e la Vildagliptina, che si sono dimostrate efficaci nell’inibire l’azione della DPP4 sugli ormoni incretinici; a livello clinico si sono dimostrati in grado di aumentare i livelli plasmatici di GLP1 di 2 volte, pur mantenendo il normale profilo circadiano. Anche se ad oggi con l’utilizzo di tale farmaco non si sono riscontrati effetti collaterali significativi, è intuitivo che tale farmaco, inibendo anche la degradazione di altri sistemi ormonali (comprese citochine, neuropeptidi, ecc…) possa avere interazioni fisiologiche estremamente complesse.
Gli agonisti del GLP1 sono farmaci di recente scoperta che vengono generalmente somministrati a dosi elevate, al fine di ottenere una importante stimolazione dei recettori GLP1 e delle ß-cells. La loro sola somministrazione si è dimostrata in grado di ridurre il peso corporeo di circa 1.14%, pari a 3.1 Kg. L’exenatide è il farmaco agonista attualmente utilizzato; si compone di 39 aminoacidi, e presenta un 53% di omologia con il GLP1 nativo, pur essendo resistente alla DPP4. Viene somministrata bid SC nei 60 minuti precedenti al pasto, l’eliminazione avviene a livello renale (per cui è controindicata nei pazienti con insufficienza renale cronica terminale). Il farmaco è attualmente approvato dalla FDA e viene utilizzato in aggiunta agli antidiabetici orali qualora si dimostrino inefficaci nel controllo glicemico. La Liraglutide è un farmaco analogo alla Exenatide, ma presenta il vantaggio di una sola somministrazione giornaliera, con effetti analoghi al precedente.
Gli effetti collaterali dell'Exenatide sono soprattutto nausea che si riscontra soprattutto ad alte dosi (attorno a 10 µg bid SC nel 51% dei pazienti) e compare soprattutto durante i primi giorni di terapia. In merito alle pancreatiti, studi iniziali parlavano di un tasso maggiore di pancreatiti con l’uso di Exenatide; studi più approfonditi non hanno confermato tale analisi, tenendo conto che nei pazienti affetti da diabete mellito il tasso di pancreatiti è superiore di circa 3 volte rispetto alla popolazione sana.
EFFETTI SISTEMICI:
Dopo la scoperta del sistema incretinico e lo sviluppo di due nuove classi farmacologiche, sono stati eseguiti ulteriori studi in grado di analizzare gli effetti sistemici diretti provocati da tali farmaci (senza contare ulteriori effetti benefici legati al miglioramento del controllo glicemico).
- Effetti pancreatici: tutti i farmaci hanno dimostrato un potenziamento della attività anti-apoptotica sulle ß-cells pancreatiche, riducendo notevolmente il tasso di apoptosi di queste cellule e potenziando la loro attività di sintesi e secrezione insulinica, anche per effetto dell’incremento di sensibilità cellulare alla glicemia; tutti gli effetti sembrano essere farmaco-dipendenti, dato che alla sospensione del farmaco si perde tale effetto protettivo (o forse gli studi eseguiti erano troppo brevi per poter permettere alle ß-cells di stabilizzarsi).
- Effetti gastrici: l’utilizzo di tutti questi farmaci si è dimostrato in grado di rallentare lo svuotamento gastrico in maniera significativa, incrementando il senso di sazietà post-prandiale (in alcuni casi con l’Exenatide si è riscontrata nausea, che generalmente a medio termine va incontro a scomparsa).
- Effetti cardiovascolari: studi istologici hanno dimostrato la presenza di recettori per GLP1 anche sui cardiomiociti, per cui è stato ipotizzato qualche ruolo potenziale del sistema incretinico su tali cellule. Pazienti diabetici con scompenso cardiaco avanzato da sottoporre a CABG sottoposti ad infusione continua di GLP1 hanno dimostrato un significativo miglioramento del Wall-Motion-Index regionale, della funzione sistolica globale e ad una riduzione della mortalità ospedaliera (con miglioramento della qualità della vita percepita dal paziente). Altri studi hanno dimostrato un’efficacia anche sulla funzione endoteliale (ma non sulla resistenza insulinica periferica), sull’abbassamento della pressione arteriosa ed un miglioramento del profilo lipidico, anche se tali effetti sono minimi, seppure statisticamente significativi.
- Effetti neurologici: studi istologici hanno dimostrato la presenza di recettori per GLP1 a livello neuronale cerebrale, sia nell’ipotalamo che in diversi neuroni lungo tutto il sistema nervoso centrale, per cui il GLP1 può anche venire considerato come un neuropeptide; i suoi ruoli sono parecchi, soprattutto a livello neuroprotettivo e neurotrofico (dimostrato su animali con Parkinson), migliora l’equilibrio glicemico cerebrale ed in parte regola il sistema nervoso autonomo (a livello pressorio, di svuotamento gastrico e sazietà).
- Effetti ossei: studi molto recenti hanno riscontrato che modelli animali knock-out per GLP1-r presentano alte concentrazioni di deossipiridoline urinarie che sono un markers di riassorbimento osseo, dando idea all’ipotesi che il sistema incretinico svolga un ruolo importante anche nella prevenzione dell’osteoporosi. Devono ancora essere sviluppati studi clinici in tal senso.
Ancora ad oggi la terapia del diabete mellito tipo 2 è una terapia multisteps in cui si prosegue lungo la scala in maniera progressiva, qualora la terapia precedentemente impostata non raggiunge il corretto controllo glicemico. Dopo la scoperta e gli studi sul sistema incretinico, la fisiopatologia ed il trattamento del diabete mellito devono tenere conto di tre problemi: deficit relativo di insulina (solfanilurea), insulino-resistenza (tiazolindinedioni) e deficit di incretina (inibitori di DPP4 e analoghi del GLP1). Tale sistema utilizza come terapia di prima linea la classica terapia comprendente modificazioni dello stile di vita (dieta, esercizio fisico, supporto psicologico), eventualmente associato ad una terapia farmacologica di prima linea (metformina). Nel caso tale terapia non si dimostri sufficiente, è fondamentale introdurre un’ulteriore terapia farmacologica che tenga conto delle basi fisiopatologiche della malattia.
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