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Devices di ventilazione non invasiva (Capitolo 3.3.3a)



I pazienti con malattia polmonare cronica e altre condizioni patologiche tali da necessitare di ossigenoterapia a lungo termine sono spesso al di fuori della propria abitazione o dell’ospedale e hanno bisogno di accedere a una fornitura portatile di ossigeno per mantenere uno stile di vita adeguato. Per i pazienti con malattia polmonare avanzata che necessitano di ossigenoterapia a lungo termine, la dispnea da sforzo, l’ipossiemia e la mancanza di energia fisica sono aggravate dalla crescita della domanda di trasporto d’ossigeno. Le fonti di ossigeno portatili possono essere pesanti, ingombranti e limitati nella durata dell'alimentazione di ossigeno, quindi i dispositivi di conservazione dell’ossigeno sono stati sviluppati progressivamente come mezzi per rendere l’ossigeno-terapia più efficace, più portatile, e meno intrusiva possibile. In questo capitolo andremo brevemente a vedere i metodi di conservazione dell’ossigeno, accennando alla gestione basale/avanzata delle vie aeree iatrogene, cioé dei principali dispositivi di natura medica che si occupano di portare ossigeno al paziente.

BOMBOLE DI OSSIGENO:
L’aria é una miscela di gas in cui l’ossigeno é presente al 21% e sappiamo dall’equazione alveolare dei gas, che la pressione barometrica influisce inoltre sulla reale percentuale di ossigeno che arriva agli alveoli. Le bombole di ossigeno sono strutture metalliche che vengono riempite ad ossigeno puro, per poterlo somministrare al paziente al momento opportuno. Esistono bombole di capienza differente (1 litro, 10 litri, ecc…) dove chiaramente maggiore é la capienza, maggiori sono le dimensioni delle bombole e maggiori sono gli ingombri per il trasporto e la mobilizzazione del paziente. La capienza reale di una bombola é data dal suo volume (1 litro, 10 litri, ecc…) moltiplicato per la pressione atmosferica con cui le bombole sono state riempite. A 2 atmosfere (2 atm) i 10 litri sono in realtà 20 litri, a 5 atm i 10 litri sono 50 litri, ecc… Si possono pertanto ottenere delle bombole con alti volumi di ossigeno erogabile, a piccolo volume.




Negli ultimi anni, piuttosto che utilizzare delle semplici bombole di ossigeno, in particolare per l’uso domestico, che portano ad un elevato dispendio di gas, sono stati sviluppati alcuni dispositivi ad impulsi. Tali dispositivi ad impulso sono stati sviluppati per conservare il flusso di ossigeno e migliorare la mobilità dei pazienti al di fuori di casa; tali dispositivi sono dotati di piccoli bacini che forniscono una quantità dosata di ossigeno solamente durante l'inspirazione, prolungando così la vita del serbatoio stesso (diverse caratteristiche tecnologiche sono state utilizzate per ottimizzare le dimensioni del bolo ossigeno e l'efficienza di consegna). Generalmente un sensore di flusso, una circuiteria logica ed una valvola sono interposti tra la sorgente di ossigeno pressurizzato e la cannula nasale. Il flusso inspiratorio del paziente viene rilevato attraverso la cannula nasale come una variazione di pressione; la valvola quindi si apre, fornendo un breve impulso di circa il 100 per cento di ossigeno. L'obiettivo è quello di scaricare le dosi di ossigeno durante la prima parte dell’inspirazione, quando realmente l’ossigeno può partecipare agli scambi gassosi alveolari: assumendo un volume corrente di 450 ml, il primo gas a raggiungere gli alveoli è di 150 mL di gas povero di ossigeno (gas di fine espirazione) che aveva già occupato le vie respiratorie. A questo fa seguito il bolo di 300 mL di aria ambiente ispirata che dovrebbe raggiungere gli alveoli, di cui gli ultimi 150 mL di gas inspirato sono destinati ad occupare le vie aeree a fine inspirazione, senza mai raggiungere gli alveoli (occupano lo spazio morto anatomico, pari circa a 2 ml/Kg). Così, solamente la metà dei 300 ml di gas inalato raggiunge gli alveoli per arricchire l’aria alveolare con ossigeno supplementare. La figura mostra che il flusso d'aria rallenta a fine inspirazione, in modo che lo spazio morto occupa uno sproporzionato 50% del tempo inspiratorio. Di conseguenza, l'apporto di ossigeno dovrebbe avvenire entro i primi 0.5 secondi di ispirazione, prima dell'ultimo 150 ml di aria ispirata, dato che l’ossigeno erogato oltre questo tempo non parteciperà pienamente allo cambio dei gas alveolari.




I dispositivi pulsatili sono disponibili come moduli stand-alone o integrati in un sistema di ossigeno liquido, in un sistema di gas compresso o in un concentratore di ossigeno portatile. Una varietà di protocolli e formati vengono utilizzati per attivare, rilasciare, e terminare la consegna di ossigeno. Alcuni dispositivi sono elettronici con impostazioni di alta precisione, mentre altri sono a comando pneumatico. È importante sottolineare che non esiste uno standard del settore per quanto riguarda i feedback numerici su diversi dispositivi pulsatili. Esempi di dispositivi di impulso della domanda di ossigeno sono i seguenti: Chad-Oxymatic, Devilbiss-PD-1000, Helios, Invacare-Venture, Nellcor PB-CR50, Respironics e-POD, EasyPulse, Bonsai, Salvia, Evolution e Impulse, ecc… Alcuni dispositivi richiedono una batteria mentre altri sono pneumaticamente guidati; idispositivi pneumatici sono meno costosi e pesano meno, ma hanno meno probabilità di rilevare fin dall'inizio l’inalazione causando un ritardo nella consegna dell’impulso di ossigeno. Le batterie dei dispositivi elettronici possono durare da tre ore ad un mese, a seconda del circuito elettronico, mentre unità di azionamento pneumatico non richiedono batterie.

CANNULA NASALE:
La cannula nasale é quel dispositivo che viene comunemente chiamato “occhialini” e che permette la somministrazione di ossigeno a basso flusso in aggiunta all’aria inspirata dal paziente, che va quindi a generare una miscela di ossigeno/aria. Generalmente é lo standard della prescrizione di ossigeno, sia a livello ospedaliero che al domicilio. La concentrazione finale di ossigeno dipende dal flusso di ossigeno erogato e da quanto profondamente respira il paziente. A livello teorico per ogni incremento di 1 l/min di ossigeno si ha un aumento di circa il 4% della FiO2 erogata; il flusso massimo erogabile (determinato dalla portata dei tubi) è di 6 l/min, con una FiO2 massima che può raggiungere circa il 44%.
                  Flussi: FiO2
Flussi: 1 l/min 21-24%
2 l/min 25-28%
3 l/min 29-32%
4 l/min 33-36%
5 l/min 37-40%
6 l/min 41-44%




A livello pratico però la FiO2 viene determinata anche dalla ventilazione del paziente, per cui all’aumentare della frequenza respiratoria si ha una riduzione della FiO2 realmente inspirata per riduzione del volume di reservoir. Se due pazienti vengono ossigenati a 6 l/min ed uno ventila “normalmente” a 5 l/min e l’altro a 20 l/min, il primo paziente avrà una FiO2 che potrà arrivare fino al 60%, mentre il paziente tachipnoico avrà una FiO2 pari al 32%.

Sono pertanto state sviluppate tecniche di conservazione dell’ossigeno, per evitare una sua eccessiva dispersione nell’ambiente, potendolo conservare per l’assunzione da parte del paziente. L'efficacia di questi sistemi è espressa come rapporto tra il flusso di ossigeno richiesto e la reale somministrazione di flusso continuo per raggiungere la saturazione di ossigeno equivalente. Le cannule reservoir sono in grado di conservare ossigeno in piccoli serbatoi durante l’espirazione, rendendo disponibile ancora dell’ossigeno come “bolo” al momento della successiva inspirazione; questo metodo permette di risparmiare ossigeno, perché il flusso d’aria inspirato proviene in parte dall’aria espirata (in questo caso ricca di ossigeno), richiedendo meno aria dalla bombola stessa. Le cannule reservoir sono disponibili in tre configurazioni:

● Una configurazione “a baffi” (Oxymizer), in cui il serbatoio si trova direttamente sotto il naso;  alcuni pazienti trovano questa configurazione più comoda rispetto alla successiva, anche se é una soluzione più anti-estetica, motivo per cui alcuni pazienti di respingono tale configurazione.
● Una configurazione “a ciondolo” (Oxymizer pendente) utilizza un serbatoio di plastica in linea che poggia sul cofano anteriore del sistema. Tale configurazione è meno evidente rispetto alla precedente, anche se é più evidente di una cannula nasale standard.
● La cannula “serbatoio a baffi” è stato progettata per funzionare con portate da 1 a 16 L/minuto di ossigeno, pertanto, è sia un dispositivo sia in grado di conservare ossigeno che un dispositivo ad alto flusso. Un paziente che generalmente richiede ossigeno a 20 L/minuto (con una FiO2 dell’80% per cento) con tale configurazione può raggiungere la saturazione di ossigeno con 10 L/minuto, permettendo di allungare l’emivita delle bombole di ossigeno.






MASCHERA CON RESERVOIR:
La maschera con reervoir sono maschere che presentano un serbatoio a grandezza variabile per l’accumulo di ossigeno prima che venga inalato dal paziente, il cui scopo è quello di garantire sempre la presenza di reservoir per l’assunzione costante di ossigeno. Sono devices che permettono una maggiore concentrazione di ossigeno inalato, ma devono essere costantemente indossate e non permettono la somministrazione di cibo/liquidi per os allo stesso tempo. Sono dispositivi che permettono la somministrazione di un basso flusso di ossigeno attraverso il naso o la bocca del paziente in cui le FiO2 possono arrivare fino al 60%, con un eventuale sacchetto di riserva per la somministrazione di ossigeno supplementare (chiamato appunto “reservoir”, dove le FiO2 possono raggiungere fino al 100%). Le indicazioni si hanno in pazienti critici, che richiedono alte concentrazioni di ossigeno e sono coscienti, in pazienti che possono evitare di essere intubati se si corregge l’ipossia, in caso sia necessaria un’intubazione oro-tracheale, mentre il paziente é ancora cosciente e mantiene i riflessi faringei oppure quando l’intubazione immediata risulta difficile.

Esistono maschere con ricircolo che presenta valvole unidirezionali per l’espirio sulla parte di plastica, senza alcuna valvola inspiratoria, per cui in questi casi il ricircolo dell’aria è possibile e le FiO2 massime erogabili possono arrivare fino al 70%. Esistono altri devices dove la maschera presenta due valvole unidirezionali espiratorie sulla parte di plastica, ma ha inoltre una valvola inspiratoria che non permette il ricircolo d’aria. In questi casi le FiO2 possono arrivare fino al 100%.




MASCHERA DI VENTURI
Le maschere di Venturi sono maschere che permettono la somministrazione di ossigeno ad alto flusso con una valvola che crea un “effetto Venturi”, con rapido passaggio di ossigeno che genera  una pressione negativa al suo interno, tale da richiamare al suo interno dell’aria ambiente. In base alle dimensioni del filtro, si genera una FiO2 a concentrazione fissa, indipendente dalla ventilazione del paziente (può andare dal 24% al 50%). Tipicamente si hanno flussi fra 4-8 l/min, con FiO2 standard che si possono avere pari al 24%, 28%, 35%, 40%, 50% in base al flusso di ossigeno utilizzato ed alla valvola. Questa maschera può essere molto utile nel paziente affetto da BPCO, dove si vuole controllare adeguatamente la FiO2 che si somministra, evitando eccessi o deficit di ossigeno. L’altro vantaggio é che sono maschere che non permettono la somministrazione di elevati valori di FiO2, condizione estremamente vantaggiosa in questa tipologia di pazienti.







PALLONE-MASCHERA:
Il pallone-maschera viene comunemente chiamato “ambu” e consiste di un pallone autoespansibile ed una valvola “non-breathing”, cioè anti-respirazione dell’aria esalata che può essere utilizzato con una maschera facciale o con dispositivi avanzati di gestione delle vie aeree. E’ una metodica che richiede una pratica particolare, perché può provocare diverse complicanze se non ben maneggiata. 

Oltre alla conoscenza della corretta tecnica di ventilazione (si veda il Capitolo dedicato, Capitolo 12.6) i suggerimenti principali sono quelli di inserire non appena possibile una canula oro-faringea (se non controindicata), così da mantenere pervie le vie aeree; inoltre, dato che non ci sono raccomandazioni sul Tidal Volume specifico raccomandato per l’adulto da ventilare all’ambi nella  fase acuta si dovrebbe somministrare  un volume d’aria necessario a far sollevare il torace del paziente. Infine, la mano che tiene aderente la maschera facciale segue la regola E+C: le prime due dita hanno una forma a C e tengono ma maschera adesa al volto del paziente, mentre le altre tre dita sono divaricate (forma a E) e mantengono sollevata la mandibola. Per la ventilazione in fase avanzata durante una RCP si somministra una ventilazione ogni 6-8 secondi (circa 8-10 ventilazioni al minuto), evitando iperventilazioni e dal momento del posizionamento di una gestione avanzata delle vie aeree si ventila in maniera indipendente dalle compressioni toraciche. Per i dettagli della gestione della ventilazione con l’ambu, rimandiamo al Capitolo 12.6.




(continua...)

REFERENCES:
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