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Chirurgia ad alto rischio - ischemia periferica acuta/cronica (Capitolo 7.2.5-1)



In questo capitolo inizieremo ad affrontare la patologia ischemica arteriosa e venosa, acuta e cronica, a carico degli arti periferici, generalmente agli arti inferiori. Partiremo dapprima con uno sguardo rivolto alle principali cause di ischemie acute/croniche senza polso (Capitolo 7.2.5-1), per poi valutare le cause di ischemie acute con polso (Capitolo 7.2.5-2) ed infine trattare dei problemi peri-operatori dei pazienti operati in chirurgia vascolare che vengono seguiti in ICU.



L’ischemia acuta periferica è una condizione clinico-patologica caratterizzata da un improvviso arresto dell’apporto ematico all’arto inferiore, secondario alla presenza di una occlusione del sistema arterioso, che clinicamente si manifesta entro 14 giorni. La sede maggiormente coinvolta è tipicamente l’arto inferiore (nel 60% dei casi), generalmente a livello della biforcazione femorale, successivamente a livello della biforcazione poplitea e della biforcazione aorto-iliaca, seguito infine dall’arto superiore (14% dei casi). Tale condizione clinica (che generalmente è presente in pazienti con cardiopatia e/o arteriopatia sistemica) si associa ad una morbilità del 10-15% (comportante in alcuni casi anche l’amputazione dell’arto), ed una mortalità del 10-20%. E’ una condizione d’emergenza che, nonostante lo sviluppo di nuove terapie efficaci (anche mini-invasive), permane come malattia impegnativa dotata di un elevato tasso di complicanze.


EZIOPATOGENESI:
L’embolia arteriosa cardiogena rappresenta l’80% dei casi, generalmente secondario ad un infarto miocardico acuto (soprattutto nella popolazione maschine), alla malattia reumatica (soprattutto nella popolazione femminile), in caso di fibrillazione atriale o cardiomiopatia dilatativa; è una condizione fisiopatologicamente dovuta a disturbi del ritmo (anche provocati da digitale, inotropi, sforzo fisico, ecc…) o dalla cardiochirurgia (nel 15,5% casi, soprattutto dopo sostituzione valvolare mitralica). La forma periferica si ha nel 10% dei casi, proveniente da una placca ateromasica ulcerata e/o per dilatazione di aneurismi locali, con formazione di microemboli (blue toe syndrome), spesso anche per manovre mediche. Infine le forme rare (inferiori al 5% dei casi), provocate da cisti da Echinococco o neoplasie, che portano alla formazione di trombo-emboli.

Le forme da trombosi si possono differenziare dalle forme emboliche perché generalmente si assiste allo sviluppo di rami collaterali grazie alla cronicizzazione del processo patologico, tale per cui la sintomatologia riportata dal paziente non è così severa come nella forma embolica (a parità di gravità clinica). Il quadro di trombosi si può sviluppare a partire da arterie sane, condizione rara, solitamente secondaria ad alterazioni della emopoiesi, alterazioni vascolari motorie (come spasmi improvvisi, incremento delle resistenze, ecc…) o più raramente da derivati dell’ergot, estrogeni, o altre sostanze. Più frequentemente si hanno trombi a partire da arterie patologiche come in caso di Aterosclerosi (35% dei casi) e/o aneurismi, soprattutto a livello femoro-popliteo.

Le forme postraumatiche sono condizioni che divengono sempre più frequenti dato l’utilizzo sempre maggiore di procedure endovascolari per la gestione di patologie cardiache o vascolari (rappresentando fino al 1.5 - 9% delle procedure). E’ un meccanismo secondario a traumi diretti/indiretti, sia acuti che cronici, con una perforazione/lacerazione, compressione, contusione vascolare che possono portare ad occlusioni vascolari acute.





FISIOPATOLOGIA:
Il danno provocato dai meccanismi poc’anzi citati dipende dalla durata dell’ipossia, dalla tolleranza tissutale all’ipossia (pari a 3 ore per i nervi, 6 ore per i muscoli, 48 ore  per la cute, ecc…) e dalla presenza dei circoli collaterali. A livello di metabolismo si ha una prevalenza di glicolisi anaerobia, con un incremento di CO2 plasmatica e del piruvato, che prima si diffonde localmente e poi arriva a livello sistemico. A livello cellulare si assiste ad alterazioni morfologiche con una distruzione delle membrane cellulari, soprattutto  delle miocellule, dell’endotelio e dei recettori neuromuscolari e danni tissutali irreversibili, con edema, emorragie ed incremento della permeabilità vascolare locale. A queste si aggiungono le alterazioni funzionali con perdita del normale funzionamento cellulare, per un blocco delle pompe transmembrana (ATP-dipendenti).


CLINICA:
La clinica tipica dell’arteriopatia ischemica acuta si rifà alle 5 P di Pratt, con l’associazione di 5 sintomi caratteristici, che iniziano con l’ipotermia distale, le alterazioni muscolari e poi una contrattura (simil-rigor mortis), cui segue tardivamente l’edema ligneo e la cianosi. Si ha:
  • Pain: è un dolore generalmente localizzato alle estremità distali, che aumenta progressivamente di intensità e progredisce prossimalmente; solo nella fase tardiva il dolore tende a ridursi (per la disfunzione nervosa sensitiva). Se il dolore era già cronicamente presente e si è accentuato più probabilmente ci si troverà di fronte ad un quadro di trombosi, mentre l’esordio acuto senza alcun sintomo precedente fa presupporre soprattutto per un fenomeno embolico.
  • Paleness: l’arto ischemico acuto diviene bianco, di color perlaceo ed anche la micro-vascolarizzazione capillare tende a scomparire. Il livello di occlusione è generalmente una articolazione sopra alla linea di demarcazione fra il tessuto normale ed il tessuto ischemico.
  • Pulselessness: va sempre valutata la qualità e la sede di presenza dei polsi (sia clinicamente che tramite Doppler), dato che raramente si hanno forme ischemiche acute in presenza di polsi (si veda oltre per le numerose eccezioni). E’ sempre fondamentale partire dall’arto controlaterale, quello considerato sano, al fine di valutare lo status arterioso cronico del paziente.
  • Paresthesia: l’esame neurologico periferico va sempre effettuato dato che la presenza di un deficit sensitivo è un segno di una disfunzione nervosa precoce (secondario all’ischemia). Il comparto anteriore della gamba è molto sensibile all’ischemia e deficit sensitivi del dorso del piede sono spesso il primo sintomo.
  • Paralysis: la presenza di un deficit motorio è un segno di gravità e di urgenza ulteriore, dato che segnala una disfunzione neurologica progrediente e presente da tempo sufficiente a provocare danni che possono poi divenire irreversibili.
La prima cosa da pensare è quindi la diagnosi differenziale eziopatogenetica fra le forme di trombosi, di embolia e post-traumatiche, partendo dalle cause più frequenti (prima la trombosi, poi l’embolia).

Per quello che concerne la sede si devono rilevare i polsi periferici e valutare le modificazioni di cute/temperatura locale, per cercare di comprendere dove può essere l’occlusione nel vaso. Generalmente la sede d’occlusione è circa un’articolazione sopra alla linea di demarcazione fra il tessuto sano ed il tessuto ischemico.

In merito alla severità della malattia è estremamente importante riuscire ad eseguire dal punto di vista clinico una stratificazione del rischio di severità della malattia, al fine di determinare il migliore approccio terapeutico e la migliore tempistica d’intervento. Quando il tessuto é vitale l’arto ancora vitale non rischia di perdere parte di tessuto; non ci sono deficit sensitivi e/o debolezze muscolari e sono presenti i segnali Doppler arterioso/venoso. Quando si ha un danno lieve l’arto viene salvato se si interviene prontamente; possono essere presenti lievi deficit sensitivi (particolarmente all’alluce), senza coinvolgimento muscolare; il segnale Doppler è udibile a livello venoso, non arterioso. Quando il danno é moderato l’arto va trattato immediatamente mediante rivascolarizzazione; si hanno già deficit sensitivi diffusi e possono essere presenti anche debolezze muscolari; il segnale Doppler è assente a livello arterioso e poco presente a livello venoso. Infine quando il danno é severo si ha un danno irreversibile, dove l’arto presenta perdite importanti di tessuto associati a danni neurologici permanenti; i deficit neurologici sensori-motori sono importanti, e il segnale Doppler è completamente assente.




Alle analisi di laboratorio si può valutare l’entità della severità dell’ostruzione, mediante analisi di biochimica clinica con azotemia/creatininemia, AST/ALT, creatininfosfo-kinasi (CK) e controllo della kaliemia. Sono pertanto analisi non specifiche, ma che nel contesto di un’ischemia acuta di un arto possono aiutare per valutare l’entità del danno cellulare. Per quello che invece riguarda l’imaging per poter diagnosticare tale condizione clinica, l’ecografia si effettua per valutare la presenza di occlusioni vascolari, l’esistenza di aneurismi trombizzati, ecc… e rappresenta un esame dotato di un’ottima sensibilità locale, ma che non si può estendere a tutto il distretto vascolare, data la presenza di numerosi ostacoli e la profondità dei vasi su differenti livelli. L’angioTC rappresenta l’esame di scelta per la diagnosi in pronto soccorso: tramite somministrazione di mezzo di contrasto iodato IV é possibile valutare l’opacificazione dei vasi, eventuali ostruzioni, placche e ritardi di riempimento. Appare un esame diagnostico molto sensibile e specifico, anche se gravato dall’alto carico di radiazioni e dall’uso del contrasto. 




L’angiografia infine - che rappresenta il gold standard diagnostico - viene effettuata in sala angiografica, cui generalmente si associa un intervento di rivascolarizzazione percutanea (tramite frammentazione del trombo, aspirazione, dilatazione e/o posa di stent); è una metodica estremamente sensibile, in grado di differenziare forme di occlusione su emboli, trombi e/o danni traumatici. 





TRATTAMENTO:
Non esistono grossi studi in grado di determinare il corretto approccio terapeutico in ogni paziente, soprattutto per la difficoltà della standardizzazione diagnostica e nella differente durata dell’ischemia, oltre al fatto che rimane una patologia da gestire in urgenza (ed in alcuni casi in emergenza). Rimane  chiaro che è una patologia dotata di una elevata morbidità (con un tasso di amputazioni attorno al 30%) e di mortalità ospedaliera (generalmente su base cardio-polmonare).




Per quello che concerne la terapia medica, l’utilizzo dell’Eparina rappresenta il migliore trattamento in acuto per un inizio pronto della terapia riperfusoria; le linee guida dell’ACC/AHA raccomandano l’impostazione di una terapia con UFH in bolo seguita da infusioni continue. Lo scopo è quello di prevenire un’ulteriore evoluzione progressiva del trombo secondario al basso flusso ed alla stasi; è molto importante non ritardare l’utilizzo di tale terapia (tranne in caso di controindicazioni) data la chiara associazione fra precocità di intervento e miglioramento dell’outcome. Per la terapia chirurgica le alterazioni irreversibili generalmente compaiono fra le 4-6 ore, per cui è importantissimo organizzare un intervento chirurgico (come embolectomia e/o by-pass vascolare), anche se le metodiche più moderne permettono l’esecuzione delle stesse manovre mediante angioplastica percutanea (eseguite da un radiologo interventista). Infine la terapia trombolitica è una terapia farmacologica che permette di somministrare (sia sistematicamente che in loco mediante procedure endovascolari) sostanze ad azione trombolitica sui coaguli locali (rt-PA, urochinasi, ecc…), permettendo spesso di portare ad una rapida risoluzione la fase acuta mediante scioglimento del trombo (ovviamente a scapito di un incremento del rischio emorragico sistemico).

Alcune linee guida affrontano il management terapeutico dell’ischemia acuta tramite un approccio che porta ad una stratificazione diagnostica/prognostica, così da adeguare l’uso delle risorse terapeutiche alla severità della malattia. I pazienti di classe I presentano una forma di ischemia acuta con claudicatio severa, senza dolore a riposo; la pressione arteriosa della caviglia è generalmente superiore a 50 mmHg, ma si ha una ridotta tolleranza allo sforzo fisico (con caduta pressoria sotto a 50 mmHg). In questi casi generalmente si imposta una terapia antiaggregante ed anticoagulante e si consulta un angiologo per un trattamento invasivo semi-elettivo nei giorni successivi. I pazienti di classe II presentano una forma di ischemia acuta con claudicatio severa e dolore a riposo, con delle pressioni arteriose alla caviglia inferiori a 40 mmHg; i polsi periferici sono molto ridotti e/o assenti. Il paziente deve essere ricoverato d’urgenza e trattato da un angiologo per un trattamento di urgenza; i pazienti con segnale Doppler assente, deficit sensitivi senza deficit motori possono essere trattati mediante trombolisi intra-arteriosa (che può durare fino a 24 ore), mentre i pazienti con deficit motori e/o deficit sensitivi persistenti richiedono un trattamento endovascolare e/o chirurgico di urgenza. Infine i pazienti di classe III presentano una forma di ischemia acuta con segnale Doppler assente, rigor muscolare, anestesia profonda e paralisi; in questi casi è presente una ischemia irreversibile ed il trattamento è tipicamente mediante amputazione.


ARTERIOPATIA CRONICA ARTI INFERIORI:
Per arteriopatia cronica degli arti inferiori si intende una condizione clinico-patologica caratterizzata dalla presenza di un insufficiente apporto ematico cronico degli arti inferiori, generalmente (ma non solo) manifestazione clinica a livello periferico dell’aterosclerosi. La caratteristica clinica predominante è la presenza di un dolore ischemico presente agli arti inferiori, generalmente manifesta come claudicatio intermittens (definita come un discomfort riproducibile di un determinato gruppo di muscolari che viene indotto dall’esercizio e migliora con il riposo), anche se esistono numerose eccezioni.

La malattia é molto diffusa, la cui prevalenza aumenta con l’età; dallo Studio Framingham si dimostra una prevalenza del 1.4-3.1% fra 40-49 anni, che sale a 6.0-9.0% fra 60-69 anni. Nei paesi occidentali si stima ne siano affetti circa 27 milioni di persone. Per quello che concerne la mortalità i pazienti con ischemia cronica agli arti inferiori presentano una ridotta spettanza di vita, per una forte concomitanza di patologie coronariche (con una mortalità aumentata di 2.6 volte rispetto alla norma) ed aterosclerotiche diffuse.


EZIOPATOGENESI:
L’aterosclerosi rappresenta la condizione più frequente (94.3% dei casi); con dei precisi fattori di rischio che sono comuni al processo aterosclerotico diffuso, quali  il fumo (1.4 volte ogni 10 sigarette), diabete mellito (2.6 volte), l’ipertensione arteriosa (1.5-2.2 volte), dislipidemie (1.2 volte ogni 40 mg/dl), il sesso maschile, l’iperomocisteinemia, ecc…; la presenza di diabete mellito aumenta le ostruzioni distali (nel microcircolo) con  comparsa di calcificazioni diffuse. Esiste una associazione con patologie cerebrovascolari, renali, aorta (stenosi/aneurismi), coronarie, ecc… La malattia di Burger (4.9% dei casi) è una angioarterite obliterante idiopatica, generalmente secondaria a condizioni infettive-endocrine che colpisce arterie, vene e nervi degli arti, soprattutto quelli inferiori. Le vasculiti raramente possono provocare occlusione arteriosa, soprattutto per arterie di minimo diametro; vengono trattate di solito mediante tperapia medica. La small aorta syndrome (0,1% dei casi) si caratterizza per un’ipoplasia del tratto terminale dell’aorta addominale (con un diametro  medio inferiore a 15 mm), che si estende alle arterie Iliache (diametro inferiore a 7 mm) e che colpisce soprattutto le donne fumatrici. Infine l’intrappolamento popliteo (0,6% dei casi) si caratterizza per una compressione estrinseca dell’arteria poplitea, generalmente secondario ad alterazioni morfologiche dei rapporti anatomici con il canale degli adduttori ed il muscolo gastrocnemio.


FISIOPATOLOGIA:
Nel contesto della malattia arteriosclerotica i circoli collaterali si sviluppano molto bene, dato che il processo ischemico appare lento e cronico; le driving force date dalla differenza pressoria fra le aree ben perfuse e le aree malate porta ad un aumento di calibro dei vasi collaterali. Il riscontro angiografico conferma difatti l’identificazione di collaterali molto sviluppati, indice di una stenosi cronica e significativa). Si hanno diversi sistemi collaterali quali il sistema epigastrico, il sistema lombare, il sistema mesenterico, il sistema iliaco-femorale ed il sistema iliaco-iliaco. A livello emodinamico le stenosi locali provocano differenze pressorie trans-stenotiche, compensate da una vasodilatazione periferica a livello arteriolare (similmente alla “riserva coronarica”); quando compare una riduzione di flusso superiore al 75% si assiste alla comparsa  dei sintomi, che possono essere da sforzo (per una maggiore richiesta di ossigeno associata al calo pressorio), ma anche a riposo (in caso di una stenosi che diviene critica).

Dal punto di vista di stratificazione diagnostica, si parla di ischemia funzionale, che rappresenta una tipologia di ischemia dove i sintomi compaiono durante lo sforzo e solitamente sono riproducibili in una particolare unità muscolare eseguendo lo stesso sforzo, mentre cessano con il riposo. Tale tipo di disfunzione comprende gli Stadi I-II di Leriche-Fontaine. Per ischemia critica invece si intende una tipologia di ischemia dove si ha un dolore anche a riposo (che persiste da almeno 2 settimane), nonostante la terapia analgesica continua, associate inoltre alla comparsa di lesioni trofiche all’arto. Generalmente si ha una ischemia critica quando si hanno gli stadi III-IV di Leriche-Fontaine.


CLINICA:
Molti dei pazienti affetti da patologia ischemica cronica sono asintomatici al momento della diagnosi e/o durante la propria vita (20-50%); la condizione viene detettata durante un esame fisico di routine (per anomalie dei polsi periferici, soffi vascolari, anomalie dell’indice caviglia/braccio) o durante un peggioramento dello stato cardio-circolatorio come in ICU. 

In caso di sintomatologia, il paziente lamenta diversi sintomi. La claudicatio intermittens é un dolore crampiforme a carico di un distretto muscolare (a valle di una ostruzione vascolare), che insorge durante l’esercizio e si risolve al suo cessare. Esiste una correlazione fra la sede sintomatica e la sede dell’ostruzione, per cui in base alla sintomatologia si può già prevedere dove si dovrà andare ad intervenire: per una sintomatologia al gluteo ed all’anca si deve pensare ad un coinvolgimento aorto-iliaco, per una sintomatologia a carico della coscia si deve pensare ad una patologia aorto-iliaca e/o dell’arteria femorale; per una sintomatologia a carico del polpaccio superiore si pensa ad una patologia dell’arteria femorale superficiale, del polpaccio inferiore ad una patologia dell’arteria poplitea, mentre per una sintomatologia al piede, la patologia é principalmente riconducibile all’arteria tibiale o peroneale. Il dolore può comparire anche a riposo (per la presenza di necrosi e/o di sofferenza ischemica), anche se generalmente il dolore é tipico di occlusioni vascolari acute e/o per la presenza di occlusioni multiple a livello dell’asse femoro-popliteo-tibiale; quando compare il dolore ci si trova di fronte ad una stenosi critica. Un altro sintomo é una riduzione della potenza sessuale, per ridotta irrorazione delle arterie ipogastriche (e dei suoi rami), con un ridotto afflusso di sangue a livello dei corpi cavernosi. Compaiono inoltre crampi addominali, generalmente secondari ad un “furto di sangue” da parte dell’arteria mesenterica.

All’ispezione clinica si hanno estremità pallide (per ipoperfusione), blu-cianotiche in ortostasi; cute bianca, sottile, lucida, generalmente senza annessi cutanei, con unghie che appaiono distrofiche. Alla palpazione l’arto appare ipotermico, con un’assenza/riduzione dei polsi arteriosi. All’auscultazione si hanno dei soffi vascolari lungo il decorso delle arterie principali, espressione di stenosi. L’Ankle-Brachial Index (ABI) é una metodica semplice ed economica che permette di porre diagnosi di patologia ostruttiva a livello degli arti inferiori, misurando mediante sonda Doppler la pressione sistolica a riposo e dopo sforzo a livello della caviglia e del braccio; permette inoltre di valutare la severità di malattia (generalmente si prendono 4 misurazioni e si prende la più alta). Lo studio dell’ABI è fondamentale per identificare la quota di pazienti asintomatici con arteriopatia periferica cronica (circa 29%, di cui il 45% non avrà mai sintomatologia). L’ACC/AHA utilizza l’ABI come metodo diagnostico per la diagnosi di arteriopatia cronica periferica e deve essere utilizzato in tutti i pazienti a rischio di evoluzione verso tale patologia (vedi precedentemente). Si hanno valori normali quando si ha un ABI 1.0 - 1.3, dato che la pressione è fisiologicamente maggiore nella caviglia rispetto al braccio; valori con ABI superiore a 1.3 suggeriscono una patologia calcifica non compressibile delle arterie (identifica pazienti ad alto rischio cardiovascolare, come i pazienti con ABI inferiore a 0.4), anche se la specificità è minore e richiede l’esecuzione di un Doppler vascolare. Si hanno valori ridotti (forma lieve) quando si ha un ABI 1.0 - 0.9 che con una sensitività del 95% ed una specificità del 100% dimostra la presenza di arteriopatia periferica; si associa alla presenza di una stenosi vascolare superiore al 50%. Quando si hanno valori ridotti (forme moderate) si ritrova un ABI fra 0.4 - 0.9, suggerendo la presenza di una ostruzione arteriosa spesso associata con claudicatio. Infine quando si riscontrano valori ridotti (forme severe) si ha un ABI inferiore a 0.4, caratterizzando quadri clinici di ischemia avanzata.





IMAGING:
L’EcoColorDoppler permette di valutare la Morfologia vascolare (in particolare il diametro, la lunghezza ed il decorso vascolare) e la presenza di stenosi (la sede, le caratteristiche, eventuali calcificazioni, ecc…). La valutazione viene fatta dimostrando la perdita del flusso trifasico (che esiste in un vaso sano e che si ha prima dell’ostruzione) che diviene monofasico (a valle della stenosi). I vantaggi sono la non-invasività, l’accuratezza (tranne nel canale di Hunter), anche se la metodica appare limitata da alcuni svantaggi come in caso di calcificazioni parietali e/o in caso di interposizione d’aria.





L’angioRMN visualizza l’albero arterioso mediante mezzi di contrasto magnetici non tossici; l’esame é vantaggioso in termini di bassa invasività, ottima sensibilità femoro-poplitea, anche se é limitato per la scarsa  sensibilità in caso di calcificazioni ed una scarsa accuratezza a livello tibiale. L’angiografia rappresenta la metodica gold-standard, che ad oggi si effettua mediante metodiche a “sottrazione d’immagine”, che consentono mediante la sottrazione di immagini vascolari dalle altre strutture anatomiche, di magnificare i contrasti naturali. La metodica é invasiva ed utilizza radiazioni ionizzanti; possono inoltre insorgere complicanze quali reazioni al mezzo di contrasto (4%), ematomi/sanguinamenti (2%), nefropatia da mezzo di contrasto (0.2-1.4%), embolizzazioni di colesterolo (0.1%), dissezioni vascolari, ecc…








DIAGNOSI DIFFERENZIALE:
E’ estremamente importante porre una corretta diagnosi differenziale con patologie non vascolari che possono mimare la claudicatio intermittens (chiamata pseudoclaudicatio), valutando la pianta del piede (con o senza calzatura) per quelli che sono i caratteri clinici della vasculopatia cronica periferica. A livello della claudicatio glutea/anca (dove la patologia ateromasica è localizzata a livello dell’asse aorto-iliaco e/o dell’arteria femorale superficiale) la diagnosi differenziale va posta con la coxartrosi e/o con la pseudoclaudicatio (neurogena, dovuta ad un canale spinale stretto). A livello della claudicatio del polpaccio, dove la patologia è localizzata superiormente all’Arteria Femorale superificale, inferiormente all’Arteria Poplitea la diagnosi differenziale va posta con la restlesslegs syndrome ma anche con sintomi mialgici che possono comparire negli atleti anche a riposo.




PROGNOSI:
L’ACC/AHA ha divulgato nel 2005 le ultime linee guida su tale patologia, indicando anche l’evoluzione della stessa in base alla severità della malattia; la storia naturale della patologia vede un 65-75% dei pazienti con stabilità sintomatologia e/o qualche miglioramento; un 25-35% dei pazienti vede un progressivo peggioramento, rendendo necessaria una terapia chirurgica, mentre 5% dei pazienti va incontro alla comparsa di  ischemia critica. La mortalità cardiovascolare correla in maniera diretta con la severità dell’arteriopatia periferica (calcolata mediante ABI) e fra i pazienti con ischemia critica le linee guida stimano che ad un anno il 50% dei pazienti è vivo con entrambi gli arti, un 25% va incontro ad amputazione, mentre un 25% muore per cause cardiovascolari.





MANAGEMENT TERAPEUTICO:
Una volta che viene posta la diagnosi di arteriopatia cronica a livello degli arti inferiori è importante eseguire una corretta stratificazione del rischio al fine di poter correttamente applicare la giusta terapia alla tipologia di paziente. Innanzitutto si deve procedere con una valutazione del rischio cardiovascolare, valutando i diversi fattori di rischio cardiovascolare e modificandoli mediante cessazione del fumo, riduzione della colesterolemia, riduzione della HbA1C (che deve risultare inferiore a 7%), controllo dell’ipertensione arteriosa (inferiore a 130/85 mmHg) mediante impostazione di una terapia con ACE-inibitori e terapia con antiaggreganti piastrinici (ASA o Clopidogrel). A questo deve fare seguito una stratificazione della severità che si esegue mediante la misurazione dell’ABI, valutando eventuali limitazioni funzionali e valutando una prima eventuale risposta alla terapia medica. I pazienti che non migliorano con la terapia farmacologica dovranno essere valutati come i pazienti con ischemica critica. I pazienti con ischemica critica generalmente sono pazienti che presentano una clinica di Leriche-Fontaine pari al grado III-IV e/o con un ABI inferiore a 0.4: in queste situazioni si deve identificare la sede della lesione (clinicamente, tramite EcoColorDoppler, AngioRMN, Angiografia, ecc…) e passare ad una rivascolarizzazione mediante by-pass e/o angioplastica.

CENNI DI TERAPIA:
Le indicazioni attuali per ricorre alla terapia medica si basano sulla presenza di una claudicatio non invalidante e/o per pazienti inoperabile (assenza di run-off, gravi copatologie, ecc…). Per quello che concerne la terapia fisica (che ovviamente non può essere eseguita in ICU) il paziente deve effettuare esercizio fisico (come passeggiate/bicicletta), poco oltre il proprio limite sintomatico, così da incrementare giorno dopo giorno le proprie prestazioni (si deve avere un incremento del 150% entro 3-12 mesi); i primi benefici si notano entro 1-2 mesi dall’inizio dell’esercizio. A questo va associato un controllo dei fattori di rischio dell’aterosclerosi, soprattutto per quello che concerne la colesterolemia (con LDL inferiori a 100 mg/dl) ed i trigliceridi. Va controllata anche la pressione arteriosa (che deve risultare inferiore a 90-140 mmHg) e l’emoglobina glicata (inferiore a 7%).

La terapia farmacologica si basa sull’uso di antiaggreganti come aspirina (75-325 mg die) che si é dimostrata in grado di ridurre il rischio di morte da cause vascolari, l’insorgenza di infarto miocardico e di stroke del 25%. In pazienti con intolleranza a tale farmaco si consiglia l’uso di tienopiridine (come il clopidogrel o la ticlopidina), mentre non ci sono benefici dall’utilizzo di altre terapie associate. Ulteriori terapie sono l’uso di vasodilatatori (come la raubasina, blufomedil, ecc…) che sono risultati poco efficaci e le prostacicline [come Ilomedina®] che ad oggi si utilizzano solo per pazienti inoperabili, con ischemia critica; il loro reale beneficio sul microcircolo in alcuni studi viene messo in dubbio.

La terapia antinocicettiva é un insieme eterogeneo di metodiche, che portano ad un blocco reversibile dei gangli simpatici e/o analgesia epidurale, ecc…; fra queste metodiche, la più utilizzata è la spinal cord stimulation, che viene indicata per pazienti con dolore a riposo, non candidabili alla chirurgia e non responders alla terapia farmacologica. La fase I è il periodo di stimolazione locale, che avviene tramite l’utilizzo di uno stimolatore esterno, generalmente della durata di 1 settimana – 1 mese e che permette di valutare l’efficacia della terapia, il giusto posizionamento della stimolazione elettrica, la presenza di effetti collaterali, ecc…. La fase II è il periodo definitivo, dove l’impianto elettronico viene stabilizzato sottocute localmente, così da dare una stimolazione spinale continua, ad affetto anti-nocicettivo.

Per quello che concerne la terapia chirurgica, il paziente viene candidato alla terapia chirurgica quando si ha una claudicatio intermittens invalidante e/o la sindrome di Leriche e/o una ischemia critica all’arto. Esistono fattori di rischio operatori che aumentano la mortalità e la morbidità quali: il diabete mellito severo, situazioni di insufficienza respiratoria, insufficienza renale cronica ed insufficienza epatica.

  1. La TEA (Trombo-Endo-Arterectomia) si effettua generalmente a livello delle sedi aorto-iliache; generalmente poco utilizzata in questo distretto (perché molto più difficile da eseguire), viene effettuata se si ha un interessamento patologico del carrefour aortico, con una terapia che permette una buona rivascolarizzazione. Offre il vantaggio di una lunga durata negli effetti e viene quindi preferita soprattutto nei pazienti giovani. Le controindicazioni sono la presenza di calcificazioni estese (per le complicanze tecniche ad eseguire l’intervento), il riscontro di aneurismi, la presenza di kinkling/coiling vascolari e/o di arteriti.
  2. Il bypass vascolare é certamente una metodica più diffuse e di maggiore utilizzo, perché più semplice della TEA, vantaggioso nei pazienti anziani e/o ad alto rischio operatorio. L’intervento aumenta il rischio di sviluppare pseudoaneurismi e/o infezioni per la presenza di una protesi di materiale inerte. Il bypass vascolare può essere di diverso tipo; il bypass aorto-bifemorale si effettua per ostruzioni molto estese, dove non è possibile l’asportazione della placca. Si effettua una accesso transperitoneale (generalmente xifo-pubico, dopo aver delocalizzato il mesentere e liberato il carrefour aortico) o extraperitoneale (tipicamente laterale, tecnicamente più complesso, ma con una più rapida canalizzazione dell’intestino ed una ridotta invasione operatoria). Si usano protesi sbeccate, per evitare la formazione di turbolenze vascolari, cui fa seguito la posa di un drenaggio retroperitoneale (che generalmente rimane in sede per 1 giornata post-operatoria). Il bypass femoro-popliteo si effettua per occlusioni sovragenicolate (dovute ad occlusione dell’arteria femorale superficiale), ponendo l’arto inferiore extraruotato, in decubito supino, con un accesso verticale (a metà della linea ileo-pubica, concava medialmente per evitare i linfonodi, oppure lungo il margine anteriore del muscolo sartorio), cui segue l’arteriotomia, la tunnellizzazione e l’anastomosi locale. Per l’utilizzo di Bypass si possono utilizzare diverse tipologia di grafts, sia di tipo sintetico (con protesi in Dacron, PTFE, ecc…) che autograft (tramite la vena Grande Safena devalvolarizzata), ma anche composti biologici di nuova generazione. Tra le complicanze generate dall’intervento di bypass si annovera la trombosi acuta, si tratta di trombi occlusivi che compaiono entro 30 giorni dall’intervento chirurgico; può essere secondario a diversi meccanismi, quali difetti tecnici per inginocchiamenti del graft (da un’eccessiva lunghezza della protesi), torsioni, flaps intimali, ecc…, run-off insufficienti (che occorrono soprattutto se si ha una patologia anche dei vasi tibiali), stati di ipercoagulabilità ed ipotensione post-operatoria. Altre complicanze possono essere le trombosi tardive, solitamente secondarie ad una iperplasia intimale (spesso generate da reazioni post-operatorie) o da progressione del processo aterosclerotico. Infine si annoverano alcune complicanze locali come ematomi, infezioni, pseudoaneurismi, linfocele/linforrea ed edema dell’arto inferiore.
  3. PTA: l’approccio percutaneo mediante catetere si associa tipicamente all’impianto di stents per correggere eventuali dissezioni vascolari (soprattutto in caso di vasi molto calcifici) e ridurre il numero di recidive. Le indicazioni alla PTA sono per lesioni brevi/isolate, su vasi di grosso calibro, in sede non ostiale e con lesioni che non si localizzano in pieghe anatomiche (gomito, poplite, ecc…). La PTA é una metodica che viene preferita soprattutto nei pazienti più giovani di 50 anni perché sono a maggior rischio di fallimento terapeutico in caso di una terapia chirurgica rispetto ai pazienti anziani, dato che possiede una mortalità e/o un rischio di amputazione pari a quello della chirurgia. La mortalità a breve termine (0-2.9%) e le complicazioni maggiori (2-10%) sono inferiori alla chirurgia (rispettivamente 1.3-6.3% e 10-15%). La rivascolarizzazione (chirurgica/percutanea) si associa un miglioramento progressivo della distanza percorsa durante una camminata, con riduzione significativa del dolore per il paziente; un fattore predittivo di buona risposta alla terapia è un’elevazione significativa dell’indice di Windsor subito dopo l’intervento.




(continua...)


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