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Fisiologia e fisiopatologia del diabete mellito (Capitolo 4.5.1)



In questa sezione andremo a trattare del diabete mellito; chiaramente la patologia é estremamente vasta, specialistica, dotata di numerose variabili e sarebbe impossibile trattarla in maniera completa in poche pagine. In questo capitolo ci concentreremo principalmente sui meccanismi fisiopatologici della regolazione del glucosio, per poi addentrarci di quelle che possono essere le conseguenze cliniche della iper/ipoglicemia in ICU. Il pancreas è un organo retroperitoneale privo di capsula, disposto trasversalmente a livello delle prime vertebre lombari. Il secreto pancreatico che produce è di circa da 1 a 4 litri al giorno, con un pH pari a 8, formato da una componente idroelettrolitica (sovrasatura di carbonato di calcio - CaCO3) ed enzimi, stimolati da parte della CCK-somatostatina (in risposta alla dieta).



Le funzioni principali sono due: una funzione endocrina é riferibile alle isole di Langherans disposte nel tessuto (soprattutto nella coda e nel corpo) producono insulina (B-cells), glucagone (a-cells), SST (δ-cells) ed il polipeptide pancreatico (PP-cells). Si ha una stretta interazione con le strutture vascolari e le strutture esocrine circostanti (il cosiddetto asse insulo-acinare). L’altra funzione é una funzione esocrina tramite strutture ghiandolari producenti enzimi e secreto pancreatico. L’acino è l’unita funzionale; l’assieme degli acidi determina i lobuli, che si riconoscono strutturalmente perché delimitati da tessuto connettivo vascolarizzato. Le cellule acinari sono cellule cubiche, piramidali, con l’apice rivolto verso il lume, che vengono drenate da un duttulo e producono enzimi (sono dotate di  microvilli), mentre le cellule centroacinari sono cellule piatte (simil-duttali), che rivestono il dotto escretore e producono il muco secretorio.





SECREZIONE: 
Il duttulo prossimale secerne muco, bicarbonato, carbonato di calcio e diverse proteine (come la Litostatina che inibisce la crescita di cristalli di calcio); la secrezione idroelettrolitica é regolata da alcune pompe e trasportatori (anche da parte del gene CFTR, che controlla l’alcalinizzazione del secreto). L’acino pancreatico favorisce la secrezione enzimatica: attraverso la via esocitica si ha l’immagazzianemtno dei granuli di zimogeno a livello del polo apicale; gli zimogeni vengono a loro volta attivati nel lume duodenale mediante enterochinasi presenti sull’orletto a spazzola. Gli enzimi presenti sono enzimi proteolitici come endopeptidasi (tripsinogeni, chimotripsinogeno, pro-elastasi, pro-callicreina, ecc…) ed esopeptidasi (procarbossipeptidasi), enzimi lipolitici come le lipasi (che rappresenta il 10% degli enzimi pancreatici) ed altri enzimi come le amilasi (che rappresenta il 10% degli enzimi pancreatici), ecc…

Per quello che concerne il controllo della secrezione, il succo pancreatico viene continuamente secreto, con dei picchi post-prandiali; si osserva pertanto una secrezione basale (presente nelle fasi interdigestive) che svolge un’azione minima ed una secrezione digestiva con un’azione massima, permettendo una ulteriore digestione delle diverse sostanze assunte con il cibo, tramite un’alcalinizzazione del pH che arriva a 6.8-7 (per il corretto funzionamento degli enzimi locali). La secrezione cefalica è la secrezione controllata da uno stimolo neurologico centrale (come il gusto, l’olfatto, il pensiero, ecc…), la secrezione gastrica é una secrezione pancreatica controllata dallo stomaco; l’azione della distensione gastrica è mediata dal Nervo Vago, e la secrezione intestinale é la secrezione pancreatica controllata dall’intestino: la CCK e la Secretina sono prodotte dalle cellule neuroendocrine della mucosa duodenale e vengono rilasciate nel sangue quando il chimo gastrico raggiunge il duodeno. La CCK é stimolata dalla presenza di lipidi/proteine e favorisce la secrezione degli enzimi, mentre la secretina é stimolata da un pH duodenale inferiore a 4.5, permettendo di scambiare il cloro con ioni bicarbonato.

Chiaramente esistono dei meccanismi locali che sono necessari per evitare un’autodigestione pancreatica da parte dei diversi enzimi; il pancreas (e tutto l’organismo) sono quindi dotati di diversi meccanismi protettivi: innanzitutto gli zimogeni sono proenzimi inattivi, attivati dall’enterochinasi intestinale, pertanto a livello intra-cellulare non sono attivi. Inoltre si ha una compartimentalizzazione, con un immagazzianemtno differenziale intracellulare degli zimogeni, tale da impedire la miscelazione degli enzimi proteolitici (perossidasi, liasi, ecc…) che potrebbero attivarsi. Infine si hanno degli inibitori sia ad azione locale pancreatica (come il Trypsin-Secretory-Inhibitor, ecc…) che sistemica (come l’α-AT1 o l’a2-microglobulina).






BIOCHIMICA CLINICA PANCREATICA:
Tramite le opportune analisi di laboratorio é possibile studiare il pancreas sia come organo endocrino che esocrino; molti test di funzionalità pancreatica vengono inquadrati nell’ambito della maldigestione come l’elastasi fecale, la chimotripsina, ecc… (si veda il Capitolo 4.6 a tal proposito).

AMILASI PANCREATICA:
Dal punto di vista fisiologico l’amilasi pancreatica è un enzima riversato al 99% nel duodeno, al 1% nel circolo ematico, presentando un’emivita di 9.3-17.7 ore (avendo una così breve emivita, l’analisi impedisce di comprendere se ci sono state patologie pancreatiche precedentemente, ma può essere utilizzato come test di fase acuta). Le concentrazioni plasmatiche dipendono dalla funzione renale, dato che la clearance avviene con il filtrato glomerulare (e 50% riassorbito nel tubulo). È da ricordare che esistono isoenzimi pancreatico/salivare, al 50%-50%, con una omologia del 97%; la misurazione dell’amilasi pancreatica pertanto si effettua dopo la somministrazione di anticorpi monoclonali diretti contro l’amilasi salivare.

I valori normali per le amilasi totali sono attorno a 28-100 U/l, mentre per l’amilasi pancreatica sono 13-53 U/l; nei neonati non si misura l’enzima, dato che compare dopo 1-2 mesi di vita, raggiungendo i valori adulti dopo i 5 anni d’età. L’enzima è una endoamilasi, dato che permette la digestione dei polisaccaridi (amido, glicogeno, ecc…) idrolizzando i legami 1a4-glicosilico (con il punto di cleavage fra il glucosio numero 2 e numero 3 di un polimero composto almeno da 5 subunità). Il metodo di determinazione più utilizzato (con il Paranitroenolo) è molto complesso, utilizzando numerosi  enzimi; dal punto di vista clinico questo significa che può esserci una grande variabilità nei valori normali. Il metodo naturale è il primo metodo utilizzato dal 1850 (che rimane estremamente generico ed specifico, dato che l’amido non è una molecola a grandezza standardizzata), che misura mediante torbidimetria le modificazioni nella viscosità, nel viraggio, ecc… di un liquido ricco di amido, misurando il glucosio formatosi. Con il metodo sintetico si utilizza l’amido con aggiunta di coloranti, somministrando polimeri di glucosio (composto da 3-7 catene), legate al paranitrofenolo; in questo test le modificazioni di colore riflettono le concentrazioni dell’enzima.

In caso di iperamilasemia acuta si deve pensare a cause pancreatiche fra cui pancreatite acuta (la più frequente), un’acutizzazione di una pancreatite cronica, un trauma pancreatico, la presenza di pseudocisti pancreatiche, un carcinoma pancreatico e/o l’ostruzione della papilla del Vater. Cause extrapancreatiche sono da ricondursi ad un danno delle vie biliari, ulcera peptica, ostruzione intestinale, gravidanza ectopica e/o parotite. In caso di iperamilasiemia cronica le cause sono differenti e sono da ricercarsi in: insufficienza renale cronica, abuso di alcol etilico (che provoca un incremento dell’amilasi salivare), epatopatia avanzata, neoplasie maligne (con produzione ectopica) oppure macroamilasemia, intesa come complessi amilasi-IgA, che non vengono adeguatamente filtrati ed aumentano nel plasma (la malattia ha una prevalenza dello 0.1% nella popolazione sana, 2% nella popolazione ospedalizzata). Bisogna comunque ricordarsi che un aumento dei valori ematici superiore a 3-5 volte i valori standard portano ad una ridotta sensibilità diagnostica, ma ad un aumento di specificità nella diagnosi di una pancreatite acuta. Nelle forme acute inoltre, l’amilasi aumenta dopo 5-8 ore dall’esordio dei sintomi, con un picco a 12-72 ore, tornando nella norma entro 3-4 giorni.

LIPASI PANCREATICA:
La lipasi pancreatica presenta delle concentrazioni nel secreto duodenale di circa 500-800 volte rispetto alle concentrazioni plasmatiche; in circolo possiede una breve emivita (attorno alle 6.9-13.7 ore) e viene totalmente filtrato dal glomerulo renale, per poi essere riassorbito al 100% nel tubulo, finendo poi per essere degradato. Non si misura pertanto nelle urine. In caso di pancreatite, la rilevazione della lipasi pancreatica aumenta la specificità della diagnosi, dato che la sola amilasi può avere falsi positivi/negativi. 

Per quello che concerne il suo funzionamento, la lipasi è un enzima che usa una co-lipasi e gli acidi biliari per posizionarsi sulla micella (lavorando all’interfaccia fra la soluzione e la micella), trasformando i TAG (Tri-Acil-Gliceroli) in DAG (Di-Acil-Gliceroli) con la formazione di due Free-Fatty-Acid (FFA). Per il metodo di determinazione viene utilizzato in una emulsione lattescente con diversi substrati che ricreano l’interfaccia soluzione/micella. Esistono diversi metodi: i metodi tri-trimetrici (pH-stat) utilizzano un pHmetro durante la reazione che vede le modificazioni di pH e favorisce il rilascio di NaOH per tamponare la soluzione. Si valuta poi la velocità di rilascio di NaOH per misurare l’attività dell’enzima. Esistono anche metodi torbidimetrici/nefelometrici e metodi colorimetrici, quest’ultimi che permettono di valutare il numero di FFA liberati (mediante substrati artificiali anfipatici). Si deve porre attenzione alla presenza di falsi positivi per la presenza di Esterasi.


FISIOLOGIA INSULINICA:
L’insulina è un ormone polipeptidico di 5 kDa, secreto dalle β-cells pancreatiche il cui gene  è codificato dal cromosoma 11p. Per quello che concerne la biosintesi esistono una serie di step maturativi (si parte dalla pre-pro-insulina, per passare alla pro-insulina e terminare all’insulina) che avvengono nel reticolo endoplasmico e nell’apparato del Golgi, per poi immagazzinare la pro-insulina/insulina nei granuli secretori. Nei granuli esistono forme esameriche precipitate con Zinco e le sostanze precipitate si tolgono dall’equilibrio, permettendo un maggior accumulo di ormone; fra gli enzimi si hanno la pro-hormone convertase 2, la pro-hormone convertase 3 e la C-peptidase. La forma finale è una molecola composta da una catena A e B, legate da due ponti disolfuro e la molecola residua del cleavage è il peptide C (dotato di maggior emivita ed ottimo come marker secretivo.

Per quello che concerne la secrezione, esistono due vie secretive: una via costitutiva che secerne insulina/pro-insulina costitutivamente ed è esaltata notevolmente in caso di insulinomi/pro-insulinomi o in alcuni casi di diabete mellito di tipo 2, oppure una via secretiva indotta da diverse sostanze, fra cui il glucosio, L-Arg, L-Lys, L-Hys, GIP, la colecistochinina, il Gorwth Hormone (GH), il cortisolo ed il  PTH.

Il glucosio entra nelle β-cells tramite un trasportatore denominato GLUT-2 e mediante la glucochinasi si produce ATP; l’aumento di ATP provoca la chiusura dei canali del potassio ATP-dipendenti e questo porta a depolarizzazione cellulare , con apertura dei canali del calcio e secrezione delle vescicole. Anche gli amminoacidi (che sono fattori che stimolano il rilascio di insulina) hanno transporter cellulari dedicati, ed il loro ingresso porta cariche positive all’interno della cellula, con conseguente depolarizzazione cellulare e secrezione vescicolare. L’effetto del glucosio o degli amminoacidi dopo un pasto medio è di circa 2 ore, successivamente ai quali si ha una normalizzazione dei livelli di glicemia. Gli stimolatori principali della secrezione sono il glucosio, gli amminoacidi, il GIP, la colecistochinina, il GH, il cortisolo, la gravidanza, l’obesità ed il PTH. Gli inibitori della secrezione sono invece l’iperglicemia, il digiuno/malnutrizione, la β-amiloide intrainsulare ed il deficit di vitamina D. Esistono inoltre altri tipi di controllo; c’è un feedback insulare che avviene fra le β-cells, le α-cells e le δ-cells: le β-cells inibiscono le altre due tipologie di cellule (così come le δ-cells), mentre le α-cells stimolano l’attività delle altre due tipologie di cellule. Dal sistema nervoso centrale (soprattutto dall’ipotalamo) ci sono inoltre fibre nervose che controllano la secrezione insulinica: i Nuclei Laterali proiettano al Nucleo Motore del Vago, da cui partono fibre efferenti parasimpatiche (rilascianti acetilcolina): i Nuclei Centrali proiettano al Nucleo Motore del Vago, da cui partono fibre simpatiche (rilascianti noradrenalina e adrenalina).

Per quello che concerne l’azione enzimatica, una volta rilasciata in circolo, il 50% dell’insulina è rimossa e metabolizzata dal fegato, mentre il resto si dispone in periferia (soprattutto nei muscoli e tessuto adiposo) per svolgere le proprie azioni. Il recettore insulinico é un recettore dimerico, dove ogni monomero possiede una catena α-β transmembrana, legato da ponti disolfuro fra le due catene α; possiede attività Tyr-chinasica, ed è sottoposto a down-regulation in caso di eccessiva esposizione di insulina. Se mutato geneticamente può portare più facilmente allo sviluppo di resistenza insulinica. 

Gli effetti dell’insulina in generale sono tessuto-specifici e possono essere mitogeno, di favorire la sintesi proteica, di favorire la glicogenosintesi e di trasportare il glucosio la PI3-chinasi favorisce la fusione di vescicole contenenti il recettore GLUT4 sulla superficie esterna della cellula, permettendo l’ingresso di glucosio nella cellula stessa. Il legame con l’insulina va incontro a saturazione per cui l’aumento delle concentrazioni plasmatiche di insulina comporta una minore affinità recettoriale (per un meccanismo che al momento é sconosciuto), forse per fenomeni di cooperazione negativa.




DIABETE MELLITO:
Il diabete mellito rappresenta uno spettro di malattie metaboliche caratterizzate da iperglicemia e secondarie ad un deficit di secrezione e/o di azione periferica dell’insulina. La glicemia è mantenuta stabile con oscillazioni limitate mediante uno stretto controllo insulinico (l’insulina presenta un’emivita di 5-6 minuti). Il profilo glicemico è pertanto differente dal profilo insulinico, cosa che rende pertanto difficile la terapia. Dal punto di vista epidemiologico nel 1997 si aveva una prevalenza di malattia nel 2.1% della popolazione mondiale (con oltre 124 milioni di pazienti) ed un’incidenza di 200.000 nuovi casi annui nei soli Stati Uniti, in particolare nella popolazione femminile. Il 97% dei diabetici risulta affetto dalla forma di tipo 2, mentre il tipo 1 presenta una prevalenza dello 0,1-0,2% nella popolazione occidentale.

CLASSIFICAZIONE:
Esistono diversi criteri per la classificazione del diabete che, come detto, é uno spettro di malattie piuttosto che una sola malattia. Le forme primitive si verificano indipendentemente da altre patologie e sono principalmente il diabete di tipo 1 (detto anche giovanile, solitamente a patogenesi autoimmune) ed il tipo 2 (detto anche dell’età avanzata). Le forme secondarie possono essere su base gestazionale, ma generalmente esiste una predisposizione dato che la gravidanza (con l’aumento di estrogeni e di steroidi) porta ad maggiori richieste di insulina, con rischio di comparsa del diabete che nei 3/4 dei casi è transitorio ed in 1/4 dei casi persiste. Altre forme secondarie possono essere patologie endocrine (come il Cushing, l’acromegalia, ecc…), l’uso di farmaci (come i tiazidici ed i glucocorticoidi, ecc…), ecc…

EZIOPATOGENESI:
Il diabete di tipo 1 si caratterizza per un deficit assoluto di insulina, legato ad un’autoimmunità verso le β-cells; l’eziologia è sconosciuta, ma si riscontra un infiltrato linfocitario di cellule T che portano ad insulite linfocitaria e conseguente distruzione selettiva delle β-cells. Sicuramente si ha una suscettibilità genetica dato il riscontro di loci di suscettibilità, sia di tipo HLA (sul cromosoma 6p21) nel 40% dei casi, sia nel gene INS nel 10% dei casi. La malattia ha mostrato un forte linkage disaequilibrium con l’HLA di classe I, dove l’HLA DR3-DR4 aumentano il rischio di malattia fino a  4-5 volte la norma), l’HLA DQ correla più strettamente e l’HLA DR2 sembra esercitare un ruolo protettivo nei confronti del diabete mellito. Anche l’ambiente gioca un ruolo importante, ptendo spiegare sia la differente incidenza regionale che l’aumento dell’incidenza della malattia (3-4% annuo). Non è chiaro il contributo di virus (forse Coxsackie B), del cibo (proteine alimentari, latte vaccino, Ag cereali) e/o della deviazione immune. Gli auto-anticorpi non sono effettori patogenetici, ma markers importanti di malattia: hanno una differente prevalenza all’esordio della malattia: gli anticorpi ICA predicono l’insorgenza della patologia, mentre l’aumentata prevalenza dei diversi tipi di anticorpi correla con un maggior rischio di sviluppare il diabete. Studi prospettici hanno dimostrato come gli auto-anticorpi compaiano molto precocemente (attorno ai 2-3 anni di vita) e sembrano correlare con la precoce assunzione di glutine (prima dei 3 mesi di vita).

Il diabete di  tipo 2 presenta un’eziologia ignota; sicuramente si ha una base genetica data la concordanza gemellare nel 100% dei casi, anche se non sono chiari i geni implicati. La insulino-resistenza è il tratto fisiopatologico comune a diverse patologie, i cui fattori di rischio sono il soprappeso e la sedentarietà, l’età, l’ipertensione arteriosa e le dislipidemie. Tale associazione di malattie, che prende il nome di sindrome metabolica, comporta una ridotta azione biologica dell’insulina eventualmente associato ad un difetto secretivo, con un deficit relativo di insulina. Esiste pertanto una predisposizione (sia genetica che acquisita) con associata una maggior resistenza insulinica, che genera un conseguente aumento della secrezione insulinica (peggiorando a circolo vizioso la resistenza insulinica). Nel tempo le concentrazioni plasmatiche di insulina vanno incontro a diminuzione per esaurimento delle β-cells.

CLINICA:
Il diabete di tipo 1 generalmente é asintomatico ed appare come reperto occasionale o a volte si mostra paucisintomatico con poliuria, polidpsia, dimagramento, candidosi genitale (legata all’aumento delle concentrazioni urinarie di glucosio). Alcune volte invece si manifesta in forma acuta (solitamente prima dei 20 anni, soprattutto durante la pubertà) con poliuria importante, polidpsia e dimagramento: in questi casi bisogna intervenire rapidamente per evitare l’insorgenza di complicanze acute (vedi oltre). Il diabete di tipo 2 decorre come asintomatico molto frequentemente e spesso appare come reperto occasionale durante l’esecuzione di esami di laboratorio. I pazienti sono spesso asintomatici perché il fenomeno iperglicemico si sviluppa in maniera lenta e graduale e solo tardivamente si ha la comparsa dei sintomi, sempre con poliuria, polidpsia riflessa ed eventuali complicanze acute/croniche (vedi oltre).

Data il gruppo eterogeneo di malattie, di cause e di meccanismi fissopatologici la diagnosi si basa sul mancato controllo glicemico; la glicemia normale a digiuno è compresa fra 80-110 mg/dl (3.3 - 6 mmol/l). Si parla di diabete mellito quando si hanno a digiuno valori superiori a 120 mg/dl (12 mmol/l) oppure si utilizzano test di stimolo per dimostrare che all’assunzione di zucchero il corpo non é in grado di ripristinare rapidamente i valori normali di glicemia.


COMPLICANZE:
Le complicanze del diabete possono essere acute o croniche; delle forme acute come la chetoacidosi diabetica ed il coma iperosmolare ne parleremo dettagliatamente nel prossimo capitolo (Capitolo 4.5.2), mentre per le complicanze croniche il rischio di insorgenza correla con la durata dell’iperglicemia (generalmente dopo i 20 anni di malattia); il controllo glicemico riduce le complicanze, anche se si ha una suscettibilità genetica (loci ignoti) dato che a parità di glicemia solamente alcuni pazienti sviluppano le complicanze. La causa patogenetica é da ricercare negli AGE (Advanced Glicosilation End-products) che sono reazioni non enzimatiche che avvengono sulle proteine cellulari, che aumentano con l’iperglicemia, provocando cross-linking del collagene e della matrice extracellulare. Le alterazioni cliniche che si hanno sono pertanto direttamente correlate alle concentrazioni di AGE e sono un aumento dell’aterosclerosi, un aumento delle glomerulopatie, la riduzione di produzione di NO (ossido nitrico), la disfunzione endoteliale ed un’alterata matrice extracellulare.

La macroangiopatia che si sviluppa (rapida e precoce) favorisce lo sviluppo di aterosclerosi più velocemente/intensamente rispetto alla popolazione sana: si ha un aumento delle LDL-glicate, attivazione degli scavenger, con un loro maggiore accumulo sub-endoteliale, che rende tale processo irreversibile. Si ha un aumentato rischio cardiovascolare e cerebrovascolare, dato che epidemiologicamente la presenza di diabete mellito di tipo 2 equivale ad aver già avuto precedenti infarti. La microangiopatia è dovuta ad un’alterazione dei capillari, con conseguenze a carico del rene, dell’occhio e dei nervi. Si ha inspessimento della membrana basale, maggior permeabilità capillare, ipertrofia delle cellule capillari, aumento dei microvilli endoteliali. A questo fa seguito un’alterazione proteica con aumento della via metabolica mitocondriale, aumento delle proteine dello stress ossidativo ed aumento delle Hsp (Heat-Shock Protein). 

Fanno parte della microangiopatia la neuropatia/nefropatia/oftalmopatia diabetica. La retinopatia diabetica é la causa principale di cecità acquisita; comportando un rischio di cecità di 25 volte rispetto alla norma. La retinopatia può essere semplice, per aumento della permeabilità capillare, alterazioni microvascolari e microaneurismi sacciformi che provocano essudati duri con emorragie intraretiniche (puntiformi/a fiamma) oppure proliferativa a partire da forme di retinopatia semplice entro 5 anni (anche se non in tutti i pazienti): si hanno delle neoformazioni vascolare con fragilità vascolare, che provoca ischemia locale (instaurando un circolo vizioso). Può portare ad emorragie dell’umor vitreo e/o distacco retinico. La terapia si basa sulla prevenzione e sulla fotocoagulazione laser. La neuropatia diabetica occorre nel 50% dei pazienti con diabete mellito di lunga durata, forse legata all’iperglicosilazione e riduzione del mannitolo intracellulare, cui può associarsi un forte edema. Si hanno deficit della sensibilità sia soggettiva (con parestesie e dolori) che oggettiva con alterazioni propriocettive e posturali); si possono avere anche alterazioni articolari con lo sviluppo di articolazioni di Charcot. Nelle situazioni più avanzati si hanno deficit del sistema nervoso autonomo (con tachicardia/bradicardia ed ipotensione ortostatica), del tubo gastroenterico con gastroparesi ed alterazioni della motilità e delle vie urinarie con impotenza e vescica neurologica. La nefropatia diabetica é la causa principale di insufficienza renale cronica e la causa principale di mortalità correlata alla malattia: si sviluppano alterazioni della microcircolazione (per aumento pressorio locale riconducibile alla iperfiltrazione glomeruale), alterazioni strutturali con aumento della matrice extracellulare, della membrana basale e della fibrosi ed aumento dei fattori solubili. Nella prima fase di malattia si ha microalbuminuria (attorno ai 30-300 mg die), che appare essere un predittore dell’evoluzione clinica a 10 anni, mentre nella seconda fase (terminale) si ha la comparsa di una vera e propria nefropatia (con proteinuria oltre 300 mg die), tipicamente nel giro di 5-10 anni dalla forma iniziale.

Anche le ulcere cutanee sono frequenti e sono la causa più importante di amputazione non traumatica delle estremità inferiori nella popolazione mondiale. I fattori di rischio sono il sesso maschile, una storia di diabete superiore ai 10 anni, la presenza di neuropatia, alterazioni morfologiche del piede ed il fumo attivo.

PROGNOSI:

La mortalità negli USA rappresenta la 4 causa di morte per malattia, con una mortalità aumentata di 2 volte rispetto ai pazienti non diabetici; la morbidità rappresenta la principale causa di cecità acquisita nell’adulto, con un rischio di sviluppare stroke o infarto del miocardio di 2-4 volte rispetto a pazienti non diabetici, così come nefropatia ed amputazioni dalle 15-40 volte rispetto alla norma. Il controllo della glicemia e della pressione arteriosa hanno un impatto importante sia sulla morbilità che sulla mortalità; non si hanno dei valori soglia, in quanto più i valori di glicemia/pressione arteriosa sono bassi, maggiori risultati si ottengono. La terapia comporta ridotta mortalità (del 12%), un ridotto rischio di infarto (del 16%), una ridotta retinopatia (del 21%) ed una ridotta microalbuminuria (del 33%). Per quello che infine riguarda la mortalità per ogni decremento dell’1% della HbA1C si ha una riduzione del 14% di mortalità e per ogni decremento di 10 mmHg di pressione arteriosa si ha una riduzione del 12% di mortalità. Valori simili si hanno anche per l’infarto miocardico acuto.


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