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La anestesia ed analgesia epidurale (Capitolo 1.8)





Nonostante alcuni recenti studi abbiano messo in discussione il reale impatto della tecnica sugli outcomes a lungo termine e conseguentemente il suo rapporto rischi/benefici, l’anestesia epidurale resta tuttora nella maggior parte dei centri chirurgici il gold standard per l'anestesia e l'analgesia postoperatoria degli interventi maggiori su torace e addome, in particolare quando questi sono associati ad un dolore postoperatorio di intensità moderata-severa, come nell’approccio chirurgico toracotomico o laparotomico mediano o sottocostale.



Interventi chirurgici come la lobectomia polmonare, le resezioni epatiche o la grande chirurgia del tratto digerente viene al giorno d'oggi nella maggior parte dei casi ancora effettuata con un’anestesia cosiddetta combinata che sfrutta la deafferentazione antalgica e la simpaticolisi fornita dall'anestesia epidurale per ridurre la profondità del piano anestetico intraoperatorio e per fornire un controllo ottimale e selettivo del dolore postoperatorio. Lo scopo è quello di minimizzare la variabilità emodinamica intraoperatoria e postoperatoria legata alla stimolazione chirurgica ed al dolore, evitando un elevato utilizzo di oppioidi, con i conseguenti effetti collaterali.

L’anestesia epidurale quando effettuata a livello toracico offre inoltre vantaggi particolari, legati all’inibizione degli impulsi efferenti dal sistema ortosimpatico costituito dai gangli della catena toracica. Questo di fatto si traduce in un effetto beta-bloccante simile, con rallentamento della frequenza cardiaca ed attenuazione della risposta ipertensiva allo stress chirurgico. L'effetto clinico è particolarmente utile nei pazienti a rischio di ischemia miocardica, nei quali può tradursi in una riduzione degli eventi ischemici perioperatori. Un ulteriore effetto clinico con impatto significativo sul decorso postoperatorio, particolarmente importante nei pazienti broncopneumopatici e dopo chirurgia toracica maggiore e chirurgia laparotomica dei quadranti addominali superiori è quello risultante in una migliore escursione respiratoria e in una tosse più efficace, che sono state associate ad una minor incidenza di infezioni respiratorie postoperatorie, dovute per lo più al ristagno di secrezioni nell’albero bronchiale.

D'altro canto l’anestesia epidurale è una tecnica invasiva ed in quanto tale presenta specifici rischi, legati alla lesione diretta delle strutture nervose, all’ematoma conseguente a lesioni vascolari ai danni dei sinusoidi epidurali, ad infezioni ed a problematiche legate all’anestetico locale utilizzato (allergie, tossicità acuta). Inoltre la simpaticolisi indotta dal blocco epidurale, specialmente quando localizzato a livello basso toracico-alto lombare, è frequentemente causa di ipotensione, particolarmente nel paziente chirurgico, che è spesso ipovolemico come conseguenza del digiuno preoperatorio, della preparazione gastrointestinale, delle perdite ematiche intraoperatorie e della perspiratio conseguente alla prolungata esposizione dei visceri. La simpaticolisi epidurale è per lo più dovuta ad una vasodilatazione del letto vascolare splancnico a livello venulare ed, in secondo luogo, arteriolare, con sequestro di sangue e ipovolemia relativa che porta a diminuzione acuta del cardiac output e dunque a ipotensione arteriosa

Come per tutte le tecniche invasive dunque, l'anestesia peridurale impone un attento bilancio di rischi-benefici contestualizzato secondo lo stato cinico dl paziente ed il tipo di anestesia-analgesia richieste. Dal momento che numerosi pazienti sottoposti ad interventi chirurgici maggiori vengono gestiti con anestesia epidurale e che molti di loro hanno un decorso postoperatorio che prevede un periodo di sorveglianza in ambiente intensivistico, è ovvio che una corretta analgesia epidurale postoperatoria per raggiungere i necessari standard di efficacia e sicurezza debba prevedere una gestione congiunta del catetere epidurale e del regime infusionale di anestetico locale da parte del personale di anestesia e di quello di terapia intensiva, onde evitare una gestione dellanalgesia  schizofrenica o peggio ancora avulsa dal contesto clinico del paziente. Ne consegue la necessità per il personale di cura operante in terapia intensiva di acquisire competenze specifiche nella gestione dell’analgesia epidurale, il che presuppone un’adeguata comprensione della tecnica.


ANATOMIA E TECNICA
L’anestesia epidurale (o peridurale)  consiste in un’anestesia delle radici dei nervi spinali a livello dello spazio epidurale, che esita in un’anestesia bilaterale metamerica non selettiva, su cui diverse variabili esercitano un’influenza specifica riguardo all’effetto clinico finale (estensione e densità del blocco anestetico sensitivo, simpatico ed eventualmente motorio). Tra queste variabili le principali sono la sede di iniezione e la tecnica utilizzata (continua vs single shot, orientamento dell’ago, velocità di iniezione), le caratteristiche dell'anestetico locale (dose, tipo, volume, eventuali adiuvanti), le u (peso, altezza, età, decubito, anomalie anatomiche). Essa può essere effettuata a qualsiasi livello della colonna vertebrale, sia cervicale, che toracico, che lombare, che sacrale (in tal caso l'accesso avverrà tramite lo jato sacrale e la tecnica prenderà il nome di anestesia caudale). In questo capitolo ci concentreremo sulle sedi lombare e toracica, prevalentemente utilizzate nella maggior parte degli interventi chirurgici effettuati in anestesia combinata.

Benché alcune tecniche di imaging possano essere impiegate con successo per l'individuazione della corretta sede di iniezione, come ad esempio la fluoroscopia e l'ecografia (prevalentemente impiegate in terapia del dolore), al giorno d'oggi la tecnica maggiormente utilizzata per localizzare lo spazio epidurale è ancora quella della cosiddetta perdita di esistenza, consistente nel detectare una netta differenza nella resistenza offerta dai tessuti all'inizione quando, attraversate le strutture più solide e fibrose come i diversi legamenti che connettono le strutture ossee vertebrali, la punta dell'ago raggiunge appunto lo spazio paravertebrale, che, contenendo solo grasso, vasi sanguigni e appunto le radici nervose, non offre che una minima resistenza all’iniezione.

Il materiale utilizzato consiste in un agodetto di Tuhoy, ossia un ago direzionale con la punta smussa orientata verso l'alto ed un’imougnatura in genere ergonomica che ne facilita la salda presa durante l'avanzamento. Esso è in genere dotato di stiletto per evitare il carotaggio dei tessuti mantenendo la sterilità dello spazio epidurale, è disponibile in diverse misure ma in genere ha un calibro tale da consentire l'avanzamento di un catetere. La punta smuss, non tagliente  e ricurva consente da un lato di apprezzare maggiormente la diversa consistenza dei tessuti durante l'avanzamento e di minimizzare i danni alle strutture, dall'altro di direzionare il catetere inserito attraverso esso, orientandolo verso una direzione specifica (in genere, ma non necessariamente, craniale rispetto al punto di inserzione dell’ago). Ad esso viene connessa una siringa a bassa resistenza, ossia il cui stantuffo, privo di guarnizioni, non offre resistenza all'iniezione, il che consente maggiormente di apprezzare anche piccole variazioni nella resistenza offerta all'iniezione dai tessuti direttamente alla punta dell'ago.

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La versione completa di questo capitolo e degli altri capitoli di Neurologia indicizzati su questo sito sono da oggi disponibili alla pagina http://www.lepenseur.it/bookshop/56-manuale-di-medicina-intensiva-neurologia-9788895315461.html

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