La pancreatite acuta è una condizione clinico-patologica severa, potenzialmente letale, caratterizzata da uno stato infiammatorio acuto del pancreas; è una condizione estremamente importante che va riconosciuta e trattata precocemente. La diagnosi può essere difficile in alcune situazioni e spesso il decorso non è facilmente prevedibile (può evolvere in SIRS, shock settico, MOF, ecc…); inoltre, un punto estremamente importante da ricordare che appare importante in caso di pancreatite, un approccio multidisciplinare fra l’intensivista, il chirurgo ed il gastroenterologo per una corretta presa a carico.
La malattia presenta un’incidenza di circa 21-900 casi per milione di abitanti ogni anno; l’incidenza cambia da regione a regione, ma è in progressivo aumento, soprattutto a causa dell’aumento dell’ingestione di alcol etilico fra i giovani e l’incremento di calcolosi biliari. La mortalità della malattia si attesa attorno al 2-14%, ma nelle forme severe necrotiche arriva fino al 10-40%; negli ultimi decenni è andata in riduzione sia per l’incremento delle forme più moderate che per un miglioramento del trattamento in ICU. I pazienti oltre 60 anni sono inoltre a maggior rischio di morte. Il rapporto maschi:femmine si attesa fra 1:1.2 e 1:1.5, con una maggiore prevalenza di forme biliari fra le femmine, e di forme da alcol fra la popolazione di sesso maschile.
EZIOPATOGENESI:
L’eziologia può essere legata ad un’ostruzione meccanica (in caso di litiasi biliare, microlitiasi/sludge biliare, disfunzione dello sfintere dell’Oddi, alterazioni congenite/organiche, ecc…) oppure può essere legata ad alterazioni chimico-metaboliche (come nelle forme da alcol/farmaci, da ipertrigliceridemia, da ischemia locale, ecc…), da farmaci (come l’azatrioprina, i sulfamidici, il metronidazolo, ecc…), da infezioni virali (come da CMV, EBV) o per la presenza di parassiti (Toxoplasma spp, Cryptosporidium spp, ecc…) ed infine per forme vascolari (come da ischemia o vasculiti). Circa l’80% delle cause globali sono dovute a calcoli biliari ed alcol etilico, mentre un 10% delle forme rimangono idiopatiche. Per quello che concerne il meccanismo patogenetico le diverse cause sopraelencate possono provocare un danno cellulare con modificazioni nelle membrane lipidiche dei diversi vacuoli che contenengono differenti proenzimi (come il tripsinogeno, ecc…), generando una co-localizzazione degli enzimi lisosomiali all’interno degli stessi vacuoli ed attivando la tripsina. I calcoli biliari provocano per occlusione un accumulo di bile nel pancreas, con solubilizzazione delle membrane, mentre l’alcol etilico agisce solubilizzando le membrane stesse cellulari con azione diretta, ecc… Se a questo meccanismo viene inoltre associata un’inadeguatezza dei alcuni inibitori specifici localizzati nel pancreas (come l’α1-antitripsina), gli stimoli eziologici superano le capacità di difesa cellulare generando un’infiammazione locale.
A tal proposito la fisiopatologia della forma biliare é abbastanza ben conosciuta; l’ostruzione della papilla di Vater da parte di uno o più calcoli biliari genera un reflusso bilio-pancreatico che può essere pericoloso per il pancreas soprattutto se si ha un dotto in comune fra pancreas e vie biliari. Questa ostruzione comporta un aumento pressorio intraduttale che porta ad edema ed ipertono dello sfintere dell’Oddi, secondario al passaggio dell’eventuale calcolo o dello sludge biliare. Questo passaggio porta allo sfiancamento dello sfintere, con generazione di reflusso duodeno-pancreatico con ulteriore rischio di solublizzazione delle membrane con l’ingresso di materiale duodenale.
1) RICONOSCERE LA PANCREATITE:
Il primo elemento chiave per la corretta gestione della pancreatite é la diagnosi di malattia; purtroppo non sempre è facile riconoscere una pancreatite acuta, perché i parametri clinici, di laboratorio e di imaging non sono sempre chiari ed univoci. È quindi importante considerare una possibile pancreatite in caso di dolori addominali non natura non chiara.
CLINICA:
La diagnosi appare facile quando il paziente presenta dolore addominale a barra, nausea/vomito ed un incremento delle amilasi/lipasi sieriche oltre 3 volte i limiti di norma; purtroppo non sempre tutto appare così chiaro ed inoltre anche la classificazione clinica fra forme lievi e severe non è sempre altrettanto chiara (può manifestarsi coma diabetico, ipotermia severa, shock settico, sanguinamento gastro-enterico, ecc.. tutti fattori confondenti ed in grado di mascherare la pancreatite iniziale). Generalmente nelle forme lievi si ha dolore addominale a barra (si veda il capitolo dedicato alla valutazione clinica dell’addome, Capitolo 4.0), edema interstiziale, microfocolai necrotici, fattori di rischio per steatosi pancreatica, assenza di complicanze (locali/sistemiche) e tipicamente una risoluzione spontanea (in 3-15 giorni). Nelle forme severe la gravità della pancreatite è fortemente correlata con il grado di necrosi pancreatica; nonostante molti casi siano auto-limitanti, circa il 15% dei pazienti può arrivare ad avere necrosi generale e multi-organ failure; a questo può associarsi dolore addominale (molto intenso, tipicamente a barra orizzontale a metà dell’addome), focolai necrotico-emorragici, complicanze locali (come necrosi, ascessi, pseudocisti, ecc…) ed eventualmente complicanze sistemiche (MOF).
LABORATORIO:
Il laboratorio permette di confermare la diagnosi mediante il riscontro di un incremento delle amilasi (oltre 3 volte i limiti di norma), delle lipasi (oltre 3 volte i limiti di norma) e degli indici di flogosi; é da ricordare che il livello di elevazione degli enzimi NON correla con la severità della malattia. Esistono alcuni indicatori precoci di pancreatite (come l’IL6, la IL8, il TAP, ecc…) che risultano indicativi se utilizzati entro 8 ore dall’insorgenza della patologia, ma che sono comunque tecnicamente difficili da eseguire e costosi; attualmente pertanto non sono validati ed utilizzati nella pratica clinica.
IMAGING:
Gli obiettivi diagnostici sono la diagnosi di pancreatite, la diagnostica differenziale fra forme lievi (edematose) e forme gravi (necrotiche), la stratificazione prognostica (mediante identificazione della percentuale di necrosi) e la presenza di eventuali complicanze (infezioni, fistole, ecc...). La radiografia con addome in bianco permette di escludere una perforazione intestinale; in alcuni casi può riscontrarsi un segno aspecifico chiamato segno dell’ansa sentinella che dimostra la presenza di ileo paralitico nell’area pancreatica. L’ecografia addominale é l’esame di prima scelta, in grado di dimostrare un aumento globale o settale delle dimensioni ghiandolari, con una diffusa e disomogenea ipoecogenicità, a contorni sfumati. Può anche documentare l’esistenza di liquido peripancreatico e/o di ascite. I problemi con l’uso di tale tecnica é la difficile la valutazione della coda pancreatica e la presenza di una grande quota di pazienti (fino al 30-40%) che presentano una cattiva finestra acustica (dato che il pancreas é un organo profondo, i pazienti possono avere aria nelle anse intestinali e/o essere obesi). Nonostante l’ecografia sia l’esame di prima scelta, per una maggior valutazione precisa ed accurata generalmente si esegue una TC-addominale con e senza mezzo di contrasto.
La TC-addome è pertanto un esame necessario, in grado di dimostrare un ingrandimento pancreatico diffuso o locale, con una ghiandola a contorni irregolari ed aree di ipodensità per edema o necrosi focale. Un parametro importante é la valutazione di modificazioni nella lobularità ghiandolare (che rappresenta il primo segno di patologia) in maniera diffusa (tipico di una pancreatite) o locale (sospetto per una neoplasia). La TC-addome inoltre permette di eseguire una stadiazione secondo una classificazione che prende il nome di classificazione di Balthazar-Ranson che si basa su 5 punti: le forme lievi sono dalla A fino alla C, mentre le forme D ed E vengono considerate forme severe. Nella forma A il pancreas appare nella norma, mentre nella forma B si riscontra un ingrandimento diffuso e nella forma C si identifica una flogosi peripancreatica. Nelle forme D si identifica inoltre una raccolta fluida singola ed infine nelle forme E si identificano raccolte fluide multiple o aree di gas. La TC-addominale risulta utile inoltre per valutare la necrosi ghiandolare, valutandola mediante il “difetto” di enhancement, confrontando le scansioni pre e post-mezzo di contrasto; in base a questo si stratificano in forme con una percentuale di necrosi attorno a 0% e 0-30% di necrosi caratterizzate da una buona prognosi, a differenza delle pancreatici con necrosi attorno al 30-50% e oltre il 50% del volume pancreatico, che sono caratterizzate da una cattiva prognosi. Infine, l’uso di una TC-addome può identificare un’eventuale infezione mediante rilevazione di gas locale, indice di metabolismo batterico.
La RMN-addome é una tecnica dotata di ottima sensibilità diagnostica, che non utilizza alcun mezzo di contrasto (e nei pazienti con pancreatite questo é un fattore da prendere in considerazione, dato che il 10% di questi presenta anche un’insufficienza renale acuta), e risulta dotata di un’alta risoluzione di contrasto per identificare la necrosi. L’aspetto più controverso nell’uso della RMN-addominale in caso di pancreatite é un aspetto pratico, dato che questi pazienti - soprattutto in situazioni severe - spesso sono equipaggiati con numerosi devices (pompe per infusione di farmaci, infusioni di soluzioni di liquidi, ecc…) e difficilmente riescono a tollerare di stare fermi per un lungo tempo in uno spazio angusto come quello della RMN.
VALUTAZIONE PROGNOSTICA PRECOCE:
Oltre a porre una diagnosi precoce è subito importante valutare i parametri prognostici che possano individuare i pazienti a rischio di ulteriore peggioramento clinico; le indicazioni base sono la comparsa di complicanze locali o distanti (che possono occorrere nel 10-20% dei casi). Per fare questo si utilizza la valutazione clinica e degli score prognostici sviluppati appositamente per tale malattia. Clinicamente nelle prime ore di pancreatite acuta il paziente può stare clinicamente meglio di quello che è realmente; la valutazione clinica a 48 ore è uno degli indici prognostici più importanti. Ci sono parametri generali (come l’età oltre i 60 anni, il BMI oltre 30 Kg/mq, e la presenza di comorbidità) e parametri di funzione d’organo che permettono di valutare la compromissione generale del paziente.
Per quello che concerne gli score prognostici, sono stati sviluppati diversi score, fra cui l’Imrie score che valuta diversi parametri quali la PAO2 inferiore a 8.0 kPa, l’albumina inferiore a 32 g/l, la calcemia inferiore a 2 mmol/l, una leucocitosi superiore a 15 G/l, ASAT superiore a 200 U/l, LDH superiori a 600 U/l, glicemia più grande di 10 mmol/l e urea superiore a 16 mmol/l. Accanto all’Imrie score sono stati sviluppati scores come l’APACHE II score che, seppure non sia stato sviluppato specificatamente per le questa patologia, ha il vantaggio di eseguire una valutazione prognostica generale. Bisogna ricordarsi che nessuno score è predittivo al 100%.
In ambito laboratoristico sono stati studiati diversi valori ad impatto prognostico; amilasi/lipasi non correlano con la severità della malattia, mentre invece sembra esserci qualche correlazione fra i valori di PCR superiori a 150 mg/l ed i valori di PCT (in quanto markers per identificare le forme infettive). Come abbiamo visto, all’imaging si utilizza la TC-addominale con constato per eseguire lo score di Balthazar, possibilmente con una rivalutazione a 72 ore che si é dimostrata avere un impatto prognostico maggiore rispetto alla valutazione d’ingresso.
VALUTAZIONE EZIOLOGICA:
Nei paesi industrializzati l’abuso di alcol e la coledocolitiasi sono le cause più frequenti di pancreatite (45% e 35% rispettivamente), mentre altre forme sono post-traumatiche, iatrogene (post-ERCP, post-chirurgiche, da farmaci). E’ importante individuare la causa perché la terapia precoce è nettamente differente; generalmente le forme post-ERCP/chirurgiche hanno una prognosi peggiore perché fanno seguito alla presenza di una co-patologia che ha richiesto l’intervento medico.
Nella forma biliare-coledocica la pancreatite fa seguito all’impatto di un calcolo che transita nel coledoco e che si ferma allo sfintere dell’Oddi dove si ha una compressione locale, un incremento della pressione nei dotti, con sviluppo di pancreatite. Bisogna pertanto rimuovere il calcolo ed eseguire una sfinterectomia in alcuni casi selezionati (va ricordato che l’ERCP e la sfinterectomia possono peggiorare il processo infiammatorio e portare a perforazione intestinale, emorragie locali, ecc…); generalmente tale manovra si esegue in caso di persistenza locale del calcolo (individuato mediante ecografia endoscopica o MRCP) con concomitante pancreatite acuta severa. A questo va aggiunto poi il trattamento antibiotico per la colangite e la prevenzione della sovrainfezione dell’area sanguinante. Nella forma biliare-colecistica la rimozione della colecisti deve essere eseguita in maniera elettiva, dato che a 3 mesi il 30% dei pazienti è a rischio di recidiva; nelle forme acute generalmente si attende 4-6 settimane, al fine di ridurre l’entità della infiammazione locale.
2) MANAGEMENT DELLE FORME SEVERE:
Negli ultimi due decenni il miglioramento della terapia di supporto nei pazienti con pancreatite severa ha portato ad una riduzione della mortalità; è quindi importante identificare questi pazienti e trattarli precocemente. Ad oggi non esiste alcuna terapia in grado di bloccare la risposta infiammatoria pancreatica, per cui l’unica terapia è quella di supporto e di trattamento/prevenzione delle complicanze cliniche.
TERAPIA DI SUPPORTO:
Nonostante la terapia di supporto sembri una terapia base è una parte essenziale della terapia, in grado di migliorare nettamente la sopravvivenza del paziente sia per il supporto fisico che per la prevenzione ed il trattamento precoce delle complicanze. Si deve inoltre impostare una terapia generale con PPI, prevenzione della trombosi venosa profonda, monitoraggio dei parametri clinici e di laboratorio, ecc... con trattamento delle singole anomalie.
A livello del sistema cardiovascolare si tratta di stabilizzare e supportare il circolo tramite amministrazione di fluidi, amine ed inotropi secondo il protocollo standard per stabilizzare il paziente, ricordandosi della possibilità di sviluppare ipertensione addominale per edema peri-pancreatico con rischio di ipoperfusione splancnica. E’ noto anche che una eccessiva idratazione correli con una maggiore mortalità, dato che é stato confermato da diversi studi anche in questa tipologia di pazienti; allo stesso tempo una ridotta idratazione porta ad un altrettanto aumentato rischio di morte. Studi recenti hanno mostrato come una terapia idratante basata sui parametri emodinamici dinamici (in particolare l'SVV) portano alla somministrazione della giusta dose di cristalloidi con un conseguente miglioramento dell’outcome in termini di sopravvivenza ed ossigenazione tissutale (controllato mediante metodo sublinguale). A livello del sistema respiratorio bisogna correggere e prevenire l’ipossia, eseguendo un’adeguata analgesia per permettere degli adeguati scambi gassosi e prevenire le atelettasie basali, eventualmente anche tramite l’uso di C-PAP/Bi-PAP, prevenendo le broncoaspirazioni (con la posa di una sonda naso-gastrica) ed intubando il paziente in caso di aggravamento dei parametri respiratori. Per il sistema gastroenterico si deve monitorizzare la pressione intra-addominale con regolarità, eseguendo precocemente le manovre terapeutiche in caso di ipertensione addominale. Per il sistema renale infine si deve supportare il circolo per prevenire insufficienze renali di origine pre-renale; in caso di danno acuto si deve discutere precocemente per una sostituzione renale esogena (mediante emodialisi o CRRT).
Concernente la terapia antidolorifica si deve rimuovere il più possibile il dolore del paziente, iniziando con una terapia farmacologica IV tramite Paracetamolo associato ad oppiacei IV. In alcuni casi selezionati si può anche discutere per l’uso di una terapia peridurale con anestetico locale (come la Bupivacaina) ed Oppiacei, anche se questo pone il paziente a rischio di infezioni epidurali, ematomi, ecc…
TERAPIA ANTI-FLOGOSI:
Accanto alla terapia di supporto, bisogna agire sulla terapia causale della pancreatite e sull’infiammazione che si viene a generare. Per la rimozione dell’ostruzione la terapia cerca di ridurre precocemente l’ostruzione responsabile della flogosi; in caso di forme biliari si esegue una ERCP con sfinterectomia (i cui risultati si sono dimostrati soddisfacenti quando direttamente correlati alla precocità dell’intervento, generalmente attorno alle 72 ore post-ingresso ospedaliero) associato ad una terapia antibiotica. Per ridurre la secrezione si effettua un blocco dello stimolo e del funzionamento basale delle secrezioni esocrine pancreatiche sia mediante una terapia di base (digiuno ed eventaulmente posa di sonda naso-gastrica) che mediante una terapia farmacologica mediante l’uso di farmaci come i PPI e la sandostatina (generalmente a dosi di 250 ug/h) o l’ocreotide; l’azione di tali medicamenti é quella di bloccare l’uptake degli aminoacidi, bloccando pertanto la formazione di proenzimi e riducendo pertanto la secrezione di HCl gastrico. Per quello che infine concerne la riduzione dell’attivazione vengono usati diversi farmaci in grado di bloccare l’iperattivazione delle proteasi; si può utilizzare il C1Q-inhibitor o la IL40 (sono farmaci che si sono dimostrati in grado di ridurre l’attività infiammatoria che il gabesato mesilato (3g/24h IV inibisce l’attivazione del tripsinogeno, con un’efficacia proporzionale alla precocità d’uso). Attualmente non vengono utilizzati perché recenti studi non ne hanno dimostrato una reale efficacia clinica.
TERAPIA ANTIBIOTICA:
Dato che in caso di sovrainfezione batterica la comparsa di infezione è un fattore prognostico e di mortalità importante, si è discusso sulla necessità di una terapia preventiva antibiotica. Gli studi randomizzati hanno mostrato che non si è dimostrata necessaria la terapia antibiotica preventiva. Si è anche andati a valutare se la decontaminazione selettiva del tratto gastro-enterico (SOD) portasse ad una riduzione delle infezioni, ma evidenze attuali non supportano tale ipotesi, aumentando il rischio di emergenza di ceppi resistenti. Solo in caso di pancreatite acuta severa si può avere la comparsa precoce di sovrainfezioni richiedenti terapia antibiotica, che generalmente va adattata alla situazione clinica (verosimilmente Tazobac IV come prima ipotesi) ed eventualmente impostata dopo un prelievo del liquido necrotico. In alcune situazioni è una terapia di accompagnamento alla terapia reale che è il drenaggio chirurgico.
TERAPIA NUTRIZIONALE:
La nutrizione artificiale è sempre più considerata un aspetto chiave del management specifico del paziente, non solo una modalità terapeutica aggiuntiva. Il razionale é che non ci sono studi randomizzati controllati che mostrano come il supporto nutrizionale nelle forme severe migliori l’outcome, ma ci sono diverse ragioni teoriche per impostare tale terapia: 1) la pancreatite acuta è una condizione catabolica, con un ipermetabolismo che porta ad un consumo proteico e di calorie; 2) la nutrizione orale può essere deficitaria per periodi prolungati per la presenza di dolore, ipomobilità intestinale, ostruzioni parziali, ecc...; 3) ci può essere una perdita proteina importante dai liquidi peripancreatici o dallo sviluppo di fistole e 4) il paziente con abuso di alcol può avere una malnutrizione con deficit di micronutrienti.
Pertanto il paziente con pancreatite acuta è fortemente a rischio di un bilancio energetico e proteico negativo, con un ulteriore rischio di deterioramento delle condizioni cliniche, peggioramento dello status generale, riduzione della velocità di guarigione, deficit immunologici, ecc...
In merito al concetto di via di somministrazione della nutrizione, il il concetto di “pancreas a riposo” non dovrebbe essere applicato in maniera troppo stretta; questo approccio significa che il pancreas dovrebbe evitare certi stimoli esocrini, ma non tutti; inoltre l’efficacia clinica del digiuno non è mai stata provata. Ad oggi si preferisce la nutrizione enterale rispetto alla forma parenterale (che si associa a numerose complicanze a breve/medio termine) tramite il posizionamento di un sondino naso-digiunale o naso-gastrico permettendo di mantenere una normale via di assimilazione delle sostanze, con mantenimento del buon funzionamento dei villi intestinali e riduzione delle complicanze, soprattutto di carattere infettivo. Per la richiesta energetica il consumo energetico durante una pancreatite acuta varia da paziente a paziente e dall’entità dell’infiammazione, generalmente con un incremento del 5-20% rispetto alle richieste energetiche basali. Non esistono dati sulla migliore scelta della formula enterale: di solito non si usano probiotici che possono peggiorare l’outcome, mentre la somministrazione di trigliceridi a catena breve si é dimostrato avere qualche vantaggio: per via enterale l’assorbimento risulta facilitato (senza la presenza di lipasi) e per via parenterale viene assorbito dalle cellule ed utilizzato nei mitocondri riducendo il rischio di ipertrigliceridemia. In merito al timing di somministrazione di solito si somministra in infusione continua, con incrementi giornalieri di 250-500 ml die, partendo con 500 ml die fino a raggiungere il target desiderato; generalmente si inizia entro 48 ore dall’ingresso in ICU. Per la ripresa dell’alimentazione orale non esistono delle linee guida che indicato quando riprendere la nutrizione PO; solitamente è una decisione empirica che si basa sulla ripresa della funzionalità intestinale, sulla riduzione della infiammazione pancreatica e l’assenza di complicanze, quest’ultime legate alla nutrizione del paziente; per questo è importante monitorarne il decorso. Si può avere iperglicemia per necrosi delle B-cells o per riduzione della sensibilità periferica alla insulina: si deve pertanto evitare la ipernutrizione ed impostare un’adeguata terapia insulinica. L’ipertrigliceridemia solitamente é dovuta ad una ipernutrizione; appare necessario controllare i trigliceridi e la torbidità plasmatica, mantenendoli inferiori a 4.5 mmol/l. La nutrizione può portare ad un aumento della infiammazione pancreatica, pertanto si devono monitorare i valori pro-infiammatori ed i valori di amilasi/lipasi.
Pertanto il paziente con pancreatite acuta è fortemente a rischio di un bilancio energetico e proteico negativo, con un ulteriore rischio di deterioramento delle condizioni cliniche, peggioramento dello status generale, riduzione della velocità di guarigione, deficit immunologici, ecc...
In merito al concetto di via di somministrazione della nutrizione, il il concetto di “pancreas a riposo” non dovrebbe essere applicato in maniera troppo stretta; questo approccio significa che il pancreas dovrebbe evitare certi stimoli esocrini, ma non tutti; inoltre l’efficacia clinica del digiuno non è mai stata provata. Ad oggi si preferisce la nutrizione enterale rispetto alla forma parenterale (che si associa a numerose complicanze a breve/medio termine) tramite il posizionamento di un sondino naso-digiunale o naso-gastrico permettendo di mantenere una normale via di assimilazione delle sostanze, con mantenimento del buon funzionamento dei villi intestinali e riduzione delle complicanze, soprattutto di carattere infettivo. Per la richiesta energetica il consumo energetico durante una pancreatite acuta varia da paziente a paziente e dall’entità dell’infiammazione, generalmente con un incremento del 5-20% rispetto alle richieste energetiche basali. Non esistono dati sulla migliore scelta della formula enterale: di solito non si usano probiotici che possono peggiorare l’outcome, mentre la somministrazione di trigliceridi a catena breve si é dimostrato avere qualche vantaggio: per via enterale l’assorbimento risulta facilitato (senza la presenza di lipasi) e per via parenterale viene assorbito dalle cellule ed utilizzato nei mitocondri riducendo il rischio di ipertrigliceridemia. In merito al timing di somministrazione di solito si somministra in infusione continua, con incrementi giornalieri di 250-500 ml die, partendo con 500 ml die fino a raggiungere il target desiderato; generalmente si inizia entro 48 ore dall’ingresso in ICU. Per la ripresa dell’alimentazione orale non esistono delle linee guida che indicato quando riprendere la nutrizione PO; solitamente è una decisione empirica che si basa sulla ripresa della funzionalità intestinale, sulla riduzione della infiammazione pancreatica e l’assenza di complicanze, quest’ultime legate alla nutrizione del paziente; per questo è importante monitorarne il decorso. Si può avere iperglicemia per necrosi delle B-cells o per riduzione della sensibilità periferica alla insulina: si deve pertanto evitare la ipernutrizione ed impostare un’adeguata terapia insulinica. L’ipertrigliceridemia solitamente é dovuta ad una ipernutrizione; appare necessario controllare i trigliceridi e la torbidità plasmatica, mantenendoli inferiori a 4.5 mmol/l. La nutrizione può portare ad un aumento della infiammazione pancreatica, pertanto si devono monitorare i valori pro-infiammatori ed i valori di amilasi/lipasi.
3) INDICAZIONI ALLA CHIRURGIA:
Lo sviluppo di modelli di trattamento medico, radiologico invasivo specifici ed avanzati ha ridotto notevolmente l’intervento chirurgico nel trattamento della pancreatite, ma ancora oggi esistono delle situazioni che richiedono l’uso del bisturi. Nelle forme severe la necrosectomia riduce la mortalità del 100%; il timing è relativamente tardivo (generalmente si agisce nella III-IV settimana di malattia), perché questo si é dimostrato portare ad un aumento della sopravvivenza, una maggiore demarcazione della necrosi, un ridotto rischio di sanguinamento ed una ridotta perdita del tessuto vitale.
Le complicanze post-chirurgiche sono soprattutto ascessi da foci necrotici residui post-necrosectomia e/o su sovrainfezione delle pseudocisti, che necessitano un buon drenaggio (chirurgico/percutaneo) ed una terapia antibiotica. Possono anche essere pseudocisti intesa come raccolta di secrezioni pancreatiche non capsulate (per la presenza di tessuto fibroso post-infiammatorio), che possono autorisolversi se si hanno lesioni di piccole dimensioni, oppure possono rompersi e/o comprimere le strutture circostanti per lesioni superiori a 5-6 cm. La fistola pancreatica rappresenta l’esito della pancreasectomia o del drenaggio percutaneo; generalmente si utilizza una terapia conservativa per la gestione della fistola, riservando una terapia chirurgica quando questa persiste per oltre 6 mesi e/o si tratta di una fistola ad alta portata. L’emorragia può svilupparsi partendo dall’erosione dei vasi locali e/o per la rottura di pseudo-aneurismi; si utilizza l’embolizzazione angiografica (per stabilizzare il paziente), seguita da una legatura chirurgica. Infine possono svilupparsi alterazioni coliche sia precoci che tardive, dovute a trombosi dei vasi mesocolici, a digestione enzimatica, ad alterazioni fibrose e/o decubito dei drenaggi; in questi casi é necessaria una resezione locale e/o il confezionamento di un’ileo-colostomia.
Come approccio pratico per propendere per una chirurgia esistono delle indicazioni assolute e relativa; le indicazioni assolute parlando di una pancreatite infetta non drenabile per via percutanea,
un’emorragia retroperitoneale severa, una peritonite o la comparsa di sindrome compartimentale addominale non responsiva alla terapia farmacologica. Come indicazioni relative si ha soprattutto la necrosi pancreatica estesa dove un debridement precoce di routine eseguito al fine di prevenire un peggioramento locale o sistemico dell’infiammazione - indipendentemente dallo stato batteriologico del paziente - si è dimostrato inutile e pericoloso, con il rischio di sviluppare complicanze locali post-chirurgiche, soprattutto perché l’assenza di aree necrotiche chiaramente demarcate rende difficile il successo dell’operazione. L’altra indicazione relativa é la persistenza di MOF nonostante la terapia impostata in ICU: alcuni studi hanno prospettato l’esecuzione della rimozione del materiale necrotico precocemente e ripetutamente, associandolo a continui drenaggi e lavaggi, con lo scopo di rimuovere i mediatori citotossici del danno locale. Attualmente tale approccio ha portato ad un netto incremento della mortalità, per cui non è un metodo eseguito costantemente in clinica. Ad oggi certamente non sono indicazioni per la chirurgia l’estensione della necrosi asettica, la severità delle condizioni cliniche del paziente e la durata delle terapie intensive.
4) COMPLICANZE LOCALI
Circa il 50% dei pazienti con pancreatite acuta severa evolve verso forme spontanee di processi infiammatori locali, condizioni che solitamente correlano con l’entità della necrosi epatica. La necrosi si sviluppa per la contemporanea presenza di 3 meccanismi che agiscono di concerto; l’attivazione prematura degli enzimi lipolitici e proteolitici (come il tripsinogeno) che portano alla necrosi cellulare con autodigestione ed attivazione ulteriore delle proteasi. Si ha una attivazione del sistema immunitario effettore che portano alla rimozione del materiale necrotico, ma rilasciano mediatori infiammatori che portano ad un ulteriore amplificazione della cascata immunitaria. Si hanno poi alterazioni microvascolari locali che amplificano la necrosi locale. Il liquido che si viene a formare è ricco di citochine, sostanze proteolitiche e la sua diffusione locale o sistemica genera le complicanze.
Infezione pancreatica (15-50% dei casi): la necrosi è un eccellente medium di coltura, questo spiega perché l’estensione della necrosi correla con il rischio di sovrainfezione; il picco di incidenza di ha nella terza settimana (ma nel 25% dei pazienti si ha a 7 giorni), con una correlazione diretta fra velocità di comparsa e rischio di mortalità (dal 15% al 60%) I germi più frequentemente interessati sono enterobatteri. I fattori di rischio sono l’ileo e la sovracrescita intestinale, la distruzione della flora con antibiotici, i danni alla barriera mucosa (post-papillotomia), il riscontro di ischemia splancnica o la comparsa di ileo paralitico. In questi casi il drenaggio percutaneo si è dimostrato poco efficace, probabilmente per l’incapacità di rimuovere le aree necrotiche; l’approccio chirurgico a 4 settimane è il gold standard, associato ad eplorazione e rimozione delle aree necrotiche. Rimane comunque un intervento rischioso (dato che circa il 25% dei pazienti viene rioperato per ulteriori complicanze post-operatorie), dove le complicanze sono minori tanto meglio è demarcata l’area di necrosi, anche se non sempre si può rimandare l’intervento fino ad ottenere la giusta demarcazione necrotica.
Gli ascessi (2-3% dei casi) si distinguono dalla infezione pancreatica perché oltre ad essere più rari compaiono dopo le 4 settimane e sono caratterizzate da collezione di pus, generalmente senza necrosi e di origine polimicrobica. La mortalità generalmente è inferiore al 10% e la terapia è il drenaggio percutaneo (per le forme piccole e uniloculate) o chirurgico (forme multiple, grandi, pluri-loculate). Le emorragie spontanee sono rare, ma portano con sé un’elevata mortalità, generalmente dovuta alla erosione di grossi vasi da parte delle proteasi. Spesso è necessaria una angiografia per poter individuare l’area del sanguinamento e poter eseguire l’emostasi, mentre la chirurgia ha un ruolo secondario qualora non funzioni il primo metodo. La perforazione spontanea può invece avvenire a qualsiasi livello, generalmente a livello colico, a seguito di ischemie mucosali per estensione della necrosi nel mesocolon e trombosi vascolare secondaria. Si deve sempre sospettare in caso di segni di sepsi, diarrea, sanguinamento enterico, ecc… In questi casi la TC-addome mostra un ispessimento delle pareti e la presenza di aria extra-luminale; la terapia è mediante colectomia, dato che appare difficile intra-operatoriamente distinguere le aree coinvolte.
Le pseudocisti invece sono descritte come una collezione di succo pancreatico generalmente racchiuse da una parete granulomatosa, che si forma vicino ad un’area di tessuto necrotico con rottura di un dotto pancreatico. Generalmente si forma a 4 settimane e la terapia è il drenaggio (endoscopico se possibile, altrimenti percutaneo o chirurgico). Le complicanze della terapia possono essere di tipo compressivo, di rottura o di sanguinamento. Se sono piccole (inferiori ai 6 cm) ed asintomatiche si esegue una semplice sorveglianza radiologica. Le fistole pancreatiche infine sono il risultato di una rottura dei dotti pancreatici che drenano direttamente in altre strutture (duodeno, digiuno, colon, stomaco, ecc…). La terapia è la chirurgica (con resezione ed anastomosi) o mediante posa di stenting.
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