L’emorragia gastroenterica è una condizione frequente ed importante nella popolazione generale, che assume implicazioni clinico-sociali notevoli, con un elevato rischio di nuovo sanguinamento e morte. Negli USA la malattia presenta un tasso di ospedalizzazione annuo di circa 160:100.000 abitanti, con oltre 400.000 ricoveri annui, di cui la maggior parte dei sanguinamenti non è da varici esofagee, ma legato all’ulcera peptica. La malattia ha una frequenza maggiore negli anziani (68% di questi pazienti ha oltre 60 anni, il 27% oltre 80 anni), con una mortalità elevata (attorno al 5-10%) ed un costo annuo di circa 2 miliardi di dollari annui.
La gestione interdisciplinare del sanguinamento gastrointestinale (come vedremo in seguito) comporta la rianimazione di volume, la correzione di disturbi della coagulazione, e la protezione delle vie aeree, mentre l'avvio delle procedure diagnostiche permette di determinare il sito di sanguinamento ed agire di conseguenza.
EZIOLOGIA:
La fonte del sanguinamento gastrointestinale superiore può essere ovunque nel tratto prossimale al legamento di Treitz; si noti inoltre che il sanguinamento dal naso, dall’orofaringe, dalla bocca, dai polmoni può presentarsi con sintomi suggestivi di sanguinamento gastroenterico superiore. Le cause più frequenti sono l’ulcera duodenale (26% dei casi), l’ulcera gastrica (17% dei casi), lesioni acute della mucosa gastrica (15%), varici esofagee (10%), esofagee da reflusso (5%), sindrome di Mallory-Weiss (4%), carcinoma gastrico (2%) e altre cause (nel rimanente 21% dei casi).
Il sanguinamento gastrointestinale inferiore é quel sanguinamento gastroenterico che ha origine distalmente al legamento di Treitz, ed anch’esso può essere stratificato in base alla causa: al primo posto si ha nettamente la malattia diverticolare (60% dei casi), seguita da angiodisplasie del colon (12%), neoplasie (7%), emorroidi (5%) ed altre cause (16%).
L’ulcera peptica rappresenta almeno la metà dei casi di sanguinamento gastrointestinale superiore ed é anche la più comune causa di sanguinamento nei pazienti con ipertensione portale e varici: il sanguinamento da un’ulcera mucosa adiacente a un vaso può derivare da una infezione da H. pylori, l'uso di farmaci antinfiammatori non steroidei e/o da una malattia critica. L’uso concomitante di aspirina ed eventualmente di anticoagulanti orali aumentano ulteriormente il rischio di sanguinamento. La terapia di soppressione acida (mediante gli H2-antagonisti o meglio gli inibitori della pompa protonica), tuttavia non ha influenzato la predominanza della malattia come causa di emorragia gastroenterica superiore.
L’emorragia da varici è una delle principali complicanze dell'ipertensione portale riconducibile alla cirrosi epatica e rappresenta il 5-15% di tutti i casi di sanguinamento dal tratto gastrointestinale superiore. Il sito più comune delle varici è nell’esofago distale, dato che le vene superficiali in questa regione anatomica mancano di sostegno dai tessuti circostanti. La dilatazione delle varici esofagee distali dipende da un gradiente di pressione, più comunemente misurato dal gradiente di pressione venosa epatica, definita come la differenza tra la pressione occlusiva epatica, la pressione venosa epatica e la pressione venosa epatica libero (un gradiente normale é inferiore a 5 mmHg). Se il gradiente di pressione venoso epatico è inferiore a 12 mmHg, le varici generalmente non si formano. Al contrario, le varici non sempre si sviluppano nei pazienti che presentano gradienti pretori superiori a 12 mmHg, quindi il gradiente di pressione è necessario, ma non può essere sufficiente di per sé per la formazione di varici. Inoltre le varici sono presenti nel 40-60% dei pazienti con cirrosi e la loro presenza/dimensioni sono legati alla causa sottostante, alla durata ed alla gravità della cirrosi.
FISIOPATOLOGIA:
Va ricordato che il sanguinamento gastroenterico dal punto di vista fisiopatologico é da ricondurre ai meccanismi dello shock emorragico (così come la gestione é del tutto analoga, si veda il capitolo dedicato, Capitolo 7.1) e le alterazioni fisiopatologiche dipendono dall’entità del sanguinamento. Si parla di sanguinamento lieve quando si ha una perdita ematica fino al 15% del volume ematico circolante, senza alterazione nei parametri vitali. Si parla di sanguinamento moderato quando si ha una perdita del 15-20% del volume ematico circolante, con presenza di ipotensione ortostatica ed infine si parla di sanguinamento severo quando si ha la perdita di oltre il 20% del volume ematico ricolmante, con un elevato rischio di ipotensione arteriosa e di shock ipovolemico. La stima clinica della perdita di sangue è più difficile nei pazienti con cirrosi, dato che questi presentano già una circolazione iperdinamica basale e una pressione arteriosa sistolica inferiore alla norma, con un polso pressorio ampliato.
CLINICA:
I due elementi clinici di base che devono essere presi immediatamente in considerazione sono la presentazione clinica del sanguinamento (per identificare la sede dell’emorragia, lo stato emodinamico e la posa di una sonda naso-gastrica) e la stratificazione del rischio clinico sulla base di alcuni score.
Per la sede del sanguinamento si deve porre un’adeguata diasgnotica differenziale fra origine alta/bassa del sanguinamento (come limite anatomico si utilizza il legamento del Treitz) sfruttando l’analisi macroscopica delle feci e del vomito. Con il termine melena si intendono delle feci di colorito nerastro (ed anche non adeguatamente formate), dovuto alla presenza di pigmenti ematici (per almeno 200 ml) trasformati dai succhi gastrici e dai batteri digestivi locali; é tipico di un sanguinamento gastroenterico superiore. Con il termine proctorragia si intende l’emissione dall’ano di sangue (di quantità variabile) eventualmente commisto a feci; é un segno tipico di sanguinamenti digestivi inferiori (più frequentemente) o di sanguinamenti digestivi superiori associati ad un transito intestinale accelerato (anche per effetto catartico del sangue stesso), ma in questi casi il sanguinamento é davvero abbondante. Per ematemesi si intende il vomito si sangue che richiede una notevole quantità di sangue nella cavità gastrica con successivo riflesso del vomito secondario alla distensione acuta della parete gastrica; tipicamente é riconducibile ad un sanguinamento digestivo superiore.
Dopo avere ricostruito rapidamente la possibile sede di sanguinamento, si valuta lo stato emodinamico del paziente, monitorando la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, l’output urinario ed il turgore giugulare per identificare immediatamente la presenza di shock ipovolemico (manifesto con tachicardia, ipotensione arteriosa e Shellong’s test positivo). E’ molto importante valutare l’ematocrito, che nelle prime ore di un sanguinamento non è un parametro affidabile (lo diviene dopo 4-12 ore dall’evento acuto), dato che si ha una sua riduzione progressiva secondariamente al refilling transcapillare (fenomeno tardivo). La priorità assoluta è la stabilità emodinamica, cercando di ripristinare la volemia, dopo aver preso due accessi venosi di grosso calibro (manovra estremamente importante e da porre in atto immediatamente all’arrivo del paziente!), per poi effettuare l’infusione di cristalloidi fino alla disponibilità di emazie concentrate (se necessario); grandi volumi di rianimazione con la sola soluzione fisiologica può provocare un’acidosi metabolica ipercloremica ed è eventualmente associato ad anomalie della coagulazione. Soluzioni colloidali non hanno alcun ruolo nella gestione dei pazienti con sanguinamento gastrointestinale acuto. Si utilizzano emotrasfusioni quando si ha perdita importante di sangue (oltre al 15%), un ematocrito inferiore al 25% o un sanguinamento in atto. La trasfusione di plasma fresco congelato deve essere iniziata nei pazienti con preesistente coagulopatia (per malattie epatiche o uso di anticoagulanti) e la trasfusione di piastrine è indicata se la conta piastrinica è inferiore a 50 G/l. Eventualmente si può associare un’ossigeno-terapia (soprattutto in pazienti anziani con co-morbidità) e la correzione della coagulopatia (mediante FFP e poi con l’uso del RoTEM per affinare la somministrazione dei giusti emoderivati).
Infine l’inserzione di un sondino naso-gastrico può essere utile nel management iniziale del paziente: è stato segnalato che la presenza di sangue rosso vivo nella sonda rappresenti un fattore prognostico negativo e può essere utilizzato per identificare i pazienti che sono ad alto rischio di mortalità. L’ematemesi si ha nel 50% dei sanguinamenti alti del tubo gastroenterico; il posizionamento di una sonda naso-gastrica associata al lavaggio mucosale dimostra la presenza di un ristagno caffeano (seppure gravato da un 15% di falsi negativi) e/o sangue rosso vivo. Se si ritrova ristagno biliare senza sangue, invece, si esclude con elevata probabilità un sanguinamento del tratto digestivo superiore (il test é difatti dotato di elevata sensibilità).
Per quello che concerne la stratificazione del rischio sono stati introdotti numerosi strumenti di scoring per facilitarne la stratificazione, identificando quali sono i pazienti candidati ad una valutazione e/o terapia in urgenza. Sono fattori prognostici che presentano la peculiarità di valutare lo status emodinamico del paziente e la presenza di comorbidità, riducendo la necessità di una EGDS in urgenza per pazienti a basso rischio. Il Blatchford score è un sistema di stratificazione del rischio ben validato, che viene utilizzato per predire la necessità di un intervento medico in questo gruppo d di pazienti; presenta una scala da 0-23 il cui rischio è direttamente proporzionale al valore riscontrato. Il Rockall score si tratta di una metodologia di stratificazione del rischio clinico che sfrutta sia criteri clinici che endoscopici; è un utile strumento prognostico per prevedere il rischio di un nuovo sanguinamento e/o di morte (presenta uno score di 0-11 punti, con una correlazione diretta fra il punteggio e la mortalità). Infine il Forrest score può essere utilizzato per predire il rischio di sanguinamento ricorrente; solitamente alla prima endoscopia, circa 1/3 di tutte le lesioni sono ad alto rischio, con un tasso di risanguinamento del 22-55% se non viene valutata mediante endoscopia. Si stratifica così l’ulcera in tre strati: nel Forrest 1 il sanguinamento é attivo, con un rischio del 50-70% di avere recidive a breve termine; la malattia può essere a getto (Forrest Ia) o a nappo (Forrest Ib). Nel Forrest 2 il sanguinamento appare come recente; può essere presente un vaso visibile sul fondo dell’ulcera (Forrest IIa) e/o un coagulo adeso al fondo dell’ulcera stessa (Forrest IIb) e/o una chiazza di ematina (Forrest IIc); in questi casi la probabilità del rischio di un nuovo sanguinamento va dal 50-70% per la forma IIa, al 33-36% per la forma IIb al 18-25% per la forma IIc. Infine nel Forret 3 il sanguinamento si evidenzia come passato: la lesione presenta un fondo fibrinoso e si ha solo un 1-3% di rischio di risanguinamento.
TRIAGE: CHI AMMETTERE IN ICU:
I pazienti devono essere classificati come a basso rischio o ad alto rischio sulla base di score prognostici che incorporino dati clinici, di laboratorio e dati endoscopici. Fattori di rischio per un risanguinamento o per la morte del paziente comprendono l'età più di 65 anni, uno stato di shock, un ridotto stato di salute, la presenza di comorbidità, bassi valori iniziali di emoglobina, la necessità di trasfusioni. La sepsi, i valori plasmatici di urea e creatinina ed il livello aminotransferasi sierica sono ulteriori fattori di rischio. Dal punto di vista endoscopico, i predittori comprendono il riscontro di un sanguinamento attivo, un sanguinamento da vasi non visibili, la presenza di un coagulo aderente, le dimensioni dell'ulcera superiori a 2 cm e la posizione dell’ulcera in una posizione negativa (come lungo la piccola curva gastrica o la parete duodenale posteriore).
TERAPIA:
Solitamente è estremamente utile un approccio multidisciplinare che veda coinvolto l’endoscopista entro 24 ore dal sanguinamento, dato che tale metodologia è il fondamento del trattamento e può migliorare alcuni outcomes (come il numero di trasfusioni e la degenza ospedaliera). Il periodo critico sono le prime 72 ore dal sanguinamento, il periodo in cui il rischio di nuovo sanguinamento è maggiore. Per quello che concerne l’approccio endoscopico i pazienti ad alto rischio sono pazienti che devono essere ammessi in ospedale e ricevere in urgenza una terapia endoscopica; solitamente devono rimanere in ICU per 24 ore (potenzialmente per 72 ore) ed almeno 3 giorni in ospedale. Durante l’endoscopia si esegue l’emostasi che riduce sia il rischio di nuovo sanguinamento, che la necessità di un intervento chirurgico e la mortalità; si può intervenire mediante una terapia iniettiva (mediante soluzione salina, vasocostrittori, terapia sclerosante, adesiva, ecc…), una terapia termica (mediante elettrocoagulatore, laser ad argon, ecc…) e/o una terapia meccanica (soprattutto con la posa di clips endoscopiche). Non esiste a priori una terapia migliore di un’altra, e ciascuna di queste terapie si è dimostrata superiore nel rischio di recidive rispetto alla terapia osservazionale. Una seconda emostasi con aggiunta di epinefrina riduce il tasso di sanguinamento, la necessità di chirurgia e la mortalità. Generalmente una nuova endoscopia second-look a 24 ore non è raccomandata, soprattutto perché non riduce a medio termine il rischio di nuovi sanguinamenti, perché risulta costosa e fastidiosa. Per i pazienti a basso rischio numerosi studi hanno dimostrato che tali pazienti dopo l’endoscopia possono essere dimessi e trattati ambulatorialmente mediante terapia conservativa (sono pazienti che generalmente non vengono in ICU).
TERAPIA MEDICA:
Numerosi studi hanno dimostrato che la presenza e la persistenza di acidità gastrica riduce la formazione del coagulo, facilita la disaggregazione piastrinica e favorisce la fibrinolisi; per questo é necessario incrementare il pH gastrico (teoricamente attorno a 6) per facilitare la coagulazione dell’ulcera, promuovere la stabilità delle piastrine e ridure il rischio di sanguinamento. Gli inibitori di pompa protonica (Pantoprazolo 80 mg IV in bolo, seguito da 8 mg/ora per 3 giorni) sono farmaci che non vanno incontro a tachifilassi e riducono il rischio di nuovo sanguinamento, il rischio di intervento chirurgico ed il rischio di morte. Gli anti-H2 non si utilizzano dato che non portano miglioramenti nell’outcome, anche se associati ad altri farmaci.
La vasopressina provoca vasocostrizione diretta sia sistemica che splancnica attraverso il recettore V1 presente sulla muscolatura liscia vascolare, riducendo in tal modo il flusso venoso portale e la pressione portale. La vasopressina può essere somministrata per via endovenosa o direttamente nell’arteria mesenterica superiore; come con altri vasocostrittori potenti, vasopressina deve essere somministrata attraverso una via venosa centrale. Dosi più elevate sono associate ad un aumento della tossicità senza ulteriori benefici. La vasopressina si é dimostrata in grado di portare ad emostasi in circa il 55% dei pazienti, mentre gli effetti collaterali sistemici, che si verificano nel 20-30% dei pazienti, possono includere l'ischemia miocardica, ischemia cerebrale, acrocianosi, insufficienza cardiaca congestizia, aritmie cardiache, iponatremia, l'ipertensione, e flebiti al sito di infusione venosa. La somministrazione concomitante di nitroglicerina IV si é dimostrata migliorare la sicurezza e l'efficacia della sola vasopressina, controllando in maniera più efficace il sanguinamento e riducendone la tossicità, ma senza purtroppo ridurre la mortalità rispetto alla sola vasopressina. La Terlipressina un analogo sintetico della vasopressina, è stata usata al posto della vasopressina per cercare di ridurre la tossicità, somministrandola a boli intermittenti e con un miglior profilo di tossicità rispetto alla vasopressina. Una recente meta-analisi ha mostrato riduzione della mortalità per qualsiasi causa con terlipressina rispetto al solo placebo, mentre nessuna differenza statistica è stata riscontrata tra la terlipressina e l’octreotide, la vasopressina, o il tamponamento mediante sonda di Blackmore-Sengstaken. La somatostatina provoca vasocostrizione splancnica, riduce le dimensioni della vena azygos e riduce i circoli collaterali portali, riducendo infine la pressione del sistema portale. La somatostatina è stato usata con successo come alternativa alla vasopressina nel controllare il sanguinamento da varici a causa del suo sicuro profilo per gli effetti collaterali. L’Octreotide, un analogo della somatostatina, è più comunemente usato rispetto alla somatostatina ed è il farmaco di scelta per la gestione di tali sanguinamenti. L’Octreotide in aggiunta alla scleroterapia si é dimostrato superiore alla sola terapia endoscopica nel controllare l'emorragia e prevenire il risanguinamento, ma non ha mostrato migliorare la mortalità a lungo termine.
TERAPIA CHIRURGICA:
Attualmente il tasso di intervento chirurgico in caso di emorragia digestiva superiore è andato progressivamente scemando, attestandosi attualmente attorno al 6.5-7.5% di tutti i casi analoghi. Lo scopo della chirurgia è quello di bloccare l’emorragia quando la terapia endoscopica non è disponibile e/o ha fallito; un suo ruolo nella fase precoce è meno chiaro, alcuni studi recenti sembrano dimostrarne una uguale efficacia. Solitamente, in caso di secondo sanguinamento la terapia endoscopica risulta nuovamente efficace e mostra minori complicanze rispetto alla chirurgia; l’unica eccezione è per le ulcere superiori a 2 cm di diametro e/o quelle associate a grave ipotensione arteriosa durante secondo sanguinamento, che sono a rischio di fallimento terapeutico mediante terapia endoscopica.
ALTRE TERAPIE:
L’angiografia rappresenta un’opzione non-operatoria per pazienti di cui non si riesce ad identificare/controllare il sito di sanguinamento con endoscopia e che permette di stabilizzare il paziente fino a quando non può essere instaurata una terapia più stabile e definitiva; solitamente si utilizzano sostanze in grado di embolizzare la lesione, con un tasso di successo del 52-94% (ed un 10% di tasso di recidiva). La sensibilità diagnostica è elevata ma non altissima; viene utilizzata per sanguinamenti attivi, dato che permette di detettare perdite ematiche di circa 1 ml/min. Rappresenta un intervento in grado di ridurre la mortalità, anche se predispone ad effetti collaterali quali insufficienza renale, ischemia intestinale, stenosi duodenale secondaria, infarto gastrico, splenico ed epatico.
Tramite la medicina nucleare é possibile utilizzare il Tecnezio-99-metastabile dimostrando la presenza di sanguinamenti minimi, con una sensibilità diagnostica maggiore anche dell’angiografia (può difatti arrivare fino a 0.1 ml/min). La metodica é purtroppo dotata di scarsa risoluzione spaziale ma permette di identificare il quadrante addominale del sanguinamento in vista di un ulteriore trattamento (angiografico o chirurgico). Infine la capsula endoscopica è una videocapsula che viene inghiottita dal paziente e poi espulsa nelle feci; permette di registrare il suo passaggio in tutto il tubo gastroenterico. In caso di stillicidio ematico cronico con endoscopie negative, rappresenta la terapia di scelta.
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